Il caleidoscopio dei Mediterranei (2) [di Mario Rino Me]

battaglia

Gli Spazi Mediterranei:  possibile interpretazione di un concetto assai dibattuto. Il Mar Mediterraneo, conosciuto da tutti, si insinua tra tre masse continentali: Europa Meridionale, Africa Settentrionale e Asia Occidentale. Fin da epoche assai remote fu lo scenario di un’intensa navigazione ma dovette trascorrere un po’ di tempo prima che saggi e naviganti si rendessero conto della sua morfologia di distesa semi-chiusa; questo avvenne quando Fenici e Greci lo attraversarono in ogni senso.

Pertanto, la collocazione intercontinentale e la caratteristica di quasi-chiusura di quello che, negli anni 30 del secolo scorso, il nostro storico Pietro Silva chiamava non a caso, il Gran mare Interno”, erano già note nell’era classica. Infatti, questi aspetti erano rimarcati dagli appellativi usati dagli scrittori greci e poi latini. La griglia di lettura filologica ci aiuta a capire l’evoluzione dell’appellativo del Nostro Mare.

Nel 1510, con la conquista portoghese dello stretto Malacca il cronista Tome Pires, osservando che “chiunque sia il signore che domina il Mar di Malacca può prendere Venezia per la collottola”, introduceva, indirettamente, la nozione di inter-dipendenza. A partire dal ritorno dalla prima circumnavigazione del globo (1522), le grandi scoperte e l’immensità degli Oceani Atlantico e Pacifico mettono in risalto la singolarità del Mare Interno. Accadde allora che con il ricorso alle rotte oceaniche, l’accesso diretto alle fonti e il regime di monopolio dei Turchi, la via della Via della Seta perse la sua importanza e, con essa, quel  Mediterraneo dell’Era Classica prima e poi del  Mondo Cristiano-Musulmano.

Tornando alla raffigurazione grafica del nostro bacino, nella Carta del Mediterraneo del 1595 di Willen Barentszoon, (o Barents) del  descritto come “copia inalterata di un portolano del secolo XIV°”, troviamo l’indicazione di Mare Mediterraneum. Premesso che la cartografia  ricopriva per le unità politiche che la possedevano una valenza strategica, e quindi da custodire gelosamente alla stregua di segreto di Stato, possiamo osservare che, proprio la caratteristica dell’essere interno tra terre e Paesi diversi diverse, diventa la cifra di questo ambiente marino, non più “Nostrum” dalla caduta dell’Impero Romano.

L’autore, è il rinomato esploratore olandese del Mar Glaciale Artico, scopritore delle isole Spitsbergen e del Mare di Barents (che porta il suo nome), aree cui torneremo tra poco. Il mappamondo, che si andava via via delineando con le progressive scoperte di esploratori e naviganti, mostrava che dove quelle distese marine lambivano la terraferma, si potevano trovare, per taglia e conformazione fisica, altre tipologie di Mari in mezzo alle terre.

Il geografo Yves la Coste, ripercorrendo le opere dei Geografi ne individua ben tre. Nel suo excursus, egli ci ricorda Von Humboldt e successivamente Elisée Reclus (tra la fine del 700 e metà 800) guardando le carte geografiche segnalarono l’esistenza di un Mediterraneo Americano (racchiuso tra le tre Americhe e le Antille, confluenza del mondo ispanico e anglosassone). In epoca successiva ne venne individuato un terzo, nel Sud-Est Asiatico-Australe, racchiuso tra l’Indocina, la Cina meridionale, l’arcipelago Indonesiano e le Filippine (vi transita circa il 30% del commercio mondiale).

Questi tre “Mediterranei” derivanti dalla lettura della Geografia Politica, hanno delle caratteristiche salienti a fattor comune. Intanto di convergenza di masse continentali che li rendono dei luoghi d’incontro di diverse realtà geografiche e politiche di ordine di grandezza, di estensione nell’intorno dei 4.000 km (3800 per il Mare Nostrum). Le dimensioni contenute (2,51 milioni di Kmq per il nostro Grande Mare, vis à vis i 3,5 del Mar Cinese Meridionale) li collocano nella categoria degli spazi marittimi di ordine secondario, che rendono possibile lo sviluppo di spazi d’interrelazione tra le terre prospicienti, che nel tempo sono via via popolate, diventando Stati formando così degli “insiemi geopolitici” diversi.

In questa prospettiva, l’insieme che ne deriva si trasfigura in una sorta di continente liquido virtuale abitato in periferia. I “Mediterranei” come bacini circoscritti tra diversi continenti/ oceani, più o meno chiusi, sono poi caratterizzati, nella visione del citato Ammiraglio La Coste, da una pluralità di stati rivieraschi che si affacciano sulla massa liquida e, altro aspetto di rilievo, “di essere in relazione gli uni con gli altri”. Oltre la ventina per il Mediterraneo Euro-Asiatico-Africano e per quello Caraibico (ciascuno con oltre una mezza dozzina di piccoli stati), poco più di 10 per quello Asiatico-Australe, oltre 20 per quello caraibico, diverse centinaia di milioni di popolazione (circa 200 per i primi due, sui 400 per quello asiatico-australe).

L’aspetto della inter-relazione va visto, a mio avviso, nel senso più ampio del termine, che comprende anche rapporti di scambio di tipo commerciale sia marittimi che di tipo multimodale nelle tre dimensioni. In tema, David Abulafia, a descrivere il “Grande Mare” non certo per la sua modesta estensione, ma  come “il più vigoroso luogo di interazione tra società diverse sulla faccia del pianeta e ha giocato nella storia della civiltà umana un ruolo molto più significativo di qualsiasi altro specchio di mare“. Difficile, tuttavia, concettualizzare un’identità specifica in uno spazio emblema dell’eterogeneità. Per costruirla, quantomeno sul piano funzionale, si richiede un quadro di cooperazione euro-mediterraneo, ora bloccato.

Nella dimensione geografica, non vi é dubbio che le predette peculiarità predispongono gli spazi intercontinentali a ruoli di crocevia, che, in relazione alla consistenza e peso sugli equilibri generali, acquisiscono rilevanza strategica.  Il loro controllo, in specie nelle aree di snodo, non può che garantire rendite di posizione, “vantaggi strutturali” per dirla con l’ammiraglio René Davelui.

Il che li rende degli spazi contesi e suscettibili agli appetititi di attori esterni. In effetti la nozione di Mediterraneo raffigura una sorta di continente liquido, immaginario, e abitato alla periferia, e dunque uno spazio politico di prossimità, che, nella visione italiana degli anni 30, di una straordinaria attualità, appariva “un condominio”. Cioè un ambito di relazioni di conviventia [1] in contrapposizione a chi o vedeva come scorciatoia strategica tra gli Oceani Atlantico e Indiano.  Non a caso, esso viene raffigurato come ponte tra realtà separate, ma che si sono sempre intrecciate. Dopo il secolo XVII°, l’Inghilterra, inizia a interessarsi del Mediterraneo, tronco iniziale della sua rete imperialista che doveva estendersi sul mare in ogni direzione”.

Oggi, il Mare tra le Terre è divenuto l’epicentro di uno spazio strategicamente consistente, che, vuoi per evaporazione delle barriere confinarie, vuoi per l’interdipendenza generale indotta dal mondo globalizzato, ha visto estendere le sue dimensioni fisiche oltre il perimetro delle sue rive. In effetti, gli Stati delle fasce  costiere rivierasche punteggiate da strutture portuali, sono divenuti lo sbocco delle dinamiche socio-politico-securitarie che attraversano la vasta area saharo-saheliana, che ne hanno progressivamente indebolito il tessuto sociale al punto di necessitare di assistenza esterna.

Sulla terraferma dunque si viene a realizzare quella continuità che, riferita all’intero bacino, le envolées lyriques di F. Braudel, descrivevano “non un mare, ma una successione di Mari”. In definitiva, dinamiche antropologiche, non geopolitiche, del dominio del sociale come la  pressione demografica, la povertà e l’accesso alle risorse vitali come il cibo, nonché condizioni ambientali estreme causate dall’uomo come i conflitti o l’oppressione politica di regimi autoritari,  hanno spostato il Sud ben al di là della fascia costiera.

Per questo motivo, lo stesso ministro degli Interni, Marco Minniti, affermando che le frontiere dell’Europa sono ora collocate ai confini meridionali della Libia, ha, di fatto, creato le premesse per far riconoscere una realtà scomoda.

Nelle Relazioni Internazionali, scienza notoriamente non esatta, le percezioni contano molto, anche più della realtà. I geografi potrebbero allora aiutarci a trovare una definizione appropriata di quest’area, che possiamo classificare come Cis-Mediterranea, nel caso in specie, Meridionale. Nella parola d’ordine della “indivisibilità della sicurezza” tra le sponde, le stesse considerazioni valgono per l’area settentrionale. Infatti, nomi e appellativi geografici, una volta riconosciuti ufficialmente, sottendono specifici contorni della geografia politica. E quest’ultima, di fronte alle complessità e intrecci dei fenomeni sociali transnazionali, ha oramai assunto una connotazione dinamica.

I tre Mediterranei, hanno storie diverse anche per respiro temporale: antica per il Mare Nostrum, terreno di scontro di diverse civiltà dell’Oriente e dell’Occidente per millenni e ora simbolo della linea di demarcazione Nord-Sud che trova espressione anche nel fenomeno migratorio; recente per quello asiatico australe, dove la denominazione di Mar della Cina Meridionale data dai geografi inglesi a metà ottocento è anche all’origine delle pretese cinesi sulle isole Paracelso e Spratly, e per quello caraibico.

Ma il “vecchio Crocevia”, come lo definiva Fernand Braudel, allargato agli hinterland Continentali, è lo spazio di un enorme respiro storico in cui sono stati incoronati o deposti gli imperi (vedi Riquadro2). In un momento difficile che non consente grandi progetti in Occidente, con il rilancio della via della Seta, è giunto il momento della Cina. Ecco per ché l’archetipo Mediterraneo merita a pieni voti la nozione di Yves Lacoste di “concetto di Geopolitica e Geo-Storia”.

[1]  Vedi saggio autore , There’s not only disunion in the Mediterranean, Lug.  2011 http://www.limesonline.com/en/theres-not-only-disunion-in-the-mediterranean

*Ammiraglio di Squadra (r)

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