C’è coincidenza di incentivi volumetrici nelle leggi sul turismo e sull’urbanistica della giunta Pigliaru [di Antonietta Mazzette]
Il 28 luglio scorso è stata approvata la L.R. n. 16 “Norme in materia di turismo” mentre, da alcuni mesi è all’attenzione pubblica la proposta “Disciplina generale per il governo del territorio”, meglio nota come Legge Urbanistica Regionale. Se sulla prima le opinioni critiche tutto sommato sono state assai contenute, sulla seconda si è sviluppato un denso dibattito critico, sollevato da autorevoli intellettuali, tecnici, giuristi. Viceversa, i sostenitori entusiasti dell’una e dell’altra norma sono non casualmente gli stessi. Infatti, se facciamo una lettura comparata della legge sul turismo e della legge urbanistica, appare chiaro quale sia l’orientamento complessivo del governo regionale. Alla base del mio percorso riflessivo vi sono tre quesiti. Qual è la filosofia di fondo insita in queste norme? Quale idea di sviluppo e di turismo vengono esplicitate? Chi sono i principali interlocutori a cui la Giunta regionale rivolge dette norme e proposte? Tralasciamo le Finalità e i Principi dichiarati, nei quali la parola “sostenibilità” ricorre in modo fastidiosamente retorico, parola che viene immediatamente disattesa negli articoli successivi. Infatti, se la filosofia che guida entrambe le norme fosse stata realmente quella della sostenibilità, sarebbero state sufficienti poche righe iniziali del tipo “La Regione Sardegna si impegna a non consumare altro territorio per i prossimi cinquant’anni e si impegna, altresì, a orientare ogni intervento verso il riuso e il recupero del patrimonio esistente”. Stop al consumo del suolo, dunque, e non un generico “minimizzazione del consumo del suolo” richiamato qualche volta nel testo della proposta di legge urbanistica, assente del tutto, invece, nel testo approvato sul turismo. Eppure, di ragioni per sostenere lo stop al consumo del suolo ce ne sarebbero tante. In primis, perché la Sardegna è tra le regioni che, sia in termini assoluti sia in rapporto alla popolazione, si colloca stabilmente ai primi posti per il consumo del suolo, in modo particolare a ridosso delle aree urbane e lungo le coste. In secondo luogo, perché a fronte di una popolazione che invecchia e non subisce ricambi (è di questi giorni l’ennesimo allarme che in Sardegna il rapporto vecchi/giovani è di 6 a 1), c’è un eccesso di edifici di cui già oggi le generazioni più giovani non sanno come mantenere, vuoi per il loro reddito che è mediamente più basso di quello dei loro genitori, vuoi perché si tratta di persone con lavori precari nel migliore dei casi, quando non disoccupati, vuoi perché i nostri giovani stanno letteralmente scappando dall’Isola in cerca di un vero lavoro. Pertanto, è facile prevedere che questo sterminato patrimonio edilizio nel prossimo futuro sarà in balia del degrado e dell’abbandono, esattamente come è lo è già gran parte di quello disseminato nei nostri paesi sempre più spopolati. C’è una coincidenza di intenti, ossia di incentivi, nella legge sul turismo e in quella urbanistica. Guarda caso, questi incentivi riguardano incrementi di volumetria (amovibili e non), come se i problemi di sviluppo della Sardegna, e non solo di quello turistico, avessero a che fare con la capacità ricettiva degli alberghi (e quant’altro), per lo più chiusi nove mesi all’anno, ad eccezione di quelli situati in aree urbane come Sassari e Cagliari, e non invece in tutti quei fattori che possono rendere un luogo attraente sia per i residenti che per i turisti. Mi riferisco principalmente alla cura di un luogo e dei suoi abitanti, alla possibilità di accedervi facilmente, alla professionalità che dovrebbe caratterizzare quanti intendono occuparsi di economia turistica e non solo. Sono questi gli ingredienti che fanno di un luogo un Buon Luogo, insieme alla capacità di produrre beni primari e secondari (ossia quelli derivanti dall’agricoltura, dalla pastorizia e dalle industrie, piccole e grandi). Orbene, il testo sul turismo è stato approvato, ma l’idea di turismo che sottende è ancora quella di cinquant’anni fa. Siamo invece ancora in tempo ad archiviare il testo di legge urbanistica della Giunta regionale e che, a mio avviso, è inemendabile, proprio per la filosofia di fondo sui cui si poggia, in primis il principio di perequazione, i presunti diritti edificatori dei proprietari di suolo, l’impianto per così dire normativo a cui questa proposta è stata ispirata: il Piano Casa nelle sue varie edizioni. Una breve considerazione, per concludere: l’assessore Erriu è recidivo. È l’autore della legge regionale sul riordino (si fa per dire) degli Enti Locali, mentre ora ha la paternità della proposta di legge urbanistica. Il primo testo è stato confezionato con tecnica legislativa irresponsabile, confidando nel fatto che il referendum del 4 dicembre scorso avrebbe eliminato la Provincia come ente di area vasta. Ne deriva un pasticcio inestricabile, in cui si sommano dannosa moltiplicazione di enti, confusione delle competenze e aggravi di spesa, che si coniugano con la mancanza di fondi per provvedere a funzioni essenziali. Nessuno sembra intenzionato a intervenire per rimediare al mal fatto. Allo stesso modo, il contenuto della nuova normativa urbanistica proposta sembra costruito come primo (ma decisivo) passo per lo scardinamento del PPR. All’orizzonte non si profila alcun referendum, per cui è legittimo temere che il danno possa, questa volta, restare senza rimedio. |