Legge urbanistica, il vero scandalo non sono i 300 metri violati ma un modello di sviluppo già fallito (e identico a quello del centrodestra) [di Vito Biolchini]
L’errore più pericoloso che chi è chiamato ad osservare e analizzare le dinamiche politiche sarde tende a fare, è ritenere che i nostri sindaci e presidenti non abbiano un progetto. Il che è anche vero, nella misura in cui si intende come progetto una visione organica e condivisa a medio-lungo periodo che abbia come obiettivo il bene comune. Ma l’idea che la politica sarda, fatta da presidenti, sindaci, giunte, consigli e segretari di partito, brancoli nel buio, per quanto diffusa è in realtà completamente falsa. Sindaci e presidenti sanno bene cosa fanno: solo che a noi la loro logica appare misteriosa, sia perché la politica opera nell’opacità (e il che non è del tutto negativo, giacché ogni azione ha bisogno di uno spazio di confronto che deve essere anche riservato e suscettibile di modifiche), sia perché chi è chiamato a fare luce sull’attività della politica in realtà aumenta la confusione. Ad esempio, cosa stanno capendo i sardi che leggono i nostri quotidiani della legge urbanistica e della riforma sanitaria? Poco molto poco: i giornali non esprimono una loro ragionata e autorevole posizione sui due temi ma di volta in volta cedono la parola ai rappresentanti delle varie lobbies o gruppi di interesse: nessuna analisi, ma solo analisi di parte che si contrappongono ad altre analisi di parte, una lunga serie di comunicati stampa e dichiarazioni che assurgono al rango di notizie, anche quando non lo sono. È questo giornalismo? Temo di no. La politica sarda segue dunque una sua segreta logica, che è quasi sempre una determinata dalla necessità degli eletti di proseguire ad ogni costo le loro carriere personali, celando questa ambizione dietro alti ideali sconfessati dai fatti (basti vedere il percorso di chi in Sardegna è transitato da Rifondazione a Sel a Campo Progressista per comprendere questa patetica dinamica). Oltre le ambizioni personali dei singoli, esiste però talvolta la politica persegue un progetto vero, più ampio, che sta però a noi decifrare e decodificare. I fatti sono sostanzialmente tutti sotti i nostri occhi, ma il contesto no, quello ci è precluso. E chi lo racconta, racconta la realtà. Ecco perché sulla legge urbanistica l’azione solitaria e minoritaria di un gruppo di intellettuali (parola usata negli ambiti politici talvolta in senso dispregiativo, proprio perché l’intellettuale, essendo colui che ragiona pubblicamente per cercare di capire qual è in tempo in cui vive, è per certi aspetti il nemico naturale di questa politica personalistica), ritrovatisi spontaneamente nelle colonne della rivista Sardegna Soprattutto, sta colpendo nel segno: perché sta riuscendo a collocare la norma urbanistica in un contesto più ampio che riguarda essenzialmente il modello di sviluppo che l’amministrazione Pugliaru vuole per la nostra isola. Non è un caso infatti che nel corso della giornata di studio svoltasi a Pattada lo scorso 29 agosto sul tema dell’urbanistica sostenibile, nessuno ha trattato il tema degli ampliamenti nella fascia dei 300 metri dal mare: nessuno. Come mai, visto che a leggere i giornali questo sarebbe il vero oggetto di scontro? Perché la critica che viene fatta alla legge urbanistica è molto più profonda e radicale e non muterebbe di una virgola se anche all’improvviso quella norma così chiaramente cementificatoria venisse cassata. La posta in gioco è evidentemente un’altra e ad aguzzare la vista ciò è chiaramente evidente, visto che la legge urbanistica, lungi dall’essere neutra e tecnica, spiana la strada a politiche industriali, energetiche e turistiche molto evidenti. Quella immaginata dal presidente Pigliaru (stucchevole il suo siparietto sul Corriere della Sera con il presidente del Fai Andrea Carandini) è dunque una Sardegna dove gli usi civici potranno essere regalati alle grandi multinazionali dell’energia per realizzare campi fotovoltaici o discariche tossiche; dove chi da decenni sta inquinando Portovesme potrà impunemente continuare a farlo e chi ha l’obbligo di bonificare non lo farà; dove nelle coste si potranno realizzare rigassificatori di dubbia utilità (ma di grande pericolosità e impatto paesaggistico) che farebbero della Sardegna un hub energetico nel Mediterraneo; una Sardegna dove il turismo sarà questione solo di investimenti stranieri o di grandi capitali. Bisogna stare nel merito delle cose e non ragionare seguendo logiche di schieramento (caro presidente Soddu, il bene della Sardegna può essere fatto anche da organismi statali, così come grandi disastri possono essere compiuti in nome degli interessi supremi dei sardi e della loro autonomia). Quello che la legge urbanistica del presidente Pigliaru determina è dunque un modello di sviluppo imposto e non partecipato, che sta sopra la testa dei sardi e, temo, anche quella degli italiani, che non tiene conto degli errori del passato e che talvolta si alimenta di convenienze future (personali o di clan politico), in cui il vero scandalo non sono i 300 metri violati ma la riproposizione di un modello di sviluppo già fallito. Una legge non da sospendere (come hanno chiesto gli ambientalisti) e né da ripensare, ma proprio da ritirare: perché disegna una Sardegna che non si discosta per nulla da quella immaginata a suo tempo dal presidente Ugo Cappellacci. Il quale ora, al di là del teatrino delle dichiarazioni, si sta certamente sfregando le mani nel vedere che il centrosinistra rischia di riuscire dove il centrodestra ha tentato e fallito.
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