Il nostro lusso. Il turismo in Sardegna fra lavoro e cultura [di Gabriele Pinna]
Nonostante le differenti forme di turismo (di lusso, di massa, culturale, balneare, per citare qualche esempio) si differenzino anzi tutto per il tipo di lavoro che generano, due voci contrapposte si levano regolarmente dal coro degli analisti dei fenomeni turistici. La prima insiste sulla necessità di promuovere l’industria turistica, costi quel che costi. Questo banale principio permetterebbe di ottenere ricchezza e lavoro. La seconda, invece, mette in guardia contro le conseguenze negative del turismo. Le comunità locali continuerebbero ad essere afflitte dagli annosi problemi di disoccupazione e sottoccupazione con l’aggravante della perdita dei valori e delle identità culturali di riferimento, sacrificate sull’altare del Tourist Gaze di cui tanto ha scritto il sociologo inglese John Urry. Entrambe le correnti di pensiero tendono a caricaturizzare il fenomeno turistico, l’una in positivo, l’altra in negativo. Tuttavia, è possibile discutere di sviluppo turistico dimenticando di che cosa fa, e come lo fa, chi mantiene in vita il turismo giorno dopo giorno? Le attività lavorative turistiche non si discostano in modo sostanziale da quelle domestiche. Vivere di turismo per molti lavoratori, e ancor di più, lavoratrici, significa fare le pulizie, preparare e servire pasti, lavare i piatti. Le cameriere ai piani, le donne delle pulizie e i camerieri costituiscono tradizionalmente l’asse portante dell’industria turistica. Trattandosi di un dirty work che in pochi vogliono fare, queste figure professionali sono mal pagate e poco valorizzate. Un’altra categoria consistente di lavoratori è impiegata nelle reception di alberghi, B&B, campeggi, etc.. La Francia vanta una tra le industrie turistiche più sviluppate al mondo. Accoglie il numero più elevato di turisti stranieri (84,5 milioni, in Italia sono 50,7 milioni). Tra i circa 1 166 000 occupati nei settori legati all’industria turistica (compresi i trasporti), 363 000 lavorano nella ristorazione tradizionale (escludendo i fast food) e ben 230 000 sono camerieri. Gli alberghi impiegano circa 180 000 lavoratori. Gli studi sociologici sul settore alberghiero e della ristorazione hanno messo in evidenza condizioni lavorative particolarmente dure: turni massacranti con il corollario di ore di straordinario non retribuite, lavoro nel week-end e notturno, stress e difficoltà nel gestire turisti spesso arroganti e maleducati, scarso rispetto del diritto del lavoro e sindacale da parte delle imprese, stipendi molto più bassi della media francese, lavoro stagionale e part-time. Malgrado la disoccupazione strutturale, le imprese turistiche hanno enormi difficoltà nell’assumere un personale stabile. Allo stesso tempo, i lavoratori del turismo sono tra i più deboli sul mercato del lavoro: si tratta in larga maggioranza di giovani under 30, di donne e di immigrati. Tra questi, molti non dispongono di alcun titolo di studio e spesso non parlano correttamente la lingua francese. Il turismo balneare, in ragione della sua stagionalità, si contraddistingue per condizioni lavorative se possibile ancora più negative; la precarietà della manodopera risulta maggiore rispetto a quella impiegata nelle grandi città turistiche, come Parigi. In generale, in Francia il settore turistico è sempre più dominato da grandi imprese multinazionali e fondi di investimento. Solo per citare uno degli esempi più eclatanti, la multinazionale Accor controlla circa l’11% degli alberghi francesi. In questo quadro poco incoraggiante, un settore si distingue parzialmente: il lusso. La qualità del servizio, indispensabile per soddisfare la clientela internazionale particolarmente esigente, necessita di un personale più stabile, dotato di esperienza e profesionnalità. La Francia è guarda caso in prima linea nello sviluppo del turismo di lusso, trainato dall’aumento del numero di nuovi ricchi provenienti dalle economie emergenti ma anche dal turismo di lusso occasionale dei ceti medi dei paesi capitalistici occidentali. Il secondo grande bacino di manodopera generato dal turismo concerne quello che i turisti fanno durante le vacanze, oltre che mangiare e dormire. Le scelte in materia di consumo dei turisti sono inequivocabilmente influenzate dal bisogno di staccare rispetto alla vita quotidiana e lavorativa ma questo bisogno assume forme differenti che dipendono dalla classe sociale di appartenenza, dal sesso, dalle risorse finanziarie, dai titoli di studio e dalla propensione a ricercare o meno attività di tipo culturale, dal paese di provenienza, dall’età, etc. Questi fattori, combinandosi tra loro, ci danno un’idea di ciò che i turisti vorrebbero fare durante le vacanze. Nondimeno, ciò che poi realmente fanno dipende dall’offerta di pratiche culturali disponibile sul territorio. In questo caso, la comparazione franco-italiana è impietosa. Gli investimenti dello stato francese in materia di politiche culturali e turistiche sono molto più rilevanti e si trasformano concretamente in una fittissima rete di musei e monumenti, di sentieri di trekking (il mitico GR20 in Corsica attira ogni anno decine di migliaia di appassionati), di ciclovie diffusi in modo capillare sull’insieme del territorio e che impiegano decine di migliaia di lavoratori in attività che sono senza dubbio interessanti e ricche di contenuti culturali. Il turismo rappresenta dunque un fenomeno auspicabile solo ed esclusivamente quando associato a pratiche culturali di cui usufruiscono prima di tutto le popolazioni locali. Risulta tollerabile il turismo di lusso, qualora si tratti di un vero lusso, per pochi turisti. In compenso, le forme di turismo di massa, specialmente quello balneare, generano lavori di scarsa qualità e buona parte delle ricchezze sono incamerate da grandi multinazionali e fondi di investimento. Preso atto di queste tendenze, mi pare che in Sardegna due strade siano percorribili. In primo luogo, ispirandoci al modello francese, occorrerebbe accentuare il carattere di lusso del turismo balneare. In questo senso, all’opposto rispetto al punto di vista di chi associa lo sviluppo turistico all’espansione delle volumetrie, si dovrebbe ridurre l’offerta. La scarsità dell’offerta e i prezzi elevati sono le caratteristiche essenziali del lusso (l’effetto Veblen) e consentirebbero una migliore salvaguardia della risorsa grazie a cui questo turismo à nata, la bellezza del litorale. In secondo luogo, la strategia più sostenibile e feconda consisterebbe in una decisa internazionalizzazione del turismo, intercettando i flussi di turisti stranieri ad alto capitale culturale, in cerca di una Sardegna più autentica, distante dai cliché turistici standard, che purtroppo dominano fra i turisti italiani. Turisti meno legati ad un’immagine della Sardegna balneare e post-coloniale, animati da un interesse per tradizioni ancestrali e uniche, luoghi naturali incontaminati, siti archeologici stupefacenti e incredibilmente poco valorizzati. Cambiato il contesto e la natura dell’offerta turistica, la Sardegna non essendo più una destinazione turistica esclusivamente balneare, i simboli della tradizione non avrebbero lo stesso significato. Né stereotipi turistici, ad uso e consumo del turista in cerca di esotismo tra un tuffo e l’altro, né sinonimo di anomia, agli occhi degli stessi sardi, in quanto sradicati dalla propria storia e dal proprio contesto, scaraventati nell’universo simbolico di un turismo balneare di massa, ma fondamenta di una catena di significati per cui i sardi stessi, a partire dal loro passato, prendono in mano presente e futuro e scelgono chi accogliere e come accoglierlo, cosa proporre durante le vacanze e a quali condizioni. Chi non si è mai confrontato con la proverbiale alterigia dei parigini? Sebbene siano universalmente considerati hautains, Parigi continua ad essere la città più visitata al mondo, in virtù della valorizzazione del patrimonio culturale, artistico, storico di cui dispone e di cui i primi ad usufruire sono i parigini stessi. E soprattutto Parigi e la Francia, benché il turismo produca più ricchezze relativamente all’Italia, non vivono solo di turismo. *Dottore di ricerca in Sociologia del turismo |