La posta in gioco? Il bene comune [di Nicolò Migheli]

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Rilevante interesse economico e sociale. Espressione che compare costantemente in progetti, leggi, disegni di legge e delibere che prevedono interventi, spesso pesanti, sull’esistente. Questa estate Sardegna Soprattutto ed altri luoghi hanno animato una discussione civile ed ordinata sugli ultimi provvedimenti della Giunta Regionale in materia urbanistica e degli usi civici.

Molte personalità con competenza hanno mostrato i limiti e le contraddizioni di quei disegni di legge e delibere sia sulla loro coerenza costituzionale e statutaria, che su quella prettamente tecnica.

Non è il caso di ripeterle. Chi è interessato le troverà tutte su questa rivista. Rilevante interesse economico e sociale, per chi? È la prima domanda che bisognerebbe porsi. Quella espressione non a caso antepone l’interesse economico- la vera rilevanza- a quello sociale, specie quando l’investimento è ad opera di grandi gruppi finanziari o di fondi sovrani come il Qatar.

 L’interesse sociale, se vi è, è limitato ai posti di lavoro. In una regione come la nostra con tassi di disoccupazione stellari e la continua emigrazione di personale qualificato, il lavoro è la scusa per le peggiori aggressioni al nostro territorio. È stato così con le miniere, la grande industria, l’edilizia sulle coste, le stesse basi militari. Il risultato è davanti ai nostri occhi tutti i giorni.

Una privatizzazione del valore ed una esternalizzazione dei costi in termini di terra sottratta, impermeabilizzazione dei suoli, inquinamento, mutamento in peggio di paesaggio e qualità della vita per i residenti. L’unico controvalore pochi stipendi  in balia dei cicli economici ed usati per giustificare, in caso di crisi, ulteriori finanziamenti pubblici per essere ancora erogati.

 Il dizionario Treccani così definisce i beni comuni: Commons. Si tratta di beni di interesse comune, fruibili senza restrizioni – aspetto che ne muterebbe automaticamente lo status – dai membri di una comunità, che li gestisce, facendo in modo che il ‘consumo’ da parte di uno dei soggetti non renda meno accessibile il bene stesso agli altri soggetti interessati.

 La privatizzazione di queste risorse è ormai un fenomeno mondiale. Si va dalle terre fertili da cui viene scacciata la piccola economia contadina per essere date alle grandi multinazionali del cibo, ai semi che sono diventati, in maggioranza, proprietà di poche industrie sementiere. Beni materiali e immateriali che vengono sottratti al godimento di tutti. Una caso emblematico è la medicina.

Sabin quando sintetizzò il vaccino per la poliomelite non lo sottopose a brevetto perché voleva che tutta l’umanità ne potesse godere. Oggi si assiste al paradosso di una ricerca medica realizzata con fondi pubblici, brevettata e divenuta proprietà dell’industria farmaceutica.

Il risultato sono medicine che costano migliaia di dollari a confezione e che spesso non possono permettersi neanche i servizi sanitari pubblici. Se sei ricco puoi curarti, se non lo sei no.La privatizzazione dei beni comuni ha come conseguenza una ineguaglianza senza pari tra cittadini; sancisce la legge del più forte, agisce da disgregatore delle comunità e dell’ordine sociale.

I rigurgiti fascisti e xenofobi di questa estate trovano spiegazione, in parte, nel disagio percepito da una maggioranza di popolazione che sempre più sente di essere esclusa, messa ai margini.

La xenofobia, a questo punto, è il moto dell’animo che identifica nel migrante la causa del proprio impoverimento, ne fa il capro espiatorio.Tutto questo ai privatizzatori va più che bene, non si sentono oggetto di conflitto ma agiscono per spostare la rabbia sui più deboli.

Atteggiamento che rientra perfettamente nella loro teorizzazione: non esiste società ma un insieme di individui concorrenti e di conseguenza nessun bene comune, ma uno spazio materiale e immateriale che aspetta solo di essere valorizzato a vantaggio del più forte. Può reggere una società o una comunità concepita in questo modo?

Certo che può e non a caso agli spazi di democrazia che si riducono, consegue un aumento delle forza di polizia e la sicurezza diventa il valore dominante ed universalmente accettato; finché dura però. La Sardegna non fa eccezione. Eppure la protezione del bene comune nella nostra isola comincia con Eleonora D’Arborea e la Carta de Logu, dove spazi pubblici ed interesse privato sono rigidamente regolati.

Oggi assistiamo al paradosso di una Giunta Regionale che si racconta sovranista che critica lo Stato italiano perché gli impedisce di vendere beni indisponibili ai fondi sovrani, ovvero ad uno stato straniero come il Qatar. Eppure il PPR è legge voluta dai sardi.

Misteri teologali della permanenza al potere.

 

One Comment

  1. Paolo Leone Biancu

    Il sistema economico è un sotto-insieme del sistema sociale; l’economia come scienza nasce come variabile dipendente e derivata dal contesto più ampio della sociologia; pertanto bisogna ricordarlo, non è una scienza legata al capitale e alla finanza (come molti intendono) ma è la scienza che individua NORME (nomos) per gestire al meglio la CASA(oikos), da intendere come Stato, Territorio, Società, Insieme. Scienza che, proprio perché sociale, mira alla migliore redistribuzione del reddito totale prodotto in un certo insieme sociale, in modo che si minimizzino le differenze di condizione economica tra cittadini dello stesso insieme e si arrivi ad un equilibrio sostenibile. L’economia non può essere disgiunta dall’ecologia, in quanto l’Obiettivo delle due scienze è il medesimo (OIKOS) anche se l’ecologia studia l’oikos, per descriverlo in modo da individuare tutta la molteplicità di variabili, che sono sociali e naturali. L’interrelazione congiunta fra gli interessi di tutti coloro, facenti parte dell’Insieme dato dovrà essere il risultato finale da conseguire per avere una società migliore ma, fintanto che la proprietà individuale (nelle forme che viviamo) non finirà di essere il Totem di riferimento a cui tutto è dovuto, non si potrà arrivare a quell’ equilibrio nei rapporti sociali, quindi non si può parlare di economia ma di una diseconomia evidente, produttrice di conflitti permanenti e disequilibri0 sociale.

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