Legge annuale per il mercato e la concorrenza. Patrimonio culturale nazionale a grave rischio [di patrimonioSOS]
patrimonioSOS, 01-04-2017. Legge annuale per il mercato e la concorrenza in approvazione con voto di fiducia alla Camera il 5 aprile 2017. Disposizioni riguardanti i Beni culturali che mettono in grave pericolo il patrimonio culturale nazionale. Segnalazione e appello urgente affinchè dalla Legge sia stralciato l’articolo 68 (lo trovate alla fine di questo intervento). PREMESSA. Il disegno di legge è giunto ormai al terzo passaggio alla Camera che avverrà il 5 aprile e sarà blindato con voto di fiducia. È dunque assolutamente necessario che l’articolo, il 68 del testo finale, sia stralciato dalla legge e non venga approvato, soprattutto con voto di fiducia. L’articolo è stato inserito nel disegno di legge in itinere mediante un emendamento discusso la scorsa primavera durante il passaggio al Senato avvenuto presso la Commissione Decima Industria, con parere favorevole dato dalla Commissione Cultura. La versione attuale è quella che corrisponde al testo numero 3. L’emendamento è stato inserito su richiesta e pressione diretta del gruppo d’interesse Apollo 2 che rappresenta case d’aste internazionali, associazioni di antiquari e galleristi di arte moderna e contemporanea e soggetti operanti nel settore della logistica di beni culturali, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Calabi di Milano, avvocato di fiducia di Sotheby’s, che ha materialmente redatto il testo della legge concordandolo, come si legge in un trafiletto uscito su Plus24 del Sole24 n. 667 del 13 giugno 2015, direttamente con l’allora Presidenza del Consiglio e l’attuale Ministro. La legge annuale per il mercato e la concorrenza è strumento nuovo introdotto dalla «legge sviluppo» del 2009, al fine di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei principi del diritto dell’Unione europea, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza (vedi nota alla fine del’intervento). Non è dunque la sede adatta per infilare di sottecchi e mediante un colpo di mano che ha evitato qualsivoglia discussione nelle sedi deputate, una norma che incide in maniera così profonda e irreversibile sul patrimonio culturale nazionale cambiando in maniera sostanziale l’oggetto della tutela, definito dall’articolo 10 del Codice dei beni culturali, con il falso e ridicolo pretesto di “semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato”. COMMENTO. L’articolo innova infatti in maniera sostanziale l’articolo 10 del Codice dei beni culturali che individua il patrimonio culturale da assoggettare a tutela, innalzando l’età minima che un oggetto deve avere per farne parte, che passerà dai 50 anni (termine per altro vigente in tutta Europa e negli USA, ad esempio) ai 70 anni, e introducendo, per ora limitatamente alle norme riguardanti l’uscita dal territorio nazionale (ma il Codice dei beni culturali è costruito in modo tale da prevedere simmetria assoluta fra l’articolo 10 e il 65 che stabilisce cosa vada sottoposto al controllo del Ministero in caso di uscita dal territorio) il pericoloso, scorrettissimo e quanto mai aleatorio, ondivago e soggettivo concetto del valore economico quale indice (primario fra l’altro) di valutazione dell’interesse culturale. Cosa che evidentemente non può essere. L’articolo, restringendo gli ambiti di applicabilità del Codice dei beni culturali, di fatto elimina dal patrimonio culturale della Repubblica, costituzionalmente protetto dall’articolo 9, un’ampia e importante fetta di beni mobili e immobili (che peraltro nulla hanno a che vedere con la circolazione internazionale) che oggi vi rientrano e/o possono rientrare. Tutti i beni, ivi compresi quelli di proprietà pubblica ed ecclesiastica, che oggi hanno fra i 50 e i 70 anni e gli immobili di proprietà privata che oggi hanno fra i 50 e i 70 anni, non saranno più protetti né proteggibili. L’articolo senza procedere a un esame coordinato e strutturato della legge di tutela, senza il necessario contraddittorio sull’argomento con il Parlamento e con i cittadini, depaupera in maniera indiscriminata e irrimediabile il patrimonio culturale che è di tutti, a solo ed esclusivo vantaggio di una minima parte di essi, i mercanti internazionali di arte e le grandi case d’aste. L’articolo viola la Costituzione. L’articolo va stralciato dalla legge in approvazione perché la tutela e anche la valorizzazione del patrimonio culturale nulla hanno a che vedere con il mercato e la concorrenza. Quelli che si cerca di fare passare per inutili controlli paralizzanti il mercato antiquariale sono in realtà controlli sostanziali volti a verificare se fra le cose presentate a uno dei 18 uffici esportazione del Ministero vi siano potenziali beni culturali prima incogniti all’Amministrazione. Qualora tali beni, sulla base di un’approfondita disamina tecnico-scientifica, siano riconosciuti come tali, vengono fermati e assoggettati al regime di tutela che, fra le altre cose, comporta l’inclusione in forma espressa nel patrimonio culturale nazionale e il divieto di uscita definitiva dai confini del territorio. L’articolo in parola, restringendo in forma massiva e indiscriminata l’ambito delle cose che necessitano di autorizzazione all’uscita, di fatto depaupera in maniera irreversibile il patrimonio culturale nazionale. Il tutto senza più avere l’obbligo di presentazione degli oggetti in uscita alla visione diretta degli uffici esportazione e solo dietro autocertificazione da parte dei richiedenti (ci si domanda peraltro come si possa autocertificare un prezzo ai sensi del DPR 445/2000 che non lo prevede). L’articolo mette dunque in pericolo il concetto stesso di patrimonio e l’articolo 9 della Costituzione della Repubblica e va soppresso. L’eliminazione a monte della possibilità di controllo all’uscita da parte del Ministero di tutti gli oggetti che abbiano meno di 50 anni e di tutti quelli di qualsiasi età, tipologia ed epoca (ad esempio, dipinti, disegni, sculture, mobili, opere di design, oreficerie, libri, stampe, incisioni, manoscritti, documenti, beni etnografici, strumenti musicali, archivi, carteggi, ecc.) che abbiano un valore economico sotto i 13.500 euro, sulla base di una semplice autodichiarazione, è inaccettabile. DETTAGLIO. Le norme relative alla circolazione internazionale hanno quale unico scopo quello di evitare l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica, e dunque la perdita, di beni culturali. Rispondono al principio della tutela del patrimonio culturale sancito dall’articolo 9 della Costituzione. A tal fine gli uffici esportazione del Ministero dei beni culturali svolgono un controllo preventivo sulle cose che, in base a determinate caratteristiche, sono potenzialmente suscettibili di essere beni culturali. Attualmente i requisiti che rendono obbligatorio il passaggio negli uffici esportazione (articolo 65 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 recante il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) per l’uscita definitiva sono l’interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, ecc., l’essere opera di autore non più vivente, l’esecuzione da oltre 50 anni. Gli stessi che, come è ovvio, presiedono all’individuazione dei beni culturali in generale (articolo 10 del Codice). L’articolo in questione, oltre ad innalzare la soglia di obbligatorietà (e, per simmetria, anche i criteri per l’individuazione di tutti i beni culturali, compresi gli immobili) ai 70 anni, introduce – solo nella disciplina della circolazione internazionale – un nuovo parametro, mai prima preso in considerazione dalla normativa nazionale, quello del valore economico, sottraendo al controllo degli uffici esportazione tutte le cose che, indipendentemente dalla loro età ed interesse culturale, stanno sottosoglia. La norma stabilisce che sia l’età che il valore venale sono autocertificati dal richiedente e che su tali dati il rilascio degli attestati e certificati avvenga in automatico: non si dà alcun potere agli uffici esportazione di controllare tali dati, di stabilire se la somma indicata è congrua, di vedere se davvero il bene ha gli anni dichiarati. Ciò è del tutto folle e troppo sbilanciato a disfavore della Pubblica Amministrazione e rende davvero inutile l’esistenza di un ufficio. Nella disciplina attuale, il valore venale dei beni non costituisce un indice d’interesse culturale, come è giusto che sia visto che gli andamenti del mercato sono ondivaghi, spesso legati a fenomeni esterni che nulla hanno a che vedere con il reale valore culturale del bene. Il mercato ha leggi diverse. Il mercato è influenzato dalle mode e dai gusti. Il valore di mercato non è dunque un elemento oggettivo, dato una volta per tutte, ma oscillante e mutevole nel tempo e nei luoghi. Il mercato è fatto da chi compra e chi vende. È dunque un parametro troppo empirico ed aleatorio per pretendere di affidarvi il discrimine fra ciò che è bene culturale e ciò che non lo è. Quello che il mercato stabilisce infatti non è il valore dell’opera, ma la sua quotazione, ovvero la stima probabilistica che le attribuisce chi compra e scambia. Una sorta di spread, di indice di credibilità e affidabilità che nulla ha a che vedere con il valore culturale. E nemmeno con quello venale visto che può capitare che opere stimate sottosoglia vengano poi vendute in asta con valori superiori. Oggi il valore venale è autodichiarato in sede di richiesta di rilascio dell’attestato di libera circolazione al solo scopo di avere un prezzo sulla base del quale effettuare l’eventuale acquisto coattivo per le raccolte dello Stato. Poiché il valore venale sarà dichiarato mediante autocertificazione, il risultato pratico sarà l’uscita definitiva della stragrande maggioranza dei beni che costituiscono il patrimonio culturale del nostro Paese, senza alcuna possibilità di controllo. Il patrimonio culturale diffuso, quello che rende l’Italia unica, sarà depauperato in brevissimo tempo, senza alcun vantaggio per il mercato che, dalla sovrabbondanza di offerta risulterebbe soltanto deprezzato e svalutato, e con reale perdita per il Paese, di certo meno attrattivo in termini di turismo e sviluppo economico. La norma in esame di fatto deprime i territori, le autonomie locali, il turismo, ed è espressione di una visione ristretta e passatista del patrimonio culturale del tutto contraria all’incentivazione del mercato che pretenderebbe di favorire. Se davvero si volesse rilanciare il mercato italiano dell’arte altri dovrebbero essere i provvedimenti da adottare. Anziché modificare la normativa di tutela, bisognerebbe intervenire sulle aliquote IVA e doganali all’importazione che in Italia sono maggiori che negli altri Paesi. La semplificazione dovrebbe essere strutturata in modo tale da attirare nel Paese il mercato internazionale dell’arte e non da farlo fiorire unicamente fuori dai nostri confini. Di fatto quello che si incentiva è l’uscita e non l’entrata. Allungare il periodo già individuato quale soglia per l’uscita dal territorio nazionale non è misura per rilanciare il mercato italiano ma soltanto per deprimerlo ulteriormente e depredare il patrimonio di tutti. Stabilire che d’ora in poi il patrimonio culturale della Nazione non potrà più comprendere beni che abbiano meno di 70 anni è cosa gravissima: vuol dire negare in blocco tutta la cultura italiana del Novecento a partire dal secondo Dopoguerra. Non solo sotto il profilo mobiliare ma anche sotto quello immobiliare, visto che l’articolo impone il termine dei 70 anni anche per le cose immobili di proprietà privata, che oggi hanno i 50 anni. Si arriva così all’assurdo che mentre il mercato internazionale cerca in tutti i modi di approvvigionarsi di opere e pezzi di design italiano degli anni ’50 e ’60, il Paese di provenienza se ne libera dimostrandosi incapace di comprenderne il vero valore culturale e venale. Difficile credere che sul lungo periodo una così scarsa “autostima” possa giovare al mercato internazionale dell’arte. Il sistema dell’acquisto coattivo all’esportazione ha consentito allo Stato di acquisire talvolta per poche migliaia di euro di pezzi molto importanti che sono diventati patrimonio dei musei. D’ora in poi questa possibilità è impedita all’origine, viceversa è offerta su un piatto d’argento ai musei esteri. Il regime dell’autocertificazione non consente più di procedere in tal senso: è infatti applicabile solo per i beni che necessitano di autorizzazione per uscire e quindi che abbiano valore venale superiore ai 13.500 euro. Quello che invece era ed è, e sarebbe ancora, interessante è la possibilità di fare acquisti coattivi sui beni poco costosi (politica che si è sempre tenuta) comprare ad esempio disegni e sculture di grandi maestri e dunque eccezionalmente importanti per il patrimonio, ma anche dipinti, magari di nomi meno conosciuti ma fondamentali per la storia dell’arte, perché facenti parti di pale, polittici, opere che un tempo ornavano chiese, cattedrali, grandi palazzi, per poche migliaia di euro. RIFLESSIONI ULTERIORI. Le norme relative alla circolazione internazionale hanno quale unico scopo quello di evitare l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica, e dunque la perdita, di beni culturali. Si tratta di un obbligo costituzionale sancito dall’articolo 9. L’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce i beni culturali e i criteri per individuarli facendo riferimento a tre elementi esterni oggettivi e facilmente conoscibili: assetto proprietario, età, paternità (autore non più vivente). I controlli sull’uscita definitiva stabiliti dall’articolo 65 del Codice sono dunque conformi e simmetrici al dettato dell’articolo 10 e hanno quale unica ratio quella dell’individuazione e salvaguardia di beni culturali non ancora riconosciuti come tali perché sino a quel momento incogniti all’amministrazione. L’articolo 68 della Legge in approvazione introduce in maniera asimmetrica, vale a dire soltanto in relazione alle norme che regolano la circolazione internazionale, un elemento sinora mai preso in considerazione dalla nostra legislazione e in ogni caso non inserito nell’articolo 10 dal quale il 65 discende e consegue: il valore venale. Al di là del merito, già discusso più sopra, per cui non pare possibile affidare il discrimine fra cosa può o non può essere bene culturale a un dato presuntivo, non oggettivamente misurabile e soprattutto mutevole nel tempo e nei luoghi quale la quotazione economica, se l’articolo 10 stabilisce che determinate cose sono beni culturali indipendentemente dal prezzo e la Costituzione sancisce il principio secondo cui la Repubblica tutela il patrimonio culturale della nazione, il fatto che la nuova formulazione dell’articolo 65 del Codice dei beni culturali ammetta la perdita di beni culturali individuati ai sensi dell’articolo 10, soltanto perché autocertificati con un prezzo inferiore ai 13.500 euro, è del tutto anticostituzionale. Pare schizofrenico, contrario a ogni logica ed egualmente anticostituzionale che la stessa identica cosa possa essere bene culturale ai sensi dell’articolo 10 del Codice e non esserlo ai sensi dell’articolo 65. E dunque essere dichiarata d’interesse culturale e sottoposta a tutela a termini del procedimento di cui all’articolo 10 e seguenti del Codice ad eccezione del caso in cui in cui l’amministrazione ne sia venuta a conoscenza in virtù di una richiesta di uscita definitiva dai confini nazionali. Con le ovvie e inevitabili disparità di trattamento fra cittadini (a disfavore dei proprietari e a favore dei mercanti) e con l’ancora più nefasta conseguenza che basterà munirsi di un attestato di libera circolazione ottenuto in automatico autocertificando un valore sottosoglia e poi rientrare sul territorio nazionale chiedendo la certificazione in ingresso prevista dall’articolo 72 del Codice dei beni culturali che comporta la non applicabilità della legge di tutela, per sottrarre in forma legalizzata e inappellabile al patrimonio culturale nazionale beni che nell’attuale ordinamento avrebbero potuto, e dunque dovuto, farne parte. Nota: Il Ddl attualmente all’esame della Camera è stato il primo ad essere presentato dal governo dal 2009. In base alla «legge sviluppo» del 2009 (art. 47, legge 23 luglio 2009, n. 99) le segnalazioni dell’Autorità garante per il mercato e la concorrenza (antitrust) costituiscono la base per la predisposizione, da parte del Governo, del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza. A seguito di tale innovazione normativa, l’Autorità dal 2009 ha inviato al Parlamento e al Governo, ai sensi degli artt.21 e 22 della legge n. 287/90, segnalazioni generali su proposte di riforma pro-concorrenziale del quadro normativo e regolatorio. Ebbene, nessuna delle segnalazioni dell’Autorità, l’ultima delle quali risale al 2014 reca traccia di provvedimenti inerenti la semplificazione del commercio internazionale dei beni culturali. Per fare un esempio fra i settori indicati dall’Autorità, vi sono: le assicurazioni, con particolare riguardo al campo della RC Auto; i fondi pensione; le comunicazioni; i servizi postali; l’energia e la distribuzione in rete di carburanti per autotrazione; le banche; le professioni; la distribuzione farmaci, ecc. ARTICOLO 68 DELLA LEGGE – TESTO Articolo 68 (Semplificazione della circolazione internazionale di beni culturali). 1. Al fine di semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato, al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: 1.a) all’articolo 10: 1) al comma 3, dopo la lettera d) è inserita la seguente: 2. Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge:
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