Turisti di qualità [di Mariasole Garacci]
MicroMega 9 ottobre 2017E’ facile stigmatizzare le orde di visitatori che affollano disordinatamente le vie del centro di Roma, ma il vero problema è l’incapacità di diversificare i flussi su un’offerta variegata, di disciplinare i trasporti e servizi, di controllare i lestofanti e i poveracci che alla mangiatoia comune dei beni culturali si accalcano. “L’orgoglio, almeno. Quello di dire basta alle orde zotiche e arroganti di turisti sempre più spesso catapultate nella nostra città come mandrie allo stato brado. Anime senza storia e senza rispetto a cui è venuto il momento di dare un segnale forte, di dire basta. Meno bifolchi e più turisti di qualità”. Sul Corriere della Sera di mercoledì 4 ottobre, Antonio Macaluso se l’è presa con i visitatori low cost, arroganti e cafoni, che si assiepano sulla scalinata di Trinità dei Monti o intorno ad altri monumenti romani improvvisando modesti pranzi al sacco a base di panini al tonno e maccheroni al ragù. Forse, la domenica precedente, l’ex vicedirettore del quotidiano era stato a passeggio per Piazza di Spagna e ciò che ha visto lo ha contrariato e intristito, come del resto succede spesso anche a me. Lo capisco. Ma argomentare i problemi di Roma stigmatizzando le “orde zotiche” e i “bifolchi“, a meno che non si stia chiacchierando oziosamente dei mala tempora davanti all’amaro dopo un pranzo in famiglia, senza pensare troppo al significato delle proprie parole, mi pare davvero antipatico e superficiale: esattamente, cosa definisce i “turisti di qualità” da accogliere e preferire ai “barbari 2.0” (sic!), e come dovrebbero essere selezionati i turisti degni di varcare le porte delle mura aureliane? Per censo, titolo di studio, numero di bagagli e figlioli al seguito, buon gusto nell’abbigliamento, regione di provenienza? Superficiale è parlare di qualità dei turisti, anziché di qualità del turismo: in questo campo, così come in generale in quello della cultura e dell’educazione, “la qualità” dovrebbe essere perseguita e valutata nell’offerta di chi dispone proposte e servizi, non nella domanda dell’acquirente che altro indirizzo e potere non ha, nelle sue scelte, se non l’interesse dimostrato nei confronti della città che visita e la sua disponibilità a spendervi, secondo le sue possibilità, tempo e denaro. Al contrario di ciò che comunemente si ritiene valga per il mercato finanziario, infatti, è l’offerta che dovrebbe modellare e indirizzare la domanda, non cedendo al livellamento verso il basso e anzi difendendo uno standard che tenda sempre verso l’alto. Per un senso di orgoglio meglio riposto e più utile di quello vagamente campanilista invocato da Macaluso, nonché proprio allo scopo di contribuire a innalzare la qualità (se vogliamo restare in questi termini) del turista. Ma per far questo ci vuole una politica accorta, consapevole, onesta, investimenti a lungo termine. Se tutto questo lascia a desiderare, non resta che auspicare la buona creanza di visitatori degni, e talvolta confidare nella loro tolleranza. A ben guardare, una delle cause fondamentali della trasformazione del centro di Roma in un suk popolare, misero e disordinato è, ad esempio, l’incapacità e talvolta l’impossibilità degli operatori e dei vari livelli dell’amministrazione deputati alla tutela e alla promozione del patrimonio storico-artistico di diversificare la proposta turistica, per deviare su altri siti non meno importanti gli insostenibili flussi di visitatori che si concentrano su poche aree oberate da una spietata messa a profitto che trasforma il Colosseo, i Musei Vaticani, il Pantheon e altri due o tre luoghi-simbolo in esangui, insulsi e affollati blockbusters. Luoghi e monumenti che, sfruttati con quella mentalità manageriale che misura la loro vitalità e fortuna dal numero di biglietti staccati e non, appunto, dalla qualità dell’esperienza di visita offerta, non hanno più nulla da raccontare e insegnare: non soltanto alle disgraziate “anime senza storia” che Macaluso vorrebbe rispedire a casa, ma neanche al vagheggiato “turista di qualità”. Un Goethe dipinto da Tischbein, me lo immagino così, che in virtù della sua raffinata educazione e della sua innata sensibilità estetica sarebbe in grado (e meritevole) di apprezzare Roma quanta fuit! Chi voglia rendersi conto di ciò che scrivo, venga a fare una passeggiata con me il prossimo fine settimana: proveremo a fare la fila per entrare nella basilica di san Pietro (dai trenta minuti alle due ore con ogni condizione atmosferica) per poi spostarci, già provati, ai piedi del Palatino, davanti l’Arco di Costantino, dove si estende un’inospitale spianata di sanpietrini e terra battuta, fangosa e poco illuminata in inverno e spietatamente assolata in estate, quando ogni folata di vento avvolge in una nube di polvere il turista stanco e assetato che non trova il ristoro di un po’ d’ombra, di una sola panchina, di un po’ d’acqua. Insieme, dopo aver scarpinato per il Foro Romano, schivando bagarini e venditori di iced-water offerta in bottiglie da mezzo litro raccolte dai cassonetti, riempite a una fontanella, sigillate con la colla e rivendute a due euro (proprio così), cercheremo un bagno pubblico, un bar che offra qualcosa di meglio di caffè disgustosi e tramezzini umidicci avvolti in pellicola trasparente a prezzi disonesti, un angolo piacevole dove fermarci a riposare. E, se ne avremo voglia, andremo a visitare i tanti altri luoghi di interesse dal Tridente a Piazza Navona circondati da miriadi di negozi di abbigliamento e gingilli di plastica uguali in ogni città. Allora, quando saremo stanchi e sfatti dopo diverse ore di visita a quei monumenti che la tradizione ha reso canonici e imprescindibili (come chiedere a un coreano o a un americano venuto a Roma dall’altra parte del mondo, del resto, di non vedere il Giudizio universale? Forse si può stabilire chi abbia diritto di accesso e sia sufficientemente motivato?), e non potremo agevolmente rientrare in hotel o a casa per riposare un po’ prima di riprendere il nostro tour de force, anche a noi non resterà che crollare a sedere sulle scale di travertino di qualche chiesa o monumento. Se, come Macaluso suggerisce, in altri paesi i turisti non si comportano male come a Roma, forse è perché quegli stessi bifolchi altrove trovano servizi e comodità che permettono loro di comportarsi civilmente. Arrogante non è tanto il turista, ma chi pensa di approfittare della bellezza unica del patrimonio che gli è stato trasmesso vivendo semplicemente di rendita. Il problema da porsi, a Roma come delle più importanti mete del turismo in Italia, è di riuscire ad organizzare e valorizzare le nostre risorse senza involgarirle, disciplinare trasporti e servizi, controllare i lestofanti e i poveracci che alla mangiatoia comune si accalcano. Non l’estrazione culturale e sociale di chi viene a trovarci. |