Diario semiserio ma non troppo di un sindaco neoeletto [di Sergio Vacca]

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Dalle cinque del mattino di lunedì 12 giugno sono sindaco di un piccolo paese della Sardegna. Da quel giorno ho la netta sensazione d’essere salito su una bicicletta con le ruote quadrate, la cui mobilità è stata alla base della seconda prova di Maturità di quest’anno per il Licei Scientifici.

La bicicletta, in realtà, esiste e si trova al   Museum of Mathematics di New York. E può muoversi,  pedalando, a condizione però che lo si faccia su una superficie che presenti delle piccole dune, che sono un particolare tipo di curva detta catenaria, rappresentabile da un’equazione matematica che i maturandi hanno dovuto risolvere. Il problema del sindaco  di questo piccolo paese della Sardegna è che deve muovere la bicicletta non su una catenaria, bensì su superfici piane. Ergo, la bicicletta resta ferma!

Però, dalle cinque del mattino di quel fatidico lunedì, c’è una lunga fila di cittadini che attende risposte dal sindaco e dai suoi assessori. Richieste giuste, sacrosante per il cittadino che manifesta le proprie esigenze, talvolta in forma di lamentele. Alle quali occorre dare risposte. I problemi cominciano nel momento in cui occorra mettere mano al portafoglio. Le casse: semivuote! Non me la prendo con i miei predecessori, che – immagino – abbiano cercato al loro modo di soddisfare le esigenze dei concittadini. Avrei delle riserve in merito alle scelte effettuate da loro, ma non è questo che ho interesse di evidenziare.

La grande – direi enorme – perplessità riguarda l’avanzo di amministrazione. Dimensione: quasi un milione e mezzo di euro. Disponendone, si potrebbero riparare strade, fare la manutenzione degli edifici storici di cui è ricco il paese; riparare il tetto della chiesa parrocchiale; riaprire l’asilo nido per le madri lavoratrici; e l’elenco sarebbe tanto lungo da occupare numerose pagine di questa rivista. No! Quei soldi, non spesi all’interno dell’esercizio  finanziario a cui si riferivano, non sono utilizzabili.

Non lo sono a causa del cosiddetto Patto di Stabilità e del Pareggio di Bilancio. Tre quarti di quella somma sono già stati incamerati dallo Stato. La parte rimanente è unicamente utilizzabile in occasione di calamità naturali; perfettamente e puntualmente elencate in un articolo del relativo Decreto Legislativo: terremoti, alluvioni e via elencando. Mi domando. E noi che non abbiamo – per fortuna – terremoti, quei soldi li potremo mai utilizzare? Con i miei colleghi di giunta, abbiamo pensato che possa essere considerata “calamità naturale” l’invasione di termiti, nome scientifico “Isoptera”, che letteralmente divorano le travi lignee del tetto di un edificio storico. Che, perciò è a rischio di crollo!

Devo aspettare che il disastro si verifichi o posso sperare che prima del nefasto evento  le autorità competenti mi autorizzino ad utilizzare il terzo rimanente dell’avanzo di amministrazione?

Ma non è finita! Dal 1997 al 1999, il Parlamento nazionale approva le quattro leggi, cosiddette Bassanini, dal nome del suo proponente: Bassanini semel, bis, ter e quater i nomi dei provvedimenti. Obiettivi delle norme: la semplificazione delle procedure amministrative e dei vincoli burocratici alle attività private ed il  federalismo amministrativo, cioè il perseguimento del massimo decentramento  realizzabile con legge ordinaria, senza modifiche costituzionali.

Fin qui tutto bene! Salvo – e riporto integralmente critiche di autorevoli commentatori alla Bassanini bis – il fatto è che essa, contrariamente alla sua finalità dichiarata, abbia aumentato il grado di politicizzazione della burocrazia locale di Comuni e Provincie in special modo di quella di qualifica dirigenziale: questa legge avendo creato un sistema dove gli incarichi dirigenziali sono revocabili  dagli organi di governo politici, ed avendolo creato in costanza della giurisdizione del giudice civile ordinario sui rapporti di impiego dei dipendenti pubblici locali, ha in pratica contribuito fortemente ad indebolire l’imparzialità della burocrazia degli enti locali favorendo la fidelizzazione politica dei dirigenti.

Infatti nella cultura giuridica dei giudici civili ordinari del lavoro è molto scarsa l’attenzione sulla virtù e sull’imparzialità del funzionario pubblico, essendo il diritto civile, applicato da costoro, tutto basato sulle categorie semplicistiche dell’adempimento o dell’inadempimento al contratto (che a livello di giudizio comportano una sopravvalutazione dell’attitudine all’obbedienza al superiore e una considerazione meramente “quantitativa” dell’impegno profuso dai funzionari, con una conseguente trascuratezza rispetto a categorie di valutazione “qualitative” come ad esempio l’imparzialità procedimentale e la giusta tutela degli interessi dell’utenza e dei cittadini).

Per tal modo i dirigenti comunali sarebbero di fatto incentivati a schierarsi con un’appartenenza politica quale unico mezzo per vedersi garantita la carriera o almeno la posizione; non necessariamente omogenea al governo politico dell’ente locale (laddove sia abbastanza estesa da rendere tali burocrati una compatta opposizione interna).

I funzionari, forti di questo, nell’esprimere i loro pareri di congruità su una delibera di Giunta o di Consiglio, possono essere tentati talvolta dall’ergersi a giudici, assentendoli o negandoli, spesso con motivazioni che poco o nulla hanno di tecnico, sbordando nel campo politico.

Non è facile di conseguenza il cammino di sindaci, giunte e consigli comunali che devono, per il bene collettivo, mettere in campo  una testardaggine positiva attraverso il dialogo costante con le comunità, ma anche con l’apparato amministrativo.

 

 

 

 

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