Dal principio di precauzione a quello di preoccupazione. Il caso dei vaccini [di Nicolò Migheli]

dopoguerra

Il decreto del governo sull’obbligatorietà dei vaccini per l’infanzia ha suscitato in Italia una rivolta che va oltre le minoranze anti vaccino che si sono palesate in questi ultimi anni. Minoranze che si vanno allargando grazie anche al ruolo sempre più presente del web come fonte di documentazione, informazione e disinformazione.

Reazioni che vanno oltre la giustezza o no di quel provvedimento, e che danno ulteriore occasione per leggere il rapporto che ha la contemporaneità con la scienza e con la sua autorevolezza. Benché il fenomeno non sia nuovo, oggi la rapidità con cui le idee e le voci si diffondono lo ha indubbiamente rafforzato.  Il mito positivista della neutralità della scienza e del progresso scientifico come fenomeno miglioratore dell’esistenza umana è morto ad Ypres nella I Guerra Mondiale, quando degli antiparassitari concentrati vennero usati come gas asfissiante.

Forse anche prima, con la Dinamite, tanto che Nobel istituì il premio omonimo per non lasciare il suo nome legato ad una invenzione devastante. Di sicuro però fu Hiroshima a mettere l’uomo davanti alla potenza distruttiva assoluta della scienza e della tecnologia come strumento applicato. Hans Jonas con il suo principio responsabilità, nel dopoguerra scrisse pagine fondamentali che influenzarono non solo l’epistemologia ma aprirono ad una etica del progresso scientifico, con la consapevolezza che la morte di Dio riportava il senso dell’esistenza non più da ragioni metafisiche bensì rimesso tragicamente nelle mani dell’uomo. E la scienza non si sottrae, capace com’è di coniugare colpa e innocenza.

Un apparato a cui dovremmo affidarci che porta con sé Prometeo e Frankenstein, il dominio delle forze terribili e l’hỳbris, ben sapendo che ogni rivoluzione scientifica muta profondamente la nostra esistenza. Il destino è nelle nostre mani perché la potenza distruttiva è in nostro potere e Dio, se c’è, si è distratto, ci ha lasciato soli. Da questi assunti nasce l’esigenza di un principio di precauzione. Non solo come paradigma filosofico ed etico, bensì come esigenza tangibile per salvaguardare la vita umana e quella della Terra.

Dovrebbe bastare? Dovrebbe bastare il metodo scientifico che porta dentro di sé la capacità di negare o superare l’assunto precedente? Nella comunità dei ricercatori forse sì. Nella più vasta cittadinanza non più. Mentre per la comunità scientifica il progresso tecnologico viene solitamente vissuto come progresso sociale, per ampie fasce di popolazione non è più così. In esso intravede interessi che vanno oltre il bene comune, percepisce la privatizzazione della ricerca che poi si scarica con un prezzo, spesso pesante, nella propria esistenza.

Si è rotto una sorta di patto per il progresso. In troppi nella ricerca scientifica intravedono la mano di grandi gruppi industriali transnazionali che influenzano i decisori. Il caso della medicina e dei vaccini è emblematico. Da anni si assiste ad una medicalizzazione della vita. I prontuari ogni anno vengono aggiornati con nuove sindromi a cui corrispondono farmaci specifici.

Nella memoria degli italiani rimbalzano storie poco edificanti, dal Poggiolini di Mani Pulite ai medici che sono stati sorpresi a recepire compensi da parte di cause farmaceutiche a patto che prescrivessero un dato preparato. Ancor di più se le vaccinazioni vengono rese obbligatorie dal governo.

Non vi è solo la caduta di autorevolezza della scienza, vi è in più la perdita di prestigio totale di certi politici. In quelle decisioni vengono intravvisti chissà quali inconfessabili interessi. Non solo questo però. Viviamo in una società impaurita da mutamenti climatici, terrorismo, guerra, inquinamento, dall’emigrazione biblica. Dall’altro lato si vorrebbe che la nostra esistenza fosse a rischio zero. Ma questo non è possibile, per cui le controindicazioni presenti in un bugiardino fanno sì che quel farmaco non venga assunto.

Ampie fasce di popolazione stanno passando dal legittimo  principio di precauzione a quello di preoccupazione, dove il dato oggettivo, la statistica, non conta più nulla perché vale il: l’effetto indesiderato potrei essere io o ho letto che ad uno è successo questo… Naturalmente non vale quando la patologia è grave. Allora ci si affida. Non conosco i numeri, ma immagino che siano pochi coloro che rifiutino una cura devastante come la chemio terapia se l’alternativa è la morte sicura.

Resta comunque una costante. Maggiore è lo sviluppo scientifico e tecnologico, maggiore è la specializzazione occorrente per ottenerlo, più ampio è il fossato che lo separa dai cittadini comuni; e questi ultimi ne diffidano profondamente perché non lo conoscono o non hanno gli strumenti per capirlo. Di conseguenza assistiamo, favorito dal web, un ritorno imponente del pensiero magico, un affidarsi a santoni, a persone che intuendo lo stato di disagio offrono soluzioni semplici a problemi complessi.

Come mi ebbe a dire un mio amico: se hai una persona cara con un cancro, e senti che in Amazzonia c’è uno stregone che sputa il fumo addosso al paziente e può guarirlo, ce lo porti. Tanta è la disperazione. Il pensiero magico è consolatorio, sa ascoltare. Pratica che il pensiero scientifico talvolta ha perso.

Il ritorno dell’oscurantismo è un rischio, potrebbe essere combattuto con il convincimento, una azione di terapia psicologica. Forse. La caduta dell’autorevolezza delle funzioni e dei ruoli è talmente profonda in questa società che può non bastare. Che fare? È un affollarsi di domande più che di risposte.

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