È ora, è ora, è ora di cambiare! [di Giovanni Scano]

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È ora, è ora, è ora di cambiare! Il PCI deve governare! Così dicevamo in coro nelle tante manifestazioni negli anni 70. Il PD invece, che io ritengo nonostante tutto l’erede principale del PCI, la maggior parte delle volte si preoccupa più di vincere le elezioni (spesso e volentieri anche senza riuscirci) che di creare le condizioni per cui, in caso di vittoria, si sia in grado di Governare il cambiamento (con la G maiuscola).

Cosa manca? Manca il Partito (anche questo con la P maiuscola). Io penso che nel panorama politico italiano, il PD sia, con tutti i suoi difetti e le sue inadeguatezze, l’unica associazione politica che si possa chiamare Partito, nel senso costituzionale del termine (articolo 49). Non lo ritengo, tuttavia, allo stato attuale, adeguato a gestire un cambiamento sostanziale dello stato di cose presente.

Da dove partire quindi per realizzare una Democrazia migliore di quella che ci ritroviamo adesso? Secondo me, dalla Legge sui partiti politici, in ottemperanza a quanto si dice nell’articolo 49 della Costituzione. Anche per evitare che nascano organizzazioni più o meno a carattere personal padronale, con a capo un leader proprietario (ogni riferimento a Berlusconi e Grillo non è puramente casuale, ma potrei fare anche altri esempi), senza al loro interno una possibilità di partecipazione democratica degna di questo nome.

Questa deve essere la base del cambiamento, la conditio sine qua non. Quei partiti che non avessero una vita interna con regole conformi al dettato costituzionale non dovrebbero poter partecipare alle competizioni elettorali. A nessun livello. Adesso non è così. Attualmente forse solo il PD ha una vita interna con regole grosso modo coerenti con l’art. 49 della Costituzione.

Voglio dire che il PD va bene così com’è? Assolutamente no! Diciamo che nel panorama politico attuale esso rappresenta forse il meno peggio, se si potesse dire! C’è al suo interno ancora troppa politica politicista. Cosa voglio dire? Ho la sensazione che molti, troppi si occupino di politica non per perseguire i propri ideali, per cambiare in meglio, per tutti, la società ma talvolta solo per perseguire i propri obiettivi individuali, i loro interessi di bottega, si potrebbe dire.

Ricordo che nello statuto del PCI, quando mi sono iscritto nel 1975, si affermava che il militante comunista dovesse essere prima di qualsiasi altra cosa un cittadino esemplare. Non potrebbe essere lo stesso anche per il PD? E anche per tutti gli altri partiti, oserei dire? Anche perché non ci dobbiamo limitare a chiedere agli altri (ai politici), ma ciascuno dovrebbe impegnarsi in prima persona, assumendosi delle responsabilità. Siamo tutti politici!

Il problema è quindi, per chi si ritiene progressista: cambiare il PD. Una mano in tal senso la stanno dando forse anche i cittadini elettori. Negli ultimi tre anni il PD ha avuto successo, elettoralmente parlando, alle ultime europee e alle ultime regionali in Sardegna.

Nel 2014! Tutti gli altri appuntamenti elettorali li ha persi, o quantomeno non vinti, per dirla con Bersani. Perché? Secondo me manca una linea coesa e coerente. Manca un discorso di prospettiva. Si vive alla giornata. Bisogna tornare a programmare. In tutti i campi. E bisogna soprattutto programmare un piano graduale ma continuo di rientro dal debito pubblico.

Si enfatizzano riforme che lasciano per lo più il tempo che trovano: le sedicenti riforme istituzionali (bocciate col referendum dai cittadini elettori), l’altrettanto sedicente buona scuola che non ha inciso, e non incide strutturalmente nel modo e nelle condizioni concrete di fare scuola ma in modo solamente marginale e quindi non basta di certo per cambiamenti davvero qualitativi. Si è utilizzato un modo discutibile per evitare il referendum sui voucher.

Serve anche una legge elettorale che consenta a tutti i cittadini elettori di essere e sentirsi rappresentati e allo stesso tempo a chi vince le elezioni di poter governare. Per me quella più adatta sarebbe quella maggioritaria con doppio turno di collegio, cosiddetta di tipo francese, con l’aggiunta di una piccola quota proporzionale per consentire il diritto di tribuna anche ai piccoli partiti, a quelli veri.

E servirebbe soprattutto anche un’altra cosa: che i cittadini tornassero a partecipare attivamente alla politica. Che non delegassero, più o meno esplicitamente, sempre ad altri. Quest’ultima sarebbe forse la cosa (più) fondamentale.

 

One Comment

  1. Maria Luisa Vargiu

    Fin da bambina ho amato, fra le tante, due belle parole:
    Galantuomo e Onestà.
    Ho conosciuto molte persone perbene che non sono più, ed ho avuto l’esempio dell’ onestà.
    Mentre i politici parlano, si confrontano, e studiano percorsi più o meno tortuosi, sembra che le abbiano abolite dal loro importante vocabolario.
    ” Gliene sembrerà vergogna” ?
    Eppure sono termini rari e preziosi come i diamanti.
    Eppure sono da noi in estinzione come la bellezza che commuove.
    I nostri Padri Costituenti erano così galantuomini da non poter prevedere che sarebbe stato utile per il buon governo, disinteressato al potere ed al denaro, aggiungere a ” Repubblica fondata sul lavoro”, anche ” Repubblica fondata sull’ onestà”.
    Oggi gliene saremmo davvero grati e voteremmo con gioia !

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