Lettera aperta a Francesco Pigliaru [di Angelo Cuccu]
Caro Francesco Pigliaru, si faccia carico del malessere dei sardi. Questo le manca, di dare l’impressione di farsene carico. L’ho ascoltata ieri alla Fiera a Cagliari, e ho tirato un sospiro di sollievo. Tiene la scena, il candidato c’è, un presidente c’è per i prossimi 5 anni. Ma non direi la freddezza, fa bene Lei a scherzarci su: è una modulazione sul sentire dei sardi che dovrebbe cercare, da domani a Oristano dove tornerò a sentirLa e sino al 16 febbraio, e poi nei 5 anni di governo che Le auguro, che mi auguro. E’ come se avessi bisogno di vederLe alzare lo sguardo sulle persone, incrociare il loro, di sguardo, interloquirci. Il modello va bene? Mi commuove sentirLa parlare di scuola per 40 minuti su un’ora di discorso, ripenso alle famiglie di pastori dei nostri paesi nel nostro lungo dopoguerra, e a mio padre e mia madre fra loro, poco meno che analfabeti ma con quest’ansia dello studio dei figli; era la loro emancipazione ed è stata la nostra. Suo padre conosceva questa Sardegna, contribuì ad animarla con i circoli Ichnusa, sono sicuro che la conosce anche Lei; ma ce la racconti, ce la “restituisca” dopo avere alzato lo sguardo per vederla, perché la dispersione scolastica è figlia di disagio sociale e difficoltà economiche, ma soprattutto di modelli culturali; e forse parlando al pastore dei propri figli e nipoti e prospettando un vita diversa per loro riesce a tirarlo fuori dal circuito di pensiero e di riflessi in cui è ridotto dal modello culturale più che dallo sfruttamento dell’industriale (che pure perdura), e dal prezzo del latte (che è leggermente aumentato, e magari ne attribuisce qualche merito a Cappellacci). Non ci voteranno in massa, raramente i pastori hanno votato a sinistra nella nostra storia, se non parti di loro. Ma non se ne può prescindere dal guardarli in faccia, al di là dei calcoli elettorali, e anche se uno sa che ci sono meno pastori a Orgosolo, a Orune e Bitti (messi insieme) che a Olbia, questo sostrato della società sarda da rurale che appare ed è rimasta effettivamente in tutte le zone interne (anche dopo che i pastori sono andati via per lasciare il posto ai forestali a sei mesi), è diventato anche urbano. Ed è una società di malessere, per ricordare un altro titolo, un’altra chiave di quei tempi. Di umori, passività, negatività, de-responsabilizzazione, i frutti avvelenati dell’assistenzialismo. I forconi siciliani e laziali e padani si sono affacciati qui nella campagna sarda; da vent’anni. Il Movimento dei pastori li interpreta, a fasi, ed è lo stesso umore che si vede nelle assemblee per la zona franca. Basta scorgere i giornali, che ci sguazzano, per capire il filo rosso che lega i movimenti locali per i No alla discarica lì, all’inceneritore qui, alla centrale a carbone, alle trivellazioni, al terminale del metano. Molti sacrosanti No, ma dispersi, senza disegno, senza prospettive, spesso irrazionali, mentre tutto il peggio è qui e ora con le discariche a cielo aperto e con gli inceneritori obsoleti, nella sola regione europea senza metano. Non è un altro tema. In questa Sardegna amara e disillusa seminano illusioni Cappellacci e ahimè anche Michela Murgia, quest’ultima più per impoliticità, evasione dalla complessità. Mi fermo qui, anche se potrei dire: alzi lo sguardo e incroci quello dell’operaio, e quello racconterà a Lei e Lei a noi e a tutti i sardi che cosa ne è di quest’altra componente della nostra società e della nostra storia, ridandole tutta la ricchezza e la profondità che ha avuto e ora troppo frettolosamente sembriamo disposti a rimuovere. Incroci lo sguardo con i giovani, fuori dalle nostre assemblee, visto che non sono venuti a Cagliari ieri (ha provato a farli contare? Io ho provato: ogni cento persone, c’era un giovane sotto i trent’anni…). La Sardegna che ricomincia, ricomincia se sa guardarsi dentro, e anche un po’ indietro, il tempo giusto; prendere forza da quel che è stata ed è, senza che continuiamo a subire la lettura di un passato fatto solo di macerie, sconfitte, frustrazioni. |
Proprio così egregio prof. Pigliaru provi a distogliere lo sguardo dai suoi colleghi cattedratici e arivolgerlo ai tanti normali, piccoli ,forse illusi ,certamente delusi che aspettano qualcosa di buono , nuovo, utile, giusto.Troppe pretese?