Un’idea di sinistra per la Sardegna? Chiudere le fabbriche del polo industriale di Portovesme [di Vito Biolchini]
Cari amici, le idee sono niente senza il coraggio della verità. E allora consentitemi di proporre a questo dibattito, con la massima semplicità possibile, una mia idea per il futuro della Sardegna. Sardegna e non Italia, perché se ogni idea di sviluppo deve partire dal basso non possiamo continuare ad ostinarci a ritenere che ogni ricetta economica e sociale che prescinde dalla nostra identità e dalla nostra specificità, possa essere applicata con qualche ragionevole speranza di successo. Ecco, la mia idea è molto semplice: la sinistra sarda deve da subito impegnarsi perché le fabbriche di Portovesme vengano chiuse e il sito bonificato. Così come da anni combattiamo le servitù militari, dobbiamo infatti contrastare con la medesima determinazione anche quelle industriali. Portovesme srl, Alcoa, Eurallumina sono tre fabbriche figlie di un periodo storico e di un modello di sviluppo ormai passato, un modello oggi del tutto incompatibile con il diritto alla salute e all’ambiente, e ad un lavoro realmente sostenibile e che non scarichi sulla collettività il peso tremendo delle sue insanabili contraddizioni. Il prezzo che queste tre fabbriche fanno pagare da tempo al Sulcis e all’intera Sardegna è ormai insostenibile. Eppure tutta la politica sarda continua in maniera miope a combattere una battaglia assurda perché queste fabbriche restino ancora aperte. Invece dovrebbero essere chiuse, ed anche in tempi ragionevoli; e la politica dovrebbe con intelligenza gestire una transizione che è ormai nei fatti. Perché da nove anni Eurallumina è chiusa ed è evidente a tutti che il polo dell’alluminio è economicamente insostenibile. Mentre la Portovesme srl esige continuamente un tributo di inquinamento che non è più tollerabile. Se essere di sinistra significa pensare al futuro, come possiamo immaginare di riempire il Sulcis di discariche di rifiuti tossici solo per tenere in piedi queste tre fabbriche che non hanno un domani? Quale eredità lasceremo ai nostri figli ai nostri nipoti? Una sinistra responsabile pensa soprattutto alle generazioni che verranno: la sinistra sarda questo non lo fa. Tutta la sinistra sarda e la Cgil continuano invece a difendere e a battersi, al pari di Forza Italia e di Confindustria, per questo industrialismo già fallito nei fatti; un modello economico senza speranza, senza futuro, a cui ci si aggrappa per miopia e per convenienze personali. Tenere aperte queste fabbriche è da irresponsabili. Quelli di Portovesme sono posti di lavoro malati, esattamente come lo sono quelli derivanti dalle servitù militari, e una sinistra degna di questo nome non può continuare a difenderli; perché per difendere una piccola minoranza di lavoratori sta condannando la Sardegna a subire un modello di sviluppo esiziale. Il polo industriale di Portovesme, così come è oggi, va smantellato. Programmare la chiusura definitiva della Portovesme Srl, dell’Alcoa e dell’Eurallumina è dunque l’unica cosa ragionevole da fare ed è una idea politica che, se attuata aprirebbe, un nuovo scenario economico, politico e sociale. E gestire una transizione di cinque o anche di dieci anni consentirebbe paradossalmente di salvare quei posti di lavoro che altrimenti verranno naturalmente spazzati via. Sono stanco dell’ipocrisia e della retorica sui posti di lavoro. I lavoratori della Portovesme srl, dell’Alcoa e dell’Eurallumina hanno diritto come tutti ad un lavoro, non a “quel posto lavoro”. A quel posto di lavoro quei lavoratori non hanno alcun diritto. A questo punto del dibattito c’è sempre qualcuno che mi accusa di fare queste proposte perché evidentemente io, come amano dire i sindacalisti, “io ho il culo al caldo”, perché non rischio nulla, perché ho un posto di lavoro sicuro. Allora, io sfido simpaticamente tutti coloro che provano a zittirmi affermando che chi chiede il superamento del modello industriale pesante nel Sulcis è in realtà un privilegiato; li sfido a mettere pubblicamente la loro dichiarazione dei redditi degli ultimi cinque anni affianco alla mia. Per capire chi sono realmente i privilegiati in questa situazione: chi critica o chi continua a lavorare per tenere in vita fabbriche morte e senza futuro. Io di sicuro non ho mai preso una cassa integrazione da 1600 euro al mese. La sinistra sarda se vuole recuperare un po’ di credibilità in tema di lavoro e occupazione non può più assecondare la follia Portovesme. Per questo non voterò e non sosterrò nessun partito o formazione politica che non metta esplicitamente nel suo programma il superamento di quel modello industriale. La sinistra sarda ritrovi il coraggio dell’utopia possibile: basta con queste fabbriche a Portovesme. Basta: che prima chiudono, meglio è per tutti: lavoratori compresi. Sinistra sarda compresa. Grazie e buon proseguimento dei lavori *Presidente associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana ** Testo elaborato per l’iniziativa “100 piazze per un programma”
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Un’ottima proposta ma come business plan ha qualche fallla…
Cosa ne facciamo degli attuali lavoratori? Costi?
Tenga presente anche dell’indotto, fornitori,manutenzione,etc.etc.
Condivido la logica dello scritto. Penso però che non dovrebbe riferirsi solo a Portovesme ma alla Sardegna intera.
Inoltre, va bene dire cosa non fare, ma poi bisogna dire anche cosa fare.
Riguardo a cosa non fare, penso che basterebbe evitare di promuovere coltivazioni e allevamenti non compatibili col territorio e industrie di trasformazione le cui materie prime vengano importate.
Riguardo a cosa fare, penso che, prima di ogni altra cosa, andrebbero privilegiate le attività del settore primario, agricoltura e allevamento. Coltivando e allevando specie compatibili col territorio.
Le attività industriali dovrebbero essere costituite in primo luogo da aziende per la trasformazione e la conservazione di quei prodotti del settore primario che non dovessero trovare collocazione sul mercato quando sono freschi.
Il mercato per tali prodotti, sia quelli del settore primario che quelli del settore secondario, potrebbe essere costituito in larga misura dalle attività collegate al turismo. Un turismo sostenibile, non certo quello dei campi da golf dappertutto.
Tali trasformazioni andrebbero fatte in modo condiviso e solidale, non lasciando indietro nessuno. A capo di questi cambiamenti potrebbe anche esserci la regione autonoma della Sardegna.