Lo “Spritz People” di Cagliari, al di là delle apparenze, è la metafora di una Sardegna disperata [di Sandro Roggio]
Leggo Alessandro Mongili qui e invidio, confesso, lo “Spritz People” cagliaritano, l’unico segno di vita in quest’isola disperata. Vista da Sassari, seconda città della Sardegna, pure questo “effimero pavoneggiarsi nell’ultimo spot andato a segno” è in fondo una speranza. Peccato che chi guarda la Sardegna se la immagina in continuità con la movida del centro di Cagliari che deborda dai portici di via Roma pure sotto il solleone e magari a settembre mentre scende la pioggia. E invece la Sardegna sta male; e credo che non ci sia da aspettarsi nulla di buono, almeno in tempi brevi. Lo dicono i numeri dell’ economia del Paese a chi non si fa incantare da qualche misero più. Lo fa temere lo stato di salute del territorio dalle nostre parti, che non produce più ricchezza, la scarsità di coltivazioni agricole anche nelle condizioni più favorevoli. Mentre aumentano gli scenari dell’abbandono e del degrado ambientale, la doppia faccia della malasorte sarda. Cicatrici ovunque: grandi quantità di aree disboscate/incendiate, avvelenate da cascami industriali, da allenamenti di guerra, manomesse dall’ anarchia edilizia che qualcuno auspica. Il malessere non riguarda solo i luoghi del tracollo demografico di cui si parla finalmente. Tocca parti del sistema insediativo più solido che scivolano nella depressione, più di quanto emerga dai conti. La rilevazione a occhio, si sa, è approssimativa, ma può servire per farsi un’idea tempestiva di come vanno le cose. Pure a chi, per pignoleria accademica, preferisce aspettare le ultime rilevazioni e si rassicura per la vitalità all’ora dell’aperitivo nello storico bar casteddaio. La marcia verso la dissipazione territoriale sembra inarrestabile. Il partito del sì a tutto, la testa a Cagliari, rilancia e trova ancora consensi (penso ai programmi recenti di trivellazioni/fotovoltaico in danno alla natura e alle produzioni agricole e al DdiL Pigliaru-Erriu sull’edilizia). Linea temeraria che avvalora la tesi di Bertrand Russel, “l’equilibrio tranquillizza, ma la pazzia è molto più interessante”. E produce contraddizioni e disuguaglianze: si capisce cambiando il punto di vista. Perché non si vede la Sardegna più sfigata con lo sguardo fisso sul quartiere cagliaritano dello Spritz. Dove arrivano attutiti i mugugni di Barracca Manna, immaginarsi quelli del Goceano o dell’Anglona. E vorrà dire se i pastori si appellano a Briatore. Cagliari è un’ oasi. L’impressione è che stia molto meglio del resto dell’isola. Saranno d’accordo pure le bellas mariposas che quel surplus di privilegi protegge almeno un po’ dal vento della crisi. Conta il ruolo direzionale svolto dal capoluogo accresciuto da secoli, da ultimo con la legge di riforma degli enti locali: l’attribuzione del rango di “città metropolitana” ( che non è buccia di ciogga, dicono i sassaresi) nessun giovamento 50 km più su. D’altra parte la politica, quella che conta, non ha mai smesso di accumulare funzioni, servizi alti, opportunità e investimenti nella città che l’accoglie, accentuando il divario tra l’area urbana a sud e il resto dell’isola. Scontato quello con le propaggini della “paesitudine”. Metto Sassari, seconda città della Sardegna, che ci aveva pure pensato di competere con Cagliari, fascinosa da capogiro. Gara impossibile, e infanti la recente ripresa delle transazioni immobiliari premia Cagliari con + 20,7, mentre Sassari si ferma a + 6,4% (secondo l’Ag.Entrate). Champagne. Sassari in affanno, potrei indicare molti luoghi che lo confermano. Scelgo la stazione ferroviaria. Una delle architetture protagoniste della Modernità europea, celebrate nei dipinti tempestivi di Monet; diventate simboli e poi baricentri del rinnovamento urbanistico dappertutto. Oggi la solenne quinta neorinascimentale nella piazza sassarese è sovrabbondante. Dentro non trovi il clima effervescente, quello che evoca il mito della locomotiva, “la macchina pulsante” della canzone di Guccini. Ma non c’è più neppure il bar, desolatamente chiuso da anni, neppure una gazzosa. La immobilità della stazione non è solo la sintesi della retrocessione di Sassari. Racconta la frustrazione del progetto di collegamento tra i due Capi, dell’idea che l’isola potesse giovarsi dell’ avvicinamento delle due principali aree urbane auspicato dai Savoia con la realizzazione della strada reale nel primo Ottocento. La rete ferroviaria che ha contribuito alla affermazione di Sassari non si è ramificata secondo l’auspicio lungimirante dell’ingegnere Piercy nel secondo Ottocento. Finita lì. Grosso modo le stesse tratte delle origini – private dei rami secchi, ricordate? Oggi il ritardo è di decenni, ciuf ciuf rispetto alla meraviglia dei supertreni, chiamati frecce. Una pena da Macomer in su, e si capisce. Raramente da Cagliari si va oltre San Gavino. Sassari paga gli errori di politiche locali; ma la condanna alla sua marginalità è stata decisa, almeno da mezzo secolo, in palazzi distanti. Il deficit di infrastrutture nell’area ( anzitutto porto e aeroporto) ha demoralizzato la originale organizzazione policentrica Sassari- Alghero-PortoTorres, e inibito chissà quante avventure imprenditoriali. E non deve sorprendere che il ceto egemone sia ben determinato a conservare tutto, ma proprio tutto lì dove è insediato ed insensibile alle conseguenze dello sbilanciamento territoriale dell’isola. Meraviglia molto che questa propensione reazionaria sia assecondata dai rappresentanti territoriali di due terzi dell’isola. La Sardegna con un solo Capo è una tragedia per tutti i sardi.
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Pocos locos y mal unidos. Invidia per gli altri, tanto più se hanno successo, e nessuna autostima per sè. Parole fintamente contemporanee per proporre le tradizionali lamentazioni di chi soffre, inconsapevole, della sindrome del n. 2.. Proporrei una seduta dallo psichiatra
Guarda Fran (?) che io io non fingo mai- neppure la contemporaneità… perché so di essere all’antica come mi rimprovera un amico renziano che crede di essere libero ed ecologista. Tu non hai bisogno di un medico, ma è consigliabile a chi commenta senza firmarsi… di pensarci. Prova a interrogarti al buio -amica mia- sulla tua mancanza di coraggio: di dire chi sei qui e chissà in quante altre occasioni. Può servirti a ritrovare un’identità politica, a uscire dall’imbarazzo di scoprire di essere un po’ democristiana. Se non ce la fai rilassati quando leggi e magari rileggi. Bevi molta acqua.
Forse Fra intendeva dire che noi dei paeselli lontani dobbiamo gioire della nostra colpa di essere nati senza mari e lontani dalla Grande Metropoli, senza invidie e livori atavici.
Però un pizzico di incazzatura possiamo averlo,
O no?