L’esercitazione [di Franco Meloni]
Il nervosismo era tangibile. Molto tesi ci avvicinavamo al momento decisivo. Avevamo studiato, ma gli esami sono sempre imprevedibili. Sapevamo che pochi di noi l’avrebbero passato. La qualifica era talmente importante che alla fine del corso venivamo selezionati con estremo rigore. La Facoltà di Ingegneria era famosa per la durezza delle materie e per la ringhiante pretenziosità dei Professori. Avevo pensato molte volte di lasciar perdere e di dedicarmi a qualche altro lavoro. Ma la spinta era sempre forte. Non mi ero lasciato abbattere dalle avversità e avevo stretto i denti, in modo simbolico, naturalmente.
I rapporti con gli altri, esterni alla Facoltà, ne avevano risentito e anche i miei affetti erano risultati sempre precariamente oscillanti tra grande amore e grande odio. Qualcuno, poi, mi ignorava completamente, come se non esistessi. Probabilmente non aveva tutti i torti. Ma io non ci facevo caso e mi comportavo come profuso di assoluta bontà. La vita era quasi sopportabile, specialmente pensando cosa avrei potuto fare con una laurea in tasca, se non ci fosse stato l’impegno totalmente assorbente dell’Esercitazione Finale: la Tesi.
L’anno di tempo a disposizione, pena l’espulsione, era letteralmente volato. Devo riconoscere che la Facoltà aveva messo a nostra disposizione tutti i mezzi necessari. Non avremmo potuto chiedere di più. La Biblioteca, sempre aperta, era aggiornata su tutte le diavolerie, per così dire, del momento. Avevo lavorato con pazienza e dedizione infinite. Il mio Tutore sperava che la commissione avrebbe considerato favorevolmente il lavoro fatto. – Nessuno è perfetto!, sosteneva rincuorandomi. Le schede erano state depositate per l’analisi. Poi ci sarebbe stata la dimostrazione dal vero. Il modello che simulava il mio Progetto, costato tanta fatica, avrebbe fornito le risposte alle domande dei Commissari.
La sala d’esame era molto grande e ciascuno dei laureandi aveva davanti il proprio modello. L’ordine di presentazione era legato alla sorte. Essendo stata estratta la lettera J, toccava per primo a me. Forse era meglio, mi sarei tolto subito il pensiero, anche se ero terrorizzato dal futuro, in caso di insuccesso. Il Lavoro Finale doveva essere un compendio di tutto il corso. Si iniziò dalla Fisica. Era quasi perfetto. Tutto è relativo ma non apparivano grandi incongruenze, almeno non tali da rendere impossibile la struttura globale. L’aspetto che colpì favorevolmente i Commissari era la grande fantasia che avevo introdotto. Erano quasi affascinati, per le sottili e per me raffinate diversità nei singoli pezzi.
L’architettura del tutto era veramente elegante. Non troppo essenziale, dato il poco tempo, ma neanche pacchiana, con la giusta dose di evoluzione. Avevo tutti gli indicatori sul verde. Con diverse tonalità ma sicuramente sul verde. L’ultima modifica aveva fatto sparire i due pallini rossi che sarebbero bastati a far fallire la prova. Anche uno, disgraziatamente, l’avrebbe invalidata. Venne acceso il rivelatore e mi venne un colpo: un pallino rosso. Da ieri a oggi. Incredibile. Ero certo che tutto avrebbe funzionato, invece… Se non avessi avuto la certezza di apparire ridicolo, avrei pianto.
Un Commissario, con un sorriso diabolico, pretese un ingrandimento della zona imperfetta. Una serie di dati apparve sullo schermo e rivelò una grave forma di scisma antropofago autoeliminante con contagio nove decimi, il peggiore. Avrebbe infettato tutto la creazione in pochissimo tempo. Ricordai che un caso analogo su Sole 3. Miracolosamente l’avevano evitato. Orione 12, che sembrava quasi a posto, non ne era uscito indenne. Incredibile, eppure tutte le condizioni iniziali erano favorevoli. Tra i due, i più instabili del Lavoro, avrei scommesso contro i buffi umani che, ogni creatura è bella per suo Padre, pensavano veramente di somigliarmi. Cosa avrei fatto ora, mi chiedevo, mentre veniva staccata la spina che teneva assieme la mia Creazione?
*Fisico. Università di Cagliari
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