Carles Puigdemont i Casamajó: un vicino di casa [di Nicolò Migheli]

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Cosa ne sarebbe stato del cristianesimo e della cultura occidentale se il 31 di ottobre del 1517 un oscuro monaco agostiniano di nome Lutero non avesse protestato con 95 tesi contro la vendita delle indulgenze? La società produce moltissime persone adatte all’”azione” ma noi non le sappiamo utilizzare tutte  scriveva Vladimir I. Lenin in  Che Fare?

Come cambierà la democrazia spagnola e quella europea dopo lo strappo catalano? Un evento che, non si fa fatica a prevederlo, segnerà i prossimi decenni. Come spesso accade, chi guida questi processi è una persona che avrebbe desiderato essere altrove e che invece le contingenze lo portano ad esserne il protagonista principale.

Carles Puigdemont i Casamajó, sindaco di Girona dal 2011 al 2016, non voleva l’incarico di presidente della Generalitat, è stato convinto ad accettare dopo che la Fiscalia de Estado aveva inabilitato Artur Mas da ogni carica politica per aver organizzato il referendum consultivo sull’indipendenza nel 2014. Puigdemont leader riluttante; ha detto più volte che mai avrebbe immaginato di dirigere un procés finalizzato all’indipendenza, e che però non poteva più ritrarsi da quella che considerava una responsabilità e un dovere storico.

Con il suo viaggio a Bruxelles il presidente corre il rischio di diventare la Cabeza de Turco, il capro espiatorio degli avvenimenti catalani. Viaggio, definito fuga dai mezzi di comunicazione spagnoli e italiani che non vedono l’ora di schiacciare sotto il tallone la testa di colui che hanno individuato come il maggior responsabile dello strappo. Una indipendenza finita in farsa scrivono accreditati opinionisti.

A Puigdemont si rimprovera persino la moglie rumena e l’eleganza demodé di lei. Tanto accanimento è spiegabile con la figura stessa di quel leader, un uomo normale, eternamente vestito in traje: abito scuro, camicia bianca e cravatta.

Un’immagine rassicurante, antitetica alle barbe fluenti dei movimentisti della CUP. Un aspetto da piccolo borghese, da vicino di casa, uno che si può incontrare sul pianerottolo o al bar e prenderci un caffè insieme. Uno di noi si direbbe, se l’espressione non fosse ormai sequestrata dal linguaggio populista. Ed infatti nella sua Girona è così. Uomo popolare e sensibile alla popolarità, attento agli umori della rete a cui dà grande importanza.

Ha commesso errori? Fino al referendum del 1° di ottobre no, l’agenda l’ha dettata lui e il comitato con cui si consultava costantemente. Dal giorno dopo è sembrato invece che la mano fosse passata a Mariano Rajoy, quasi che Puigdemont e gli indipendentisti improvvisamente fossero rimasti senza una strategia chiara.

Proclamare la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza o no? Hanno aspettato 27 giorni e fino all’ultimo hanno sperato che Madrid non applicasse il 155 e si potesse trattare. In quel momento Puigdemont si è sentito stretto contro un muro, tra le accuse in rete e sulle piazze di tradimento, la minaccia di dimissioni dei deputati della CUP, la spaccatura del suo partito: il PDeCAt. Aveva immaginato come via d’uscita l’indizione delle elezioni regionali per il 20 di dicembre e poi ha ceduto a chi voleva la DUI, ed infatti è stato il Parlament a proclamarla. Puigdemont non è intervenuto né nell’aula né sulle scale del Palau.

Quella dichiarazione non è mai diventata atto ufficiale, mai pubblicata sul Bollettino Ufficiale catalano e quindi non esiste. Ora l’encierro madrileno sta dispiegando tutta la sua forza contundente. L’oligarchia spagnola privilegia la soluzione giudiziaria a quella politica.

La giudicessa Carmen Lamela annuncia che giovedì invierà i mandati di comparizione a Puigdemont, al vice presidente Junqueras, alla presidente del Parlament Forcadell ed ad altre 10 persone, accusate di sedizione e ribellione. Non importa che la repubblica non sia stata proclamata ufficialmente, solo averlo detto e aver organizzato il referendum è sufficiente, anche se l’estensore dell’articolo del codice penale ha affermato che l’accusa di ribellione non è applicabile in quanto non vi è stata violenza.

Il governo spagnolo intanto indice elezioni per il 21 di dicembre con la volontà di farne un’ordalia. Il Giudizio di Dio che dovrebbe cancellare l’indipendentismo. Già compaiono sondaggi dove si sostiene che i voti per gli indipendentisti sarebbero solo il 33,5% dell’elettorato, mentre fino al referendum, sempre secondo gli istituti demoscopici, erano al 48%. Si sarebbe volatilizzato un 15,5%? Un dato che non regge.

Ed infatti il 31/10/17 il Centre d’Estudis d’Opinió, un istituto di ricerca catalano, afferma che con le intenzioni di voto espresse in questi giorni per i partiti indipendentisti, questi riprenderebbero la maggioranza dei seggi nel Parlament. Come prima.

Il 30 di ottobre il vicepresidente del senato spagnolo Pedro Sanz , intervistato dal giornale La Razon, alla domanda Si en las elecciones vuelven a salir elegidos los independentistas, ¿se volvería a activar? (il 155 n.d.r.) Risposta: Si no se cumple la legalidad se le requerirá al nuevo Gobierno para que la cumpla y volveremos a hacer lo mismo y eso es lo que hay que aplicar.

Se il 21 di dicembre vinceranno ancora gli indipendentisti verrà applicato di nuovo il 155. Un sequestro della democrazia che potrebbe portare, come altre volte nella storia, alla scomparsa delle istituzioni catalane e ad avvenimenti terribili. L’oligarchia vorrebbe per Carles Puigdemont e gli altri una condanna esemplare a 30 anni di galera.

Ormai è chiaro che la costituzione  figlia dell’autoriforma del franchismo non rappresenta più tutta la Spagna. Vi è bisogno di una rivisitazione profonda, di un re che si ispiri al suo antenato, il  riformista Carlo III. Re Filippo invece con il suo discorso ha ricordato di più il restauratore Ferdinando VII.

Carles Puigdemont, il vicino di casa, potrebbe passare alla Storia come uno dei riformatori di Spagna e d’Europa. Il 31 ottobre 1517 pochi davano retta a quel monaco di nome Martin Lutero e alle sue 95 tesi.

 

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