Il pessimo affare del turismo senza regole [di Manuel Castells]

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Internazionale, 18-24 agosto 2017. Quest’anno il numero dei turisti in Spagna si avvicinerà agli ottanta milioni, con un aumento dell’11 per cento rispetto al 2016. La Catalogna ne ha ospitati quasi il venti per cento. Nel 2015 l’industria turistica rappresentava l’11,1 per cento del Pil e il 12 per cento dell’occupazione.

Oggi 2,8 milioni di persone lavorano in questo settore. Il turismo traina l’economia spagnola e il paese è avvantaggiato, perché le altre possibili mete nel Mediterraneo sono diventate più rischiose e perché i cittadini europei spendono sempre più per i viaggi (questo, paradossalmente, non vale per i cittadini spagnoli: il 40 per cento di loro quest’anno infatti non è andato in vacanza).

Si tratta di un turismo a buon mercato, con una spesa media di 129 euro al giorno, molto più bassa rispetto a Francia o Italia. È anche diminuita la permanenza media, che è scesa a 7,9 giorni. Il settore sta passando sempre di più dalle mani dei tour operator e delle grandi catene alberghiere a quelle dei siti internet come Airbnb, che gestiscono pernottamenti non sempre in regola con la complicità di proprietari e inquilini speculatori in rotta con i vicini.

La saturazione è evidente: alle Baleari quest’anno sono attese due milioni di persone, quando i residenti delle isole sono in tutto 1,1 milioni. Una situazione che ha delle ripercussioni sui servizi pubblici (in primo luogo sulla sanità), che non riescono a soddisfare le necessità di questa popolazione stagionale. C’è un rincaro di affitti e prezzi, per la distorsione tra la domanda globale e l’offerta locale. I residenti sono costretti ad abbandonare le loro città e a volte la convivenza civile è messa in crisi dai turisti che esagerano con l’alcol e le droghe.

Questo spiega le reazioni dei cittadini in diverse località di villeggiatura, soprattutto in Catalogna e alle Baleari, i territori più sottoposti a questa pressione incontrollata. Non sono reazioni violente. Il lancio di coriandoli non provoca feriti e nessuno slogan scritto sui muri da persone esasperate si è tradotto in aggressioni. Paragonare questa protesta, come ha fatto il Partito popolare, alla kale borroka (le azioni di guerriglia urbana degli indipendentisti baschi) è un’offesa a chi in passato ha sperimentato sulla sua pelle le violenze dei separatisti dell’Eta.

È eloquente che i popolari, sempre più al centro delle critiche, vedano in qualsiasi protesta un potenziale reato. In realtà, considerando il mondo in cui viviamo, le iniziative simboliche di protesta contro il turismo senza limiti sono servite a risvegliare la coscienza civile e politica, facendo capire che siamo di fronte a un problema serio.

Per molti i disagi sono il prezzo da pagare per un’attività economica che dà da vivere a molte aree del paese. In realtà, i vantaggi sono discutibili. Chi pensa che questo tipo di turismo faccia bene alla Spagna ha un’idea obsoleta dell’economia, in cui contano solo i profitti delle aziende e la creazione di posti di lavoro. Dimentica però il contributo allo sviluppo della ricchezza del paese a lungo termine e non considera i costi non contabilizzati: di bilancio, sociali e ambientali.

Perché la madre dell’aumento della ricchezza è la produttività del lavoro. Tra il 2000 e il 2014 la produttività spagnola non è cresciuta e oggi aumenta quasi dell’un per cento all’anno, molto meno rispetto ai paesi vicini. Questa situazione è direttamente legata al predominio di settori a bassa produttività, come il turismo e l’edilizia. La bassa produttività non dipende solo dal tipo di attività (negli Stati Uniti e in Francia, il turismo è più produttivo della media), ma anche dall’abbondanza di lavoratori scarsamente qualificati.

Nei pochi mesi in cui lavorano nel settore turistico, le persone non hanno il tempo di diventare più qualificate e gli imprenditori non hanno interesse a investire nella formazione. Come denunciano i sindacati, spesso le condizioni di lavoro sono difficili (sovraffollamento, alti ritmi di lavoro, precarietà).

I salari sono i peggiori sul mercato del lavoro, mille euro o meno in media. Questa situazione ha conseguenze importanti sul welfare, perché gli stipendi bassi finanziano a malapena la previdenza sociale, mentre i servizi di sanità, istruzione e pensione devono comunque essere garantiti a questi lavoratori e alle loro famiglie.

Più lavoro precario si crea nel settore turistico, più si aggrava la crisi del welfare e meno si contribuisce al miglioramento dell’economia, che è legato alla capacità di consumo della popolazione. Le Baleari, che erano la regione spagnola più ricca, stanno perdendo terreno proprio per questo motivo.

Al buon andamento del settore si accompagnano la precarietà e i bassi salari, oltre all’impatto negativo sull’ambiente e sulla qualità della vita dei residenti. Un turismo con più regole,  come propone il governo delle Baleari, sarebbe una benedizione per il nostro paese. Quello attuale   non è sostenibile e fa danni sia dal punto di vista sociale sia da quello economico.

 

One Comment

  1. Analisi ineccepibile, come del resto quelle a cui Castells ci ha abituati, nei lunghi anni di sua conoscenza e apprezzamento scientifico e politico. Aggiungo, per la mia pur piccola esperienza in merito, che la sostenibilità del turismo si misura anche con quella dei mezzi di trasporto occorrenti a raggiungere le mete. Da stime accreditate infatti risulta che il peso energetico-ambientale dei trasporti in settore turistico raggiunge e supera il 70% del totale “footprint” delle attività turistiche. Creare sostenibilità “on-site” quindi incide davvero poco sulla sostenibilità generale del sistema turistico internazionale, che comunque è basato sulla mercificazione dell’offerta secondo i canoni tradizionali dell’economia. Occorre quindi un radicale cambiamento di visione che solo pochi stanno osando. Cioè la qualificazione del turismo come motore responsabile di crescita sociale e di consapevolezza ambientale per amministrazioni locali, gruppi organizzati, famiglie e singoli individui. I costi ambientali dei trasporti non possono non essere recuperati se non con un’erosione dei profitti degli operatori, sotto forma di tasse ambientali, e con uno stretto e responsabile contingentamento dei flussi a carico dei viaggiatori. Auspico, a seguire, la creazione di un vero Personal Footprint Account (che altrove ho chiamato Personal Environmental Account) che misuri crediti e debiti ambientali della persona in base al suo stile di vita, e ne renda più responsabili e sostenibili le scelte di vita anche nello svago. Senza per questo prefigurare sistemi di controllo delle libertà da regime totalitario. In situazioni di emergenza, come quelle in cui siamo finiti, occorrono scelte forti e consapevoli.

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