Governabilità e partecipazione [di Fabrizio Barca]

Renato Guttuso a Roma

 Oltre che nel desiderio e nella convinzione di una parte del gruppo dirigente del Pd – in questo uguale alla maggioranza degli altri gruppi dirigenti del paese – di riuscire a preservare il proprio potere (economico e politico), la ragione ultima sta in una valutazione che domina da venti anni, anche nel Pd: i mali del paese andrebbero curati rafforzando stabilità e potere – è chiamata impropriamente “governabilità” – del Governo.

Il ruolo del partito non sarebbe affatto quello di coagulo di sentimenti e conoscenze, bensì di comitato elettorale per vincere le elezioni. L’insuccesso nel vincere o nel tradurre la vittoria in buon governo è stata interpretata – esattamente come ha fatto la destra – con l’assenza di regole che garantiscano adeguata stabilità e poteri. Nascondendosi che quell’insuccesso era invece dovuto a deficit di visione, di partecipazione, di conoscenza, di soluzioni, e di quadri capaci di tradurre tutto ciò in azione. Queste sono le cause vere dell’incapacità di dare all’Italia un buon governo –ed è questa la  vera “ingovernabilità”.

 La natura pletorica dell’organo di “indirizzo strategico” del Pd (200 membri), l’incapacità di tradurre  lo strumento dei Forum – strumento potenziale di “mobilitazione cognitiva”, figlio interessante dell’esperienza del neo-laburismo – in fonte di confronto, apprendimento e deliberazione politica, l’abbandono in cui è stato lasciato il patrimonio umano delle unità territoriali, la mancata  previsione di “Congressi” – occasione importante di confronto sui contenuti in tutti i partiti di sinistra del mondo – e la rinunzia ad adeguare ai tempi la figura dell’”iscritto”, prevedendo forme e gradi diversi di partecipazione, rifugiandosi invece nel meccanismo anomalo delle “primarie” (definite tali per la coincidenza fra Segretario e candidato a Presidente del Consiglio): sono tutte manifestazioni di un partito concepito come comitato elettorale.

Non deve dunque sorprendere che il PD appaia oggi come una struttura in “franchising”, appesantita da incroci bizantini tra livello locale e nazionale. E che – almeno fino a queste ultime tornate di “primarie” – siano state sollevate e poi deluse aspettative sulla capacità di guidare il paese, e che mai si sia compiuto il disegno e la costruzione di un partito moderno, capace di affrontare questo secolo, capace di coagulare sentimenti e conoscenze, visione e tecniche, politica e politiche. Non si riteneva che ciò servisse. 

Eppure, nonostante tutto ciò, si è fatta strada, a fatica, nel paese e nel Pd, la consapevolezza che non di un deficit di potere stiamo “morendo”, ma di un deficit di partecipazione e di presidio politico del disegno e dell’attuazione delle politiche. Si è fatta strada l’idea che proprio la rinunzia dei partiti, e segnatamente di un partito di sinistra, a coniugare sentimenti, valori, visione e politica con conoscenze, soluzioni, tecniche e politiche sia alla radice dei nostri profondi guai.

*da: http://www.fabriziobarca.it/luoghi-ideali

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