Palermo, la città è periferia [di Lucia Pierro e Marco Scarpinato]

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Il Giornale dell’Architettura 28 marzo 2017.  Palermo Il ritratto di una città in contraddizione, capitale dei giovani e della cultura che non riesce a stare al passo per costruire un presente solidale e socialmente sostenibile. Quello di periferia non è necessariamente un concetto geografico in cui un cuore urbano vivo e pulsante si contrappone alle aree lontane, discriminate e marginalizzate.

Se questa dicotomia fosse vera non sarebbe possibile spiegare la condizione di Palermo: città in cui centro e periferia appaiono intrinsecamente connesse. Non solo perché si tratta di una realtà urbana policentrica ma anche e soprattutto perché, in virtù dello stato di marginalità economica e sociale in cui sta scivolando la città, ogni luogo pare essere diventato la grande periferia di un altrove che non è ben chiaro dove sia collocato.

Il processo di marginalizzazione in atto è connesso a cause note: la Sicilia è la regione europea con il più basso tasso di occupazione delle persone tra i 20 e i 64 anni (42,4%). Non è un caso che la capitale dell’isola stia subendo un processo di spopolamento senza precedenti che si concretizza nella perdita di 29.161 abitanti (pari al 4,2%) registrata nel decennio 2001-2011 dell’ultimo Censimento nazionale, con una perdita nel solo 2016 di 5.106 abitanti.

I dati sullo spopolamento urbano in atto chiariscono che ad abbandonare Palermo sono sempre di più i giovani laureati e diplomati. Una generazione di iper-formati costretta a fuggire perché – a causa di una scarsità di occasioni lavorative insieme al trasformismo di chi occupa da sempre ruoli nevralgici – tutte le occasioni sono drenate da pochi nomi.

In questa città, che tra un anno ospiterà la Biennale Manifesta e che per la sua disponibilità all’accoglienza è stata recentemente proclamata Capitale italiana della Cultura 2018, la periferia è una condizione diffusa. Uno status che non si ritrova solo nelle borgate, a Brancaccio, a Ciaculli o allo Zen. Quest’ultimo disegnato da quello stesso Vittorio Gregotti che, nel suo recente elzeviro dedicato alle periferie apparso sul Corriere della Sera, prima difende d’ufficio le Vele di Napoli e poi confessa di essere “colpevole” della demolizione mirata di una di esse per realizzarvi un pezzo di città, con l’insediamento della nuova facoltà di Medicina.

A Palermo non è facile distinguere centro e periferia, perché tutte le questioni urbane sono essenzialmente questioni sociali. Il problema della periferia si gioca tutto sul concetto di comunità. Oltre i proclami e i facili entusiasmi, sul fronte sociale, la capitale dell’isola mostra non pochi stridenti problemi: dal 2014 al 2016 hanno chiuso oltre 3.000 esercizi commerciali e, dopo Milano e Roma, Palermo è il terzo comune d’Italia per numero di senza dimora (5,7%).

Si noti poi come in questa città – che ha peraltro ottenuto il titolo di Capitale dei giovani 2017 – si registra un tasso di dispersione scolastica tra i più alti d’Italia – un drammatico 40,1% che, come evidenziato dall’ultimo rapporto di Save the Children, è secondo solo a Caltanissetta – ed il più alto tasso di disoccupazione giovanile nazionale, corrispondente al 27% della popolazione.

Questi numeri preoccupanti non riguardano solo le aree universalmente individuate come periferiche. Purtroppo ampie e crescenti sacche di povertà ed esclusione pervadono l’intera città e convivono con quella borghesia sempre più impoverita che si distribuisce tra le zone centrali e i quartieri del tristemente noto sacco di Palermo.

Non è quindi un caso che lo scioccante omicidio di un senzatetto, bruciato mentre dormiva sull’uscio di un centro accoglienza, sia avvenuto in un quartiere che in tanti percepiscono come periferico nonostante sia poco lontano dalla sede del Palazzo Regionale – il centro di potere dell’isola – e da luoghi di grande pregio culturale come i Cantieri culturali e il Castello della Zisa, gioiello architettonico del circuito arabo-normanno inserito nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

Mentre slogan, titoli e proclami fotografano un luogo che prova a dissimulare la sua decadenza aggrappandosi a miti e fughe verso il passato, lo stato delle cose è quello di una città che non riesce a costruire un presente solidale e socialmente sostenibile per tutti i suoi abitanti. Una condizione di surreale convivenza di miseria e nobiltà, centralità e marginalità, ben descritta nell’ultima puntata del 2016 dalla trasmissione I dieci Comandamenti, girata nel quartiere di Borgo Vecchio, posto tra il porto in cui attraccano le navi da crociera e la centralissima piazza del Politeama.

Un microcosmo urbano dove, tra baracche, macerie, famiglie che vivono d’espedienti e capre che pascolano sull’asfalto, le speranze di riscatto sono affidate alle attività socio-culturali promosse dalla scuola di quartiere, a un campetto di calcio auto-costruito e alla recente iniziativa Borgo Vecchio Factory. Un progetto – promosso dalle associazioni Push, Per esempio e dallo street artist Ema Jons – che ha provato a modificare la percezione del quartiere attraverso interventi di street art realizzati dai suoi abitanti più giovani.

Al malessere sociale che pervade Palermo si affiancano, purtroppo, le scelte da periferia culturale che invadono anche il cuore dell’identità cittadina. Così, anche nell’importante asse che si snoda tra Via Maqueda e Via Libertà, sulla ritrovata passeggiata urbana popolata da caffè, friggitorie per turisti, panche e arredi urbani variamente assortiti, appare improbabile e surreale il pastiche edilizio realizzato nell’area cosiddetta Quaroni.

Un intervento di ricostruzione all’identique di qualcosa che non è dato sapere ha messo fine alla più che quarantennale querelle sul destino urbano di un cratere di oltre 2.250 metri quadri, eredità della guerra, attuando una delle più grossolane operazioni edilizie realizzate negli ultimi anni.

La condizione di periferia si registra anche nel mancato coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali sulle scelte urbane. Su questo fronte basta ricordare la rabbia dei numerosi comitati insorti contro il taglio indiscriminato di ficus centenari per realizzare la fermata della metropolitana a Piazza Politeama.

Come dimenticare poi il dibattito per chiedere la ricostruzione di Villa Deliella a Piazza Croci? In questo luogo – uno dei tanti, troppi, simboli della protervia di quei palazzinari che non si fecero scrupolo ad abbattere una delle più belle costruzioni disegnate da Ernesto Basile ed in cui, per ironia della sorte, da oltre cinquant’anni campeggia un ampio parcheggio con autolavaggio – la borghesia locale, timorosa forse di produrre una propria immagine coerente del presente e del futuro della città, per mettere fine a questa ferita trova innovativo invocare la ricostruzione e la fuga nel ricordo di un passato idealizzato.

In questa Palermo che, come ricordato recentemente dallo scrittore Giorgio Vasta, soffre di gattopardiani eccessi di autostima, vi sono infine quelli che credono nei poteri taumaturgici degli eventi culturali previsti nel 2018 dimenticando che, anche in questo caso, al di là del coinvolgimento di un board internazionale, la concreta gestione è quella dei soliti e pochi nomi locali.—

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