Sullo stato dell’Istruzione [di Silvano Tagliagambe]

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In Italia su 100 bambini che ogni anno iniziano gli studi ce n’è 1 che non finisce la scuola primaria, 5 che si fermano alla licenza elementare, 32 che lasciano dopo le medie, 17 che tentano le superiori ma falliscono e altrettanti che non riescono a arrivare alla laurea. C’è l’analfabetismo di ritorno, con i risultati delle indagini internazionali che ci dicono che sette adulti italiani su dieci non possiedono competenze di base letterarie, scientifiche e matematiche minime. Lo spreco di capitale umano è enorme: un tasso di disoccupazione giovanile al 40%, con le persone inattive che, a differenza di altri paesi, sono più competenti e preparate di chi lavora. Questo ci dice ciò che potremmo potenzialmente ottenere se si rendesse produttivo questo capitale umano inutilizzato. È stato fatto un calcolo del costo per il paese dei giovani in fuga dalla scuola, dei 12,6 milioni di persone che hanno lasciato gli studi prima del diploma e che per questo sono costretti ad accettare lavori con retribuzioni più basse rispetto a chi ha finito le superiori. Circa 70 miliardi l’anno, un ipotetico 4% del PIL. Le competenze, qui da noi, non pagano, anzi chi le possiede viene percepito come una minaccia da parte di coloro che occupano posizioni di potere e non intendono lasciarle. La politica come occupazione del potere favorisce e incrementa l’incompetenza diffusa.

In Sardegna la situazione generale è ancora peggiore. Infatti se in Italia la percentuale di laureati (dati del 2010) era del 13,1% e quella dei diplomati del 34%, in Sardegna nello stesso anno si registrava il 10,6% dei laureati e il 30,6% dei diplomati, valori inferiori anche a quelli del mezzogiorno (10,9% di laureati e 32,8% di diplomati). Gli studenti con la sola terza media sono al 26% e solo il 60% del numero già esiguo di diplomati si iscrive all’università. La politica non ha fatto nulla per affrontare questo problema: due legislature con due diverse maggioranze non sono riuscite a partorire una legge organica sull’istruzione e nell’ultima è stato sperperato il significativo miglioramento, conseguito nel quinquennio precedente, del rendimento degli studenti sardi nelle indagini, nazionali e internazionali, di valutazione delle competenze di base e si è ulteriormente aggravato il dato relativo alla dispersione scolastica.Cosa fare per combattere la dispersione ce lo dice Frequenza200, il progetto-rete di Intervita Onlus, che dal 1999 lavora in diversi paesi del mondo per promuovere l’accesso all’educazione. Le idee guida da seguire sono tre:

Per realizzare queste linee guida e dare concretezza e sostanza all’idea di “comunità educante” Frequenza200 si è dotata di una piattaforma on line che coinvolge gli insegnanti, i dirigenti scolastici, i giovani, le loro famiglie e gli operatori sociali per mettere a sistema esperienze e attività educative e individuare i modelli di intervento più efficaci e favorirne la replicabilità. È questo la funzione del digitale, questo doveva essere il ruolo del progetto “Scuola digitale.Francesco Pigliaru, ha iniziato nel modo giusto il suo cammino di candidato alla Presidenza della Regione dicendo che l’istruzione è il problema centrale della Sardegna e  che l’autentica politica industriale da perseguire e sviluppare  è il recupero della dispersione. Per questo tutti noi, che crediamo nella centralità della scuola e nella funzione insostituibile dell’istruzione e della formazione gli auguriamo e ci auguriamo che questo suo cammino si concluda con un pieno successo. 

 La scuola come valore intergenerazionale, l’unico luogo rimasto di dialogo autentico tra generazioni diverse;La scuola come filtro selettivo per individuare non solo competenze, ma passioni, luogo dell’alleanza della mente e del corpo, del cervello e della mano, di ragione e sentimento, alleanza in virtù della quale, oltre ad accompagnare i ragazzi a trovare, attraverso le passioni, motivazioni e fiducia in se stessi e negli adulti, si può impostare anche un programma di valorizzazione dell’artigianato di qualità e di recupero degli antichi mestieri.

La scuola come patrimonio inscindibile dei luoghi in cui è inserita, strumento insostituibile per il riconoscimento della loro identità. Questo legame, oltre a prestarsi a una valorizzazione intelligente del bilinguismo in chiave di sviluppo cognitivo, esige interventi strutturali volti a radicare la scuola nel suo territorio, a incorporarla con esso fino a farla diventare sua parte integrante, facendo in modo che il territorio assicuri alla scuola qualità degli spazi, funzionalità e sicurezza e la scuola, a sua volta, dia al territorio la chiave per la comprensione del tempo in cui viviamo e gli fornisca le competenze e le energie di cui ha bisogno per il suo sviluppo. Dal territorio questa integrazione si deve estendere alla comunità che lo abita, che deve diventare comunità educante, sostenendo sia l’attività degli insegnanti, sia la funzione educativa delle famiglie e interagendo con tutti coloro che nel quartieri delle città e nei paesi rappresentano un presidio sociale e intercettano le persone in crescita. Da questa integrazione scuola-territorio-comunità possono e devono scaturire politiche autocentrate di sviluppo e la capacità di valorizzare il lavoro attraverso l’integrazione di saperi taciti (le tradizioni orali degli anziani, patrimonio prezioso della Sardegna) e saperi codificati dei giovani maggiormente scolarizzati.

Di questo intenso sforzo progettuale, interamente concepito qui in Sardegna e che ha avuto ampi riconoscimenti a livello sia nazionale, sia internazionale, è rimasta traccia non qui nella nostra Regione, ma nel decreto del ministro Carrozza sull’istruzione e, in particolare, nel  seguente comma (2-quater) dell’art. 6: «Lo Stato promuove lo sviluppo della cultura digitale, definisce politiche di incentivo alla domanda di servizi digitali e favorisce l’alfabetizzazione informatica anche tramite una nuova generazione di testi scolastici preferibilmente su piattaforme aperte che prevedano la possibilità di azioni collaborative tra docenti, studenti ed editori, nonché la ricerca e l’innovazione tecnologiche, quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile». Chi abbia seguito anche distrattamente le vicende del progetto “Scuola digitale Sardegna” riconoscerà facilmente qui i principi e i concetti base che lo caratterizzavano (in largo anticipo sui tempi governativi e legislativi).

 Tra digitalizzazione e sviluppo c’è oggi un nesso profondo. Per evidenziarlo basta pensare alle applicazioni del Digital manufacturing, cioè ai sistemi integrati, basati sulle tecnologie informatiche, che hanno la finalità di creare simultaneamente le definizioni del prodotto e del processo produttivo, col risultato di garantire una collaborazione istantanea fra ingegneri di produzione e progettisti. Si crea così una visione completa della progettazione di prodotti e processi che consente di associare, visualizzare e sottoporre a modifiche immediate i dati relativi a prodotti, processi, impianti e risorse, con un approccio coerente e globale alla progettazione della produzione. Questo è il tipo di formazione che la scuola digitale può contribuire a fornire ai giovani, attenuando il crescente distacco tra i processi e le fasi dell’istruzione e le esigenze e le richieste del mondo produttivo.

  Francesco Pigliaru, ha iniziato nel modo giusto il suo cammino di candidato alla Presidenza della Regione dicendo che l’istruzione è il problema centrale della Sardegna e  che l’autentica politica industriale da perseguire e sviluppare  è il recupero della dispersione. Per questo tutti noi, che crediamo nella centralità della scuola e nella funzione insostituibile dell’istruzione e della formazione gli auguriamo e ci auguriamo che questo suo cammino si concluda con un pieno successo.

*Serdiana 14 gennaio 2014

 

 

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