Mohammed è arrivato nel Kurdistan iracheno a marzo 2013. Curdo siriano, residente a Homs, aveva deciso di scappare dal conflitto armato e dalla crisi economica, alla ricerca di un luogo stabile in cui guadagnarsi da vivere. La regione autonoma del Kurdistan per lui rappresentava un sogno. Ma le sue illusioni si sono dissolte rapidamente: “Il giorno che abbiamo attraversato la frontiera, ho visto la bandiera curda e i segnali stradali in curdo e mi sono sentito felice. Stavo bene, ero in una regione curda, mi sentivo sicuro, era bello. Ma questa soddisfazione è durata solamente una settimana.”
Le prime difficoltà sono emerse sul terreno del lavoro. Giovane e intelligente, Mohammed portava con sé una laurea in ingegneria petrolifera, parecchi anni di esperienza nelle raffinerie di Homs e una buona conoscenza dell’inglese. I numeri giusti per trovare subito un buon impiego in una delle tante imprese internazionali impegnate a trivellare in tutto il Kurdistan.
Invece niente. I posti di medio e alto livello sono riservati al personale internazionale o ai cittadini iracheni. Un rifugiato siriano deve accontentarsi piuttosto di un lavoro da muratore o da operaio. Mohammed ha cercato a lungo senza successo. Infine si è dovuto accontentare di un impiego da traduttore per un’impresa di costruzione con contratti nell’industria petrolifera. Lo stipendio: 600 dollari al mese. Meno della metà di un ingegnere iracheno con il suo stesso livello di esperienza.
Anche trovare una casa non è stato facile. Nella società curda irachena, abbastanza conservatrice, è raro che un giovane celibe affitti casa da solo. Soprattutto, nessuna famiglia che si rispetti vorrebbe abitare accanto a lui. Mohammed ha vissuto per i primi due mesi in un motel. In seguito è riuscito ad affittare un appartamento, ma solo grazie alla raccomandazione di un conoscente. Il costo dell’affitto: 350 dollari al mese, più di metà del suo stipendio. Lo condivide con Jivan, un amico curdo siriano, avvocato di professione, ma ora disoccupato. Trovare lavoro per lui è praticamente impossibile: a parte il fatto di essere un rifugiato, i sistemi legali dei due paesi sono diversi.
Nonostante le difficoltà economiche, Mohammed e Jivan vivono in condizioni migliori di molti altri rifugiati. Abitano in un appartamento moderno e ben arredato. Hanno i mezzi per mangiare, vestirsi, provvedere alle loro necessità. Ciò nonostante, non riescono a adattarsi alla loro nuova situazione. La loro famiglia è lontana, hanno pochissimi amici e al di fuori del lavoro non escono quasi mai di casa. Trovano la società curda irachena molto più conservatrice di quella siriana. Nonostante l’identità curda in comune, le differenze balzano agli occhi: “Anche se siamo curdi, la nostra vita è in Siria e ci pensiamo tutti i giorni. Qui il costo della vita è più caro, la lingua è diversa, le tradizioni sono diverse. Eravamo molto mescolati con gli arabi, mentre qui i curdi restano tra di loro. La religione in Siria ha un peso minore, c’è più libertà personale.”.
Se potesse scegliere tra i due paesi, Mohammed non avrebbe dubbi: “Preferisco tornare in Siria per vivere con gli arabi, con i musulmani e con i cristiani. Preferisco convivere insieme come prima, anche se la situazione politica e la sicurezza sono pessime.”.
Purtroppo il prolungamento del conflitto, la crisi economica e l’offensiva dei gruppi jihadisti sulle zone curde gli hanno tolto la speranza di poter rientrare a casa nel breve periodo. E allora Mohammed, piuttosto di ritrovarsi bloccato nella situazione attuale, tenta di far uscire dalla Siria il resto della sua famiglia e sogna di poter emigrare un giorno in Europa.
da: focusonsyria.org
*Nella foto: il confine iracheno fra il Kurdistan iracheno e la Siria
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