Catalogna e le lezioni apprese dai nemici delle lingue minoritarie [Nicolò Migheli]

lingua catalana

La Catalogna e il suo tentativo di rendersi indipendente stanno mostrando prese di posizione inaspettate. La difesa dello statu quo ante può essere giustificato dagli stati nazionali tradizionali, dal mondo della finanza, dalla stessa Unione Europea. Tutte entità che non amano l’incertezza, che vogliono una sicurezza che garantisca un quadro certo e stabile per i propri affari.

Un panorama che sta rivelando cadute insospettabili o meglio, il vero volto conservatore di chi fino all’altro giorno  se non era favorevole era almeno possibilista.

Una delle colpe imputate ai catalani e allo stato spagnolo che l’ha permesso è il plurilinguismo. Íñigo Méndez de Vigo, ministro dell’Educazione del governo spagnolo, accusa il sistema catalano di indottrinamento ideologico. L’uso della lingua catalana sarebbe la causa della presa di coscienza nazionale di quel popolo ed avrebbe educato le giovani generazioni ad un punto di vista indipendentista.

Méndez de Vigo prende spunto da casi deprecabili che si sono verificati in Catalogna dopo il referendum, quando a degli studenti figli di agenti della Guardia Civil sarebbe stato chiesto se erano orgogliosi del comportamento dei genitori. Se fosse vero, gli unici responsabili sarebbero quegli insegnanti non certo il sistema educativo catalano. La colpa sarebbe nell’aver adottato la lingua catalana come prima lingua veicolare, dimenticando che le altre sono il castigliano, il francese o l’inglese. Tanto che oggi i giovani di quella parte della Spagna sono, forse, i più plurilingue d’Europa.

La scrittrice Alicia Giménez Bartelett intervistata da La Repubblica del 12 ottobre parlando dei giovani dice tra l’altro: […] La prima (ragione n.d.r.) è che si tratta di una generazione che ha fatto la scuola come prima lingua. E con un indottrinamento abbastanza importante. Sono convinti che la Catalogna sia il centro del mondo… Insomma le colture minoritarie, le lingue dei popoli che non hanno stato, le concezioni del mondo di milioni di persone attentano alle unità “nazionali” dei paesi che la loro indipendenza l’hanno già avuta.

Non è una novità, i conquistatori hanno sempre bruciato gli archivi e la letteratura dei vinti, hanno imposto la loro lingua come superiore, hanno usato flotte ed eserciti per creare nazioni dal nulla ma Una d’arme, di lingua, d’altare, Di memorie, di sangue e di cor, come recita Marzo 1821 di Alessandro Manzoni. E quindi quelle lingue, quelle memorie, quelle letterature bisogna tagliarle, ridurle allo stato di lingue volgari, buone per gli affetti, ma mica tanto. Lingue rozze e di cui vergognarsi perché non sono quelle dominanti.

Operazione che bisogna fare con l’uso di tutta la potenza mediatica disponibile, con la scuola nella lingua dei dominatori, con azioni che influiscano nel subcosciente generando rimozioni che costruiscano sensi di inferiorità. Nella negazione della lingua materna passa la negazione dell’individuo e della comunità. È così che si insinua nelle fibre dell’animo la dipendenza, il non essere come gli altri.

Dileggiati per l’accento, per l’errore ortografico e di sintassi, costretti dentro un paradigma di inferiorità costante, dipendenti dal centro. Un centro il più delle volte irraggiungibile. Questo vogliono, e questo di noi sardi hanno ottenuto. L’hanno ottenuto talmente che per molti di noi è diventato cifra dell’esistenza, la chiave del non ce la possiamo fare, dell’assistenzialismo e della dipendenza dagli altri come unica prospettiva esistenziale.

Ecco perché da noi ci sono tanti nemici di una lingua standardizzata. Alcuni perché hanno capito quanto sia eversiva degli equilibri culturali e politici attuali, altri per semplice non conoscenza, per paura di perdere il linguaggio del borgo o quello familiare o per la fatica di reimpararla.

La Catalogna è una bella cartina di tornasole per noi, rivela il non confessabile; è scuola e scandalo. Sappiamone trarre insegnamento.

 

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