C’è vita a sinistra e serve una lista, contro i malati di realismo [di Enzo Scandurra]

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il manifesto, 11 luglio 2017. Dopo il Forum C’è vita a sinistra (il manifesto, 8 luglio), ho letto, con attenzione, i commenti scambiati attraverso le reti dei social. Commenti disincantati, qualche volta delusi, del tipo: «Con questi personaggi e con questo dibattito, non andiamo da nessuna parte».

Ho da obiettare. Quando studiavo Storia dell’Architettura mi insegnarono che le cattedrali si costruiscono con le pietre che si trovano nei dintorni. Ma per non far torto ai partecipanti del Forum – nei riguardi dei quali questa affermazione potrebbe essere scambiata quasi per un insulto -, voglio dire che i D’Alema, gli Asor Rosa e gli altri partecipanti (forse non tutti) si sono dimostrati disponibili (e a titolo gratuito, politicamente parlando) a mettersi in gioco, a spendersi per la comune causa di un vero cambiamento a sinistra, come si conviene agli intellettuali e ai politici coraggiosi e degni di questo nome. In questo confronto i veri “vecchi” mi sono sembrati coloro che si ostinano a non scorgere i tanti segnali (contraddittori? Forse) di vita a sinistra, come fossero in attesa di un messia che sveglia d’incanto le masse addormentate.

In una intervista (Alias dell’8 luglio), a proposito del film di Rossellini Germania anno zero, Luc Dardenne afferma che: «Bisogna cominciare con il cominciamento. E il cominciamento di tutto è il coraggio». Coraggio che «è il momento della decisione radicale, un momento di rottura e non la risultante di un processo di continuità, il momento di una decisione che non è frutto di un sapere e che, al contrario, si produce grazie e malgrado la conoscenza del pericolo che si corre, della paura che si avverte».

Ora io credo che siamo in questa fase particolare che richiederebbe l’abbandono (non la rimozione, certo) delle incertezze, delle tante illusioni tradite, degli errori compiuti in questo tentativo, per scoprirci ottimisti e fiduciosi e coraggiosi “malgrado”, malgrado tutto. E questo anche perché ogni cinismo politico, sia pur improntato al realismo di ciò che è successo, in questa fase, è una manifestazione di rinuncia. Siamo ormai diventati troppo abili nel criticare Renzi e le sue derive di destra, così come siamo diventati professionisti della disfatta che quasi evochiamo, prima ancora di metterci in marcia, prima ancora che questa si realizzi (o si autorealizzi).

Quando ascolto D’Alema parlare della nuova sinistra, o Asor Rosa, o Montanari, non mi chiedo cosa abbiano fatto, o non fatto, costoro nel passato. Mi dico invece: ma non è quello che speravamo che costoro prima o poi facessero? Che gridassero ai quattro venti che “il sovrano è nudo”, come sapevamo da tempo, ma come non riuscivamo a dire? Non parlavamo noi del silenzio (colpevole) degli intellettuali?

So che non basta. Non saranno (solo) loro a cambiare le cose (ma neppure essi lo pensano); ma perché tanto cinismo e risentimento di compagni mascherato da realismo? Il realismo può diventare una malattia mortale quando ci impedisce di vedere i segnali del cambiamento; diventa un freno alle passioni, irretisce le menti anziché illuminarle.

Abbiamo già un campione del realismo: è Renzi, che ad ogni girar di vento, cambia tattica e obiettivi (ora, ad esempio, è in sintonia con Salvini sulla questione della difesa delle frontiere). Realisti erano quegli intellettuali che, appena affermato il fascismo, si radunavano sotto il balcone di Piazza Venezia per sentire i discorsi del Duce. E poi, a sera, si rivedevano in un’osteria a ridacchiare delle cose ascoltate: «questo qui», dicevano con realismo, «non dura più di un mese». Mussolini dimostrò più fantasia di loro e sappiamo come è andata a finire quella storia.

Mi piacerebbe che su questo giornale e sui social arrivassero migliaia (milioni?) di lettere con la scritta «Io ci sto!» o, «Per favore, voi che avete l’ambizione di rappresentarci, mettete da parte i vostri problemi personali; vogliamo una sola lista di sinistra alle urne, altre soluzioni non le accetteremmo». Non sarebbe falso ottimismo ed è inutile invocare la memoria triste dell’Arcobaleno. La storia non si ripete mai nello stesso modo due volte, se non nelle menti malate dei realisti. Uno slogan del maggio francese del Sessantotto diceva: «Ancora uno sforzo compagni…», e questa volta la storia può cambiare.

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