“Donne morte senza riposo”. Che cosa fare contro il “muliericidio”. Raccogliere l’invito del libro di Nereide Rudas all’impegno (4) [di Federico Palomba]
Certamente attraverso i centri antiviolenza (meglio se con possibilità di alloggio), che dovrebbero essere aiutati a fornire l’accoglienza per le donne ed i bambini in situazione di pericolo per le minacce ricevute. Ne esistono, anche se insufficienti, e tamponano alcune situazioni a rischio quando le donne si decidono a manifestare la loro grave condizione e vi fanno ricorso, cosa che troppo spesso non accade per timore di scandalo pubblico, di perdere i pochi benefici della condizione domestica, di provocare reazioni violente. Ma occorre altresì prevedere in favore delle vittime l’assistenza legale gratuita (qualche regione lo fa) e l’anticipazione del risarcimento del danno da parte dello Stato, che dovrebbe poter chiedere ed iscrivere il sequestro conservativo sui beni della persona violenta (solitamente abbiente: i poveri non si possono permettere certe licenze) ed eventualmente la vendita forzata o l’acquisizione degli stessi in seguito a condanna. Lo Stato deve interporsi tra aggressore e vittima nel difendere questa seconda, perché esso è responsabile della sicurezza dei cittadini che spesso non tutela. Di questi cinque aspetti (da me proposti da deputato) è stata presa in considerazione, e parzialmente, la commissione parlamentare di inchiesta. Il 18 gennaio di quest’anno il solo Senato ne ha istituito una monocamerale con durata annuale. Sarebbe un’iniziativa lodevole se non fosse che: passeranno mesi prima che cominci a funzionare (nomina di presidenti, vicepresidenti, ufficio di presidenza, funzionari e locali da adibire, eccetera); non ci sarà il tempo di concludere i lavori prima della fine ordinaria della legislatura; non si sa quando finirà quella in corso (visti i frangenti proposti dalla situazione politica), e che la Commissione comunque decadrà con la fine della legislatura. Sarà l’ennesimo conato, un “flatus vocis”. Nella Convenzione di Istanbul il piano culturale e quello legislativo sono considerati congiuntamente. Alcune indicazioni riguardano gli interventi legislativi, sui quali il nostro Paese ha abbondanti strumenti di cultura giuridica per intervenire se solo lo volesse. Ma è sul piano culturale, importante anche come prevenzione generale, che occorrerebbe seguirne seriamente e subito le moltissime e importanti indicazioni, che raccomandano di porre in essere una politica organica ed integrata di interventi formativi, educativi e culturali. Una apprezzabile formulazione di programmi di questa natura era contenuta nel Piano antiviolenza del 2010, redatto in seguito ad una legge del 2009 che inseriva alcune disposizioni contro la violenza sulle donne in un decreto legge per la sicurezza pubblica (!). Gli aspetti positivi di quella legge sono rappresentati dalle disposizioni anti-stalking (tuttora insufficienti senza le misure di prevenzione personale di cui sopra) e l’adozione nel 2010 di un Piano nazionale contro la violenza, fatto non male con il concorso di intelligenze e di professionalità. Esso non si limitava a prevedere i pur necessari centri antiviolenza, ma conteneva anche gli obblighi a carico dell’amministrazione centrale ed insieme prevedeva il ruolo delle comunità locali (regioni e comuni), più vicine alla sensibilità delle persone e interpreti privilegiate del sentire della gente. Oggi, a sette anni di distanza, possiamo soltanto provare rabbia nel constatare che è rimasto sostanzialmente lettera morta, secondo le nostre tradizioni. Evidentemente i destini delle persone contano meno dei problemi finanziari, economici, bancari, verso i quali la sollecitudine ò massima. Questi temi vanno invece ripresi e rilanciati anche con la pressione dell’opinione pubblica, affinché non siano oggetto di beffardo ed episodico interesse o di passerelle da strumentalizzare a fini di propaganda. E il libro di Nereide Rudas e Coll. è prezioso, oltre che per la ricerca, anche perché costituisce un importante rilancio della drammaticità del tema e dell’urgenza di occuparsene seriamente. Anche per questo gli Autori vanno ringraziati. Come ho già detto, mi sento personalmente investito del dovere morale di fare quello che è nelle mie competenze offrendo la mia disponibilità a lavorare, anche in seconda o terza fila e con disinteresse, per trasferirli, dopo l’ambito nazionale, in quello sardo, regionale e comunale, con il coinvolgimento delle associazioni e dei gruppi sociali, che non mancano. Metto la mia esperienza giuridica e sociale, anche nella predisposizione di programmi, a disposizione della comunità, con la quale intrattengo un costante rapporto di reciproco scambio proficuo. Il silenzio fin qui registrato (la cui ragione è facilmente intuibile) non lascia presagire niente di buono; ma l’invito del libro di Nereide impone di non cessare l’impegno. Ed invece il tema della violenza sulle donne e domestica (riguardante le relazioni familiari, compresi i figli minori) è terribilmente serio: ci sono di mezzo la serenità e la vita di tante donne e di interi nuclei familiari, che vivono nel terrore di gesti violenti di omicidio, di lesioni spesso gravissime -una ragazza è stata ridotta allo stato vegetativo irreversibile; altri sono stati sfregiati irreparabilmente con acido- o di distruzione dei beni, non di rado accompagnati dal suicidio. Sarebbe, invece, giunta l’ora di essere seri intervenendo finalmente in modo organico su tutti i fronti: la cultura preventiva, il controllo, la repressione e il sostegno. Siamo alle solite. L’Italia è troppo spesso superficiale e non presta la dovuta attenzione ai problemi della vita delle persone. Senza impegno non si ottiene niente: perciò bisogna ricordare che alla mancanza di una seria volontà potrebbe essere ricondotta la responsabilità di tante efferate stragi e delle ferite, spesso non rimarginabili, che le vittime non uccise ed i superstiti degli eccidi porteranno per sempre nelle loro anime. I cittadini sensibili devono fare in modo che altri 25 novembre non passino invano. Anzi, che ogni giorno sia 25 novembre. |