La differenza di genere non significa sempre “medicina di genere” [di Laura Ponti]
La differenza di genere è differenza di sintomi e di cure? La domanda non è retorica ed ha implicazioni di tipo antropologico e naturalmente terapeutico. Gli uomini e le donne, pur essendo soggetti alle stesse malattie, mostrano sintomi, progressione di malattia e risposta alle terapie molto spesso differenti. Nel 1991 Bernardine Patricia Healy, cardiologa americana, Direttrice dell’Istituto Nazionale della Salute (NIH) negli Stati Uniti, descrisse la discriminazione androcentrica rilevata nel suo Istituto in un editoriale sul New England Journal of Medicine e la chiamo’ “Sindrome di Yentl”. Yentl, l’eroina di una storia di Isaac B. Singer, dovette rasarsi i capelli e vestirsi da uomo per poter accedere alla scuola ebraica e studiare il Talmud, Sino ad allora le donne erano state soggette ad un approccio clinico e terapeutico discriminatorio rispetto agli uomini ed erano poco rappresentate nelle sperimentazioni cliniche di farmaci e tecnologie diagnostiche e terapeutiche. Il grande scalpore suscitato dall’articolo diede il via ad una profonda evoluzione con un approccio innovativo volto allo studio dell’impatto del genere con tutte le variabili biologiche, ambientali, culturali e sociali, sulla fisiologia, la fisiopatologia e le espressioni cliniche delle malattie. Nacque così la Medicina di Genere il cui obiettivo è definire attraverso quali meccanismi le differenze legate al genere intervengono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie e sulla suscettibilità alle terapie. Significa occuparsi delle patologie che incidono più frequentemente nell’uomo o nella donna, o delle patologie legate al sistema riproduttivo. Studia in che modo le malattie si manifestino nei due generi e valuta le differenze nei sintomi e la necessità di differenti percorsi diagnostici, la valutazione delle differenze nella risposta ai farmaci o la necessità di utilizzare farmaci diversi e ancora le differenze nella prevenzione di tutte le malattie; è quindi, non una nuova specialità ma una nuova dimensione interdisciplinare della medicina, nello studio dell’ influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, fisiopatologia e patologia umana. Non è passato che qualche decennio quando la ricerca spesso si fondava su sperimentazioni condotte su parametri stabiliti sull’organismo maschile e con una netta prevalenza di pazienti studiati di sesso maschile. È necessario quindi allo stato attuale ridefinire patologie quali malattie cardiovascolari, tumori, malattie metaboliche, neurologiche, infettive in tutti i campi specialistici in relazione alle differenze tra uomo e donna. Nei paesi occidentali le donne vivono più a lungo rispetto agli uomini. In Italia, l’aspettativa di vita dell’uomo è 79,9 anni; quella della donna 84,6 anche se ci sono malattie peculiari e specifiche della donna e dell’uomo. Le possibili spiegazioni spaziano dalla genetica alla cultura per quanto l’aspettativa di vita sana è identica nei due generi, quindi i 5 anni di vantaggio delle donne sono anni di vita ammalata o disabile, con grande condizionamento della qualità della vita e della spesa sanitaria. Allo stato attuale la Medicina di Genere non esiste ancora. Tutte le branche della medicina vengono insegnate e applicate come se non esistessero differenze di genere e le conoscenze, per quanto attualmente molto avanzate, non sempre sono desunte da sperimentazioni. Nasce da qui la necessità di orientare la ricerca non più sulle differenze peculiari delle malattie della sfera biologica e riproduttiva della donna , che sono caratteristiche della medicina genere-specifica, ma integrarla con l’analisi di espressioni fisiologiche, sociali, culturali ed evolutive differenti nei due sessi. Sabato 16 settembre nel Convegno che si terrà al Lazzaretto di Cagliari dalle 8:30 si discuterà anche delle prospettive della Medicina di Genere. *Coordinatrice scientifica del Convegno “Fegato al femminile”- Lazzaretto di Cagliari
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