Tessiture di donne” di Antonietta Langiu [di Anna Fresu]

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Tessiture di donne, di Antonietta Langiu, è un romanzo a due voci che si alternano: la voce dell’autrice e la voce di Lisa, una donna tormentata, che irrompe nella vita della scrittrice cercando in lei un’ascoltatrice capace di accogliere lei e la sua storia, ascoltare con pazienza, senza emettere sentenze.

Storie parallele, in particolare di tre donne, fragili e deboli ma anche forti e coraggiose alla ricerca del senso della vita e il viaggio ne diventa spesso un mezzo.In tempi e luoghi diversi, le donne si confrontano senza giudicarsi, si comprendono. Un filo sottile ma saldo le lega, le riporta alle origine sarde, a quel sapere orale delle antiche matriarche dotate di saggezza e dignità.

“Ti ascolterò, sì ti ascolterò, ma non so se potrò, e come, esserti di aiuto e di conforto. Mi addormento ripetendo un proverbio della nostra terra comune: “Su dolore ispinghe’ boghe. Il dolore spinge la voce (a parlare)”.…Urlalo al vento, alle stelle, agli alberi e ai passeri magari. Fa’ che non diventi un fuoco che brucia e divora, perché la cenere che resta si tramuta in pietra.”

Lisa si rivolge a Antonietta perché le lega un passato comune, una terra che sente il bisogno di riscoprire per risalire alle proprie radici. La terra è un’isola, la Sardegna, con i suoi riti, le sue leggende, le sue tradizioni; con la sua natura aspra e a volte matrigna. Terra di povertà e dura fatica, terra da cui migrare a volte, da lasciare per costruirsi un futuro, terra a cui tornare, a volte pacificati o solo per interrogarsi, per cercare risposte anche alle tante domande sul senso della vita e del viaggio anche e soprattutto interiore.

Terra che è memoria e, a volte, dolore. Terra in cui le radici possono diventare ali. Lisa ha passato l’infanzia in silenzio, messa ai margini per le sue difficoltà di apprendimento la cui causa – la dislessia – solo la tenacia e l’attenzione costante di sua madre per prima riuscirà a portare alla luce e ad avviare verso un percorso, lento e doloroso, di superamento che lei stessa porterà avanti negli anni con la sua capacità di continuare a lottare.

Lisa sente il bisogno di raccontarsi, per esprimersi, per capire, per fare chiarezza e si rivolge all’autrice che ha conosciuto attraverso i suoi libri e in cui riconosce un’anima affine malgrado storie personali e età così diverse.

Scopre soprattutto in Antonietta il senso profondo dell’accoglienza e sa che, nel calore della sua casa e della sua tavola, gli incontri che hanno attraversato le loro vite si completano e diventano una chiave possibile per interpretare la vita. È anche una storia di viaggi fatti non solo di luoghi, ma anche di persone, di pensiero, di arte e di poesia in un grande telaio di fili tesi e intrecciati dalle mani delle due protagoniste, sorrette e mescolate dalla presenza/assenza di Joyce Lussu, la grande Sibilla degli Apennini, amica e esempio di vita; dalle abili dita, dai colori, dai materiali della terra e della casa dell’artista sarda Maria Lai; dal pensiero di Gandhi e di Le Corbusier, entrambi “architetti” di pace.

È una storia in cui la lingua, le parole contano perché difficili, impossibili a dirsi, come nell’infanzia di Lisa; perché accompagnano la vita, i momenti duri o magici, come nei racconti della nonna e della madre di Antonietta o nella trasmissione di sas paraulas, parole di mistero e sanazione; o quelle dei versi di grandi poeti, come il poeta indiano Maka Abraham o Konstantino Kavafis; o come Nazim Hikmet o Ho Chi Min. “Poeti legati tra loro da un filo rosso che ne motivava le scelte: l’amore per l’uomo e per il mondo, e l’impegno per modificarlo in meglio”,giunti a noi grazie alla ricerca, alle traduzioni di Joyce Lussu.

“ – Ami anche tu Hikmet? – mi chiedi…Sì, vorrei dirti, ma lo dico solo a me stessa. È stata sempre quella Sibilla, grande amica e grande donna, di cui sento la mancanza, afarmelo amare; l’aveva conosciuto e ne aveva tradotto i versi. Li ripeteva spesso a fine pranzo in questa mia casa, quando si faceva silenzio e ognuno rifletteva sulla propria fortuna e sulla piacevolezza di una tavola imbandita, e con tanti amici intorno”.

Questo libro mi ha commosso e conquistato con la sua lingua semplice e evocativa, per quel velo di malinconia che è compassione e desiderio, a volte di rimpianto, per questa vita destinata a finire; per la capacità di cercare cammini che restituiscano senso e valore alle cose, alla vita, specie quando mani di donne si legano insieme per tesserne la tela. “Se una storia è niente, appartiene solo a chi la racconta, ma se è qualcosa che ci tocca, allora appartiene a tutti”

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