Abbecedario catalano per tentare di capire [di Nicolò Migheli]
A por ellos, o della catalanofobia. Tra Catalogna e il resto della Spagna le relazioni sono state sempre complicate, almeno dal 1714, l’anno in cui Barcellona che nella Guerra di Successione Spagnola si era schierata con Carlo d’Asburgo, venne conquistata nel sangue dal Filippo V di Borbone. Non a caso l’11 settembre, è diventato il giorno della memoria-festa nazionale catalana. La Spagna negli ultimi tre secoli è stato il paese europeo con il numero più alto di guerre civili, che il più delle volte sono state anche anticatalane. La partenza dei reparti della Guardia Civil per la Catalogna è stata salutata in molte città da gruppi di manifestanti agitanti bandiere spagnole con il grido ¡A por ellos, Oé! Vanno per loro! Pilar Rahola, editorialista de La Vanguardia, giornale barcellonese, scrive il 29 di settembre che: El “a por ellos” nacido ne la zona testicular del poder… Dentro una politica viscerale. La catalanofobia è un sentimento carsico che nei momenti di crisi emerge con forza. Naturalmente gli spagnoli lo disconoscono, sostengono che sia frutto del vittimismo catalano. Cacerolada, o della fantasia comunicativa. Centinaia di siti che fanno riferimento agli indipendentisti chiusi d’imperio e senza processo dall’autorità giudiziaria, compresi quello della Generalitat e di molte biblioteche. Se ci si collega compare lo stemma della Guardia Civil: fascio e gladio incrociati sormontati dalla corona borbonica. Radio e giornali avvisati che se ospiteranno esponenti indipendentisti o impegneranno spazi pubblicitari per il referendum verranno denunciati penalmente e costretti a pagare multe consistenti. Gli attivisti però si ingegnano in tutti i modi. Manifesti che invitano al voto stampati con il computer incollati ovunque, bandiere indipendentiste appese alle finestre delle case, palloncini, manifesti multicolori per il Sì, persone di tutte le età che girano per strada con la bandiera a mo’ di mantello. Cortei improvvisati. Ogni sera alle 22,00 un rumore di pentole sbattute riempie le città e i paesi, le persone escono dai ristoranti con casseruole e stoviglie. Un rumore che dura per dieci minuti. Costituzione del ’78, scritta dopo la morte di Franco in piena Transizione, risente dei compromessi stipulati con il movimento del dittatore. I militari vollero l’articolo in cui loro sono proclamati di difensori dell’unità della Spagna. Come i kemalisti turchi. Conferenza Episcopale Spagnola, rilascia una dichiarazione in cui si auspica il rispetto della legge ma nel contempo il diritto dei catalani ad esprimersi. Fortemente criticata dalla destra spagnola che perde un alleato storico. Don Diego Pérez de los Cobos, comandante della Guardia Civil, durante gli incontri con i responsabili dei Mossos de Esquadra mostrava in tv un certo imbarazzo. Non dovrebbe, avendo un nome che sembra uscito da un romanzo storico di Arturo Pérez Reverte. Disobbedienza, sense desobédiencia no hi hai indiepéndencia recita uno slogan. La disobbedienza per il codice spagnolo non prevede l’arresto a meno che non vi sia una sedizione violenta. Gli indipendentisti catalani però sono molto attenti. Il movimento è totalmente pacifico e civile. Tutti gli anni per la Diada vengono mobilitate milioni di persone e non è mai successo nulla. Le provocazioni però sono possibili, ecco perché la vigilanza è molto alta. Non a caso i politici della Generalitat sono stati accusati di malversazione dei fondi pubblici, e quel reato prevede l’arresto. Il procuratore dello stato Maza minaccia Puigdemont e gli altri di arresto esacerbando gli animi. Economia, dopo la crisi più lunga degli ultimi ottant’anni è innegabile che l’economia abbia il suo peso. La Catalogna è dopo i Paesi Baschi, la regione più ricca della Spagna. I tagli allo stato sociale si sono fatti sentire e la precarizzazione del lavoro pure, di conseguenza non c’è molta voglia di contribuire al bilancio spagnolo. Se però si guarda solo a quest’aspetto si finisce per avere una lettura solo parziale: i ricchi che se ne vogliono andare e il patriottismo come rifugio delle canaglie. Guardia Civil. Corpo di polizia rurale in origine, è stato storicamente uno strumento di repressione governativa. Durante il franchismo imperversava in Catalogna punendo persino chi osava parlare catalano in pubblico. Con l’istituzione dei Mossos de Esquadra, polizia giudiziaria catalana erano praticamente scomparsi dal quel territorio. Oggi la Benemérita ritorna, ed in essa i catalani rivedono il braccio punitivo statale. Indipendenza, non sarà neanche per questa volta. I sequestri di schede ed urne, il non possesso di elenchi elettorali aggiornati, impediranno una consultazione regolare. Il referendum si tradurrà in una grande manifestazione di popolo che cambierà profondamente il quadro politico. In ogni caso il rapporto tra catalani e spagnoli si è rotto. La disconnessione è negli animi e superare questo stato di cose non sarà facile. La dirigenza catalana ha ben presente che l’indipendenza non si fa da soli, occorrono solidarietà internazionali che per il momento non ci sono. Puigdemont dichiara che proclamazioni unilaterali non sono all’ordine del giorno, ma la strada sembra aperta. Senza l’atteggiamento di chiusura e radicalizzazione perseguito da Madrid forse non si starebbe a questo punto. Fino a pochi anni fa il movimento indipendentista era minoritario nella società catalana, adesso cresce di giorno in giorno. Lingua e cultura, in Catalogna si parla ovunque catalano. Se ci si rivolge a loro in castigliano rispondono nella lingua di Cervantes, ma è indubbio che dopo il quarantennio franchista la lingua è rinata; vi sono giornali e programmi tv, nella scuola è la prima lingua veicolare, le altre sono il castigliano, il francese e l’inglese. Le giovani generazioni sono tutte poliglotte. Il catalanismo sarebbe stato possibile senza un grande investimento nella lingua standardizzata e nella cultura locale? Certo che no. Prima dell’indipendenza politica si è costruita quella culturale. Per noi sardi, una lezione da imitare. È probabile che se la repressione statale verrà accentuata, la prima vittima sarà il sistema di istruzione, la voglia di ispanizzare e normalizzare la scuola catalana è molto forte nel PP di Rajoy e nella sua appendice di destra: i Ciudadanos. Mossos de Esquadra, polizia giudiziaria catalana, divisa tra due legittimità: lo stato spagnolo e la Generalitat, hanno dichiarato che il blocco dei seggi potrebbe perturbare l’ordine pubblico e forse non eseguiranno l’ordine della magistratura. Sono comandati da Josep Lluís Trapero, personaggio diventato molto popolare dopo la gestione delle indagini sull’attentato jihadista di Barcellona. Minoranza silenziosa, circa il 40% dei catalani sono contrari al referendum e all’indipendenza; però non si vedono per strada. I contrari invece sono ben presenti in tv e sui giornali. Decine di intellettuali ed artisti hanno firmato appelli e manifesti. È in atto una spaccatura della società catalana, per evitarla il procés avrebbe avuto bisogno di più tempo per accrescere i consensi. Puigdemont Carles, presidente della Generalitat, è il gestore di tutto il processo; rischia penalmente e politicamente. Lui e tutto il ceto politico indipendentista stanno dimostrando grandi capacità organizzative e il possesso di una agenda programmata nei minimi particolari con mosse e contromosse. Sembrava un giocatore di poker ed invece si sta rivelando un giocatore di scacchi. Rajoy Mariano, premier spagnolo ed esponente del Partido Popular. Il guardiano della tomba di Franco, così è stato definito. Un personaggio che ha innescato un braccio di ferro con la Generaliat che rischia di travolgerlo. Che sia sulla difensiva lo dimostra il suo viaggio recente negli Usa per ottenere l’appoggio di Trump, se fosse stato in posizione di forza avrebbe avuto bisogno di recarsi lì? Nel contempo non si presenta alla riunione europea in Estonia. Tutti segni di gravi difficoltà politiche, benché avesse pensato che non trattare con i catalani gli avrebbe garantito la maggioranza nelle prossime elezioni spagnole. Dentro di sé vorrebbe una soluzione militare senza capire che nell’Europa di questo secolo è una strada non percorribile nelle dispute territoriali. E poi contro chi? Contro un popolo disarmato? Stampa madrilena, tutti i giornali più importanti sono contro il referendum catalano, si fanno forti del deliberato della Corte Costituzionale. In realtà rispondono, come sempre d’altronde, al richiamo della hispanidad e della passata grandezza imperiale. Pilar Rahola su La Vanguardia cita un pezzo di Miguel de Unamuno del 1907: Merecemos perder Cataluña. Esa cochina prensa madrileña está haciendo la misma labor que con Cuba. No se entera. Es la bárbara mentalidad castellana, su cebrero cojonudo (tien testicolos en vez de sensos en la mollera) Meritiamo di perdere la Catalogna. Quella sporca stampa madrilena sta facendo lo stesso lavoro che fece con Cuba. Non riesce a capire. È la mentalità barbara castigliana, il loro cervello coglione,- viscerale, aggressivo- (hanno testicoli nella fontanella del capo invece che idee e sentimenti). Il riferimento alla perdita di Cuba nel 1899 e alla Catalogna del 1907, dimostra quanto vi sia continuità anche in giornali che si definiscono democratici come il Pais. Unione Europea, i documenti e i trattati istitutivi dell’Unione parlano di Stati e cittadini. L’Europa dei popoli è ancora nella mente degli utopisti, mentre faticosamente si sta tentando realizzare quella delle regioni. Le Euroregioni vanno in quella direzione. Il club degli stati esistenti sarà sempre solidale con il socio Spagna, almeno fino a quando la realtà non imporrà nuovi equilibri. Nel contempo però vi è molta preoccupazione perché il conflitto ispano-catalano a bassa intensità può deflagrare con rotture difficilmente gestibili. E questo avviene dentro il nocciolo europeo, quello che vorrebbe andare a forme di cooperazione rafforzata in molti settori. Chi chiede la mediazione delle istituzioni europee dimentica che dovrebbe essere la Spagna a fare il primo passo. Ma temo che quella mentalità cojonuda lo impedisca perché siamo ancora nella fase del puntdonor. E quanto l’onore sia importante noi sardi non dobbiamo farcelo raccontare da nessuno. Però la Ue resta oggi, in tempi di globalizzazione spinta, l’unica possibilità perché una nazione senza stato diventi indipendente, magari con nuove forme che possono anche escludere quella statuale. La Catalogna ci sta portando in terra incognita e sarà un bene per tutti. La Sardegna in queste settimane è molto popolare in Catalogna, l’unica solidarietà ufficiale che la Generalitat ha avuto è venuta dal Consiglio Regionale Sardo. In molti però da noi si chiedono se fosse dovuta in virtù della guerra centenaria che ci oppose nel Medio Evo che ebbe come conseguenza la cancellazione del Giudicato di Arborea. Si arriva a scrivere di Sindrome di Stoccolma. In realtà i rapporti con i catalani sono cambiati quando loro si sono trovati nelle nostre medesime condizioni. Quando da dominatori quali erano sono diventati dominati. Noi sardi condividiamo con loro elementi linguistici e culturali, in quattro secoli ci siamo contaminati. Già dal primo Novecento ci sono state prese di posizione in loro aiuto in documenti ufficiali del PSd’A. Durante la Guerra Civile, sardi hanno combattuto al loro fianco. Per decenni Alghero è rimasta Territorio libero di Catalogna, come recitava un cartello. Nel 1980 la appena costituita Generalitat è venuta in Sardegna a studiare la nostra autonomia. Poi però hanno saputo fare di meglio. Abbiamo avuto ed abbiamo progetti a finanziamento europeo comuni. Oggi loro combattono una battaglia che sarà utile anche a noi, ecco perché è giusto stare con Barcellona e non con Madrid. *Foto di Nicolò Migheli |