L’assessore “Stigecristo”[di Silvano Tagliagambe]
C’è chi, come il conte di Montecristo, protagonista del famoso romanzo d’appendice di Alexandre Dumas, trova in un’isola in mezzo al mare un enorme tesoro e lo utilizza per realizzare i suoi propositi e scomparire poi nel nulla, dopo aver lasciato una considerevole ricchezza alle persone che lo avevano aiutato. E c’è invece chi fa l’esatto contrario, cestinando il classico biglietto vincente della lotteria che gli era capitato tra le mani. Questa è la storia di un assessore che chiameremo Stigecristo perché, avendo ereditato un autentico tesoro accumulato da altri, anziché metterlo a frutto come il conte di Montecristo e scalare le vette di una montagna, è precipitato e ha fatto precipitare il sistema che ha governato in un abisso, una sorta di “morta gora” fangosa, simile a quella palude descritta da Dante all’inizio del canto VII dell’Inferno che il fiume infernale Stige forma nei pressi delle mura della città di Dite.
Il conte di Montecristo avrebbe saputo come far fruttare questo autentico tesoro, utilizzandolo per i suoi fini: l’assessore Stigecristo, invece, non trova di meglio che buttarlo a mare. Come? Boicottando e facendo fallire il progetto da 125 milioni di €, dopo averlo varato egli stesso con tanto di pomposi proclami retorici; disperdendo al vento le pregresse iniziative che avevano portato al miglioramento delle competenze matematiche, scientifiche e di comprensione del testo; facendo pasticci clamorosi sul dimensionamento scolastico, con virate improvvise e inversioni di rotta che hanno portato all’annullamento, da parte del Tar, della deliberazione della Giunta Regionale avente ad oggetto, appunto, il Piano di Dimensionamento delle Istituzioni Scolastiche e di ridefinizione della rete scolastica e dell’offerta formativa per l’anno scolastico 2013/2014, sentenza confermata dal Consiglio di Stato, che ha dichiarato improcedibile il ricorso avverso presentato dal MIUR, con conseguenze dirompenti per la regolarità dell’anno scolastico in corso. E, infine, evitando di cogliere le opportunità della citata legge 35/2012, pur essendogli stata preparata in anticipo, addirittura nel giugno del 2011, una delibera, la n. 28/69, approvata dalla Giunta regionale il 24 dello stesso mese, che prevedeva la realizzazione di una governance del sistema scolastico regionale, diffusa territorialmente e rappresentativa dei suoi diversi livelli e delle sue diverse realtà, alla quale delegare la funzione di supporto operativo delle azioni da attuare. In particolare si proponeva di costituire, all’interno del sistema scolastico medesimo, strutture organizzative in grado di assicurare il positivo e rapido sviluppo di interventi che ne migliorassero l’efficacia, garantendo una più diretta e consapevole partecipazione di tutti i soggetti (docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo) operanti in esso.
Queste strutture erano individuate in 12 reti di scuole, che avrebbero dato vita a un tipo di organizzazione del sistema scolastico regionale al quale si sarebbe potuto agganciare l’organico di rete prefigurato dalla legge approvata un anno dopo. Non si è neanche provato a farlo, approfittando subito del “varco” fortunosamente aperto dalla normativa nazionale, perché la delibera citata è rimasta del tutto inattuata, e non si capisce per quale motivosia stata portata all’attenzione e all’approvazione della Giunta per poi lasciarla, come un sogno, nel cassetto. Insomma un disastro in piena regola, che lascia il sistema scolastico regionale (per non parlare dell’informazione, dei beni culturali, dello spettacolo, dello sport, tutti comparti affidati alla gestione dell’assessore Stigecristo) in una situazione di completa paralisi e di significativo arretramento rispetto alla situazione acquisita nel quinquennio precedente, tanto più grave e allarmante se si considera che, come ha scritto Francesco Pigliaru il 30 dicembre scorso in un commento pubblicato da La Nuova Sardegna, “la principale ‘politica industriale’ che ci serve è molto diversa da quella di moda fino a pochi anni fa: oggi si chiama, semplicemente, istruzione e formazione di qualità per tutti. Nessun’altra politica è più urgente di questa. Senza un piano straordinario per modificare profondamente l’attuale stato delle cose in materia di istruzione e di formazione continua, il futuro economico della Sardegna sarà molto amaro”. E adesso? Adesso occorre cercare di risalire il più rapidamente possibile dal precipizio in cui si è caduti per inerzia, insipienza e cieca sudditanza alle politiche e agli intrighi ministeriali, assumendo tutte le prerogative e i poteri che sono in capo alla Regione in applicazione delle leggi garantite dalla Costituzione e dallo Statuto e, nel caso quelli esistenti non fossero sufficienti, rivendicando e rendendo operativi i nuovi livelli di autogoverno necessari. Bisogna farlo con la partecipazione attiva del mondo della scuola in tutte le sue articolazioni, mettendo a fuoco i problemi che ostacolano il funzionamento del sistema scolastico e ne compromettono l’efficienza e l’efficacia e ridando nuovo smalto, nuovo entusiasmo e nuova dignità al lavoro dei dirigenti, dei docenti e del personale tecnico-amministrativo. Bisogna farlo coinvolgendo in questa azione di rilancio gli studenti e le loro famiglie, facendo capire quanto sia dannosa e autolesionistica ogni divisione e contrapposizione tra le componenti che fanno della scuola l’unico luogo rimasto di dialogo autentico e di continuo scambio di esperienze tra generazioni diverse, depositario di quella funzione grazie alla quale ciascuno di noi assume il ruolo di “cinghia di trasmissione” dell’eredità del passato di sede dei progetti della storia del futuro. Parlare di tradizione e innovazione e della loro necessaria alleanza è del tutto inutile se non si attiva e non si valorizza questa funzione di interfaccia tra la memoria e il progetto, tra ciò che si è stati e ciò che si vuole diventare. Ce lo dicono tutti gli studi di psicologia cognitiva e di neuroscienze, che non a caso insistono sul valore essenziale e imprescindibile, per i soggetti individuali e collettivi, della capacità di proiezione e di radicamento, assicurata da quello che viene chiamato “Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione (STRP)”, a sua volta “garantito da tre diversi sistemi di elaborazione: l’intelligenza ecologica (il sistema percettivo-motorio e i dispositivi legati alla rappresentazione dello spazio); l’intelligenza sociale (il sistema di lettura della mente adibito alla costruzione di uno spazio condiviso con gli altri organismi); e infine l’intelligenza temporale (la capacità di viaggiare nel tempo alla base della costruzione della continuità esperienziale degli individui. Per quanto elaborino tipi di informazione molto diversi, i tre sistemi cognitivi in questione trovano un punto di convergenza nella duplice capacità di trarre alimento e forza dalla proprie radici e, nel contempo, di riuscire a sganciarsi dalla situazione e dall’ambiente nel quale si vive per proiettarsi in situazioni alternative nello spazio e nel tempo, facendo emergere quella che usualmente viene definita la «capacità di vedere e pensare altrimenti» rispetto agli stili percettivi e cognitivi egemoni nel proprio ambiente o ereditati dalla tradizione, che per continuare a essere vitale ha bisogno non solo di riprodursi in una sua stucchevole intangibilità, ma di rinnovarsi con apporti creativi, pur continuando a mantenere un proprio profilo e una propria non fittizia identità. Un programma di questa natura richiede determinazione, audacia, lucida consapevolezza dei problemi e delle difficoltà contro ogni ottimismo di facciata e capacità di reagire alle avversità senza cedere allo sconforto. Esige fiducia nel futuro nonostante tutto, convinzioni forti, valori condivisi, slanci ideali, il coraggio e la volontà di gestire la precaria condizione in cui ci troviamo senza pensare o pretendere di averla completamente in mano. Direbbe Giorgio Gaber se fosse ancora tra noi: per avere la capacità di vivere davvero in una situazione come quella che stiamo attraversando dobbiamo sentirci autorizzati dalla mente a credere che la nostra storia, positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà, senza per questo far finta di essere sani.
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