Quo vadis Mitteleuropa? [di Frédéric Schneider]

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VoxEurope.it  23 ottobre 2017. La Germania, l’Austria, la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, un tempo molto tolleranti, stanno offrendo sempre più consensi ai partiti nazionalisti. Come possiamo spiegare questo capovolgimento?

La Mitteleuropa raggruppa i paesi dell’Europa centrale in senso stretto (gli stati membri del gruppo di Visegrád: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e i paesi germanofoni. Un concetto che risale al XIX secolo secondo il quale i popoli dell’Europa centrale sarebbero intrinsecamente legati alle popolazioni germanofone, e che mira a giustificare l’espansione della Prussia verso est.

Sfortunatamente, gli ultimi avvenimenti danno ragione a questa interpretazione, finora considerata assurda: l’avanzare dell’estrema destra autoritaria mette probabilmente in luce un destino comune. È ora di suonare il campanello d’allarme nell’Europa centrale e germanica.

La xenofobia da Budapest a Berlino, passando per Varsavia. Budapest ha aperto le danze in questa folle corsa verso la xenofobia. Dopo Ferenc Gyurcsány, che era senza dubbio un uomo politico cinico ma anche un progressista, Viktor Orbán è arrivato al potere nel 2010. Ha iniziato subito a smantellare la democrazia ungherese. L’autoritario primo ministro ha approfittato della crisi dei migranti del 2015 per rafforzare la sua posizione, denunciando l’inadatta politica dell’Unione europea che metterebbe in pericolo la sicurezza dei cittadini imponendo quote di rifugiati per ogni stato membro.

La Polonia ha intrapreso lo stesso percorso. Dopo otto anni di liberalismo e la partenza di Donald Tusk per Bruxelles, il partito fortemente conservatore Diritto e Giustizia (PiS) è tornato al potere sulle rive della Vistola due anni fa. Anche lì il nuovo governo ha cavalcato l’onda dei pericolosi “islamisti” venuti da lontano. La loro religione, tuttavia, non è l’unico elemento sotto accusa. “I rifugiati musulmani hanno portato il colera sulle isole greche e la dissenteria a Vienna”, dichiarava forte e chiaro il presidente del PiS Jarosław Kaczyński, puntando anche lui il dito contro i burocrati di Bruxelles.

E una deflagrazione è avvenuta nelle ultime settimane. In Germania, i due grandi partiti tradizionali hanno registrato il loro peggior risultato dal 1949, in occasione delle elezioni legislative del 24 settembre. L’estrema destra ha oltrepassato la soglia del 5 per cento per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, durante la quale il “social-nazionalismo” ha provocato le devastazioni che tutti conosciamo. Un’entrata d’effetto nel Bundestag, con addirittura un ottavo dei suffragi e 94 seggi conquistati.

Dopo appena tre settimane, i vicini austriaci hanno nuovamente conosciute le gioie dell’avanzata del Fpö: 26 per cento dei voti. Vienna ha addirittura rischiato il peggio, dato che i sondaggi davano l’estrema destra nettamente in testa a dicembre, col 35 per cento delle intenzioni di voto, superando il primo avversario di dieci punti.

Questo sabato, abbiamo scoperto la nuova composizione del parlamento ceco. Sarà dominato dal populista filorusso e autoritario Andrej Babiš e dal movimento Ano, che ha sfiorato il 30 per cento dei voti. L’estrema destra è giunta quarta, dietro ai conservatori ed euroscettici del’Ods e al Partito pirata.

Persone calorose. Un quadro molto cupo emerge da questa Mitteleuropa. Come se la sua popolazione sia ripiegata su sé stessa, non incline alla cooperazione con gli altri. Tuttavia, chiunque conosca questa regione sa certamente che non è così. Parlo con cognizione di causa: ci ho vissuto per più della metà della mia vita. Dopo aver trascorso i miei primi anni di vita in Cecoslovacchia, ho fatto la scuola primaria in Polonia, le superiori in Austria, l’Erasmus in Germania prima di rivivere per sette anni a Varsavia dopo gli studi. Io, francese, sono stato sempre accolto a braccia aperte, senza nemmeno chiedermi da dove venissi. Ho sempre incontrato delle persone calorose.

La natura umana di questi popoli è davvero cambiata in maniera così radicale in così poco tempo? Non credo. In compenso, sono cambiati quelli che manovrano i fili, gli influencer che manipolano le folle. Per calcolo politico, hanno attirato l’attenzione degli elettori su problemi talvolta secondari, talvolta reali ma senza proporre soluzioni credibili, sventolando lo spauracchio di un nemico immaginario.

Passato comunista e identità. Un legame preoccupante può essere individuato tra questa avanzata del nazionalismo nella regione e il passato recente: la maggioranza di questi paesi sono usciti dal comunismo da 25 anni. In Germania, sono soprattutto i Länder dell’ex Repubblica democratica tedescaad aver votato per l’AfD. Una parte del paese dove l’elettorato votava tradizionalmente per l’estrema sinistra anche dopo la caduta del “socialismo reale”. Ma qual è la relazione tra il nazionalismo e il comunismo? In apparenza, sono due ideologie senza nulla in comune.

Tuttavia, posseggono entrambe la strategia di puntare il dito contro un nemico, di sostenere l’eliminazione di quest’ultimo come unica soluzione e di spiegare che soltanto un potere autoritario sarebbe in grado di raggiungere questo obiettivo. Mezzo secolo di comunismo ha avuto i suoi effetti: la società civile è più debole nella regione e i cittadini hanno una maggior tendenza a lasciarsi sedurre dalle semplificazioni populiste.

Un’altra eredità di questo periodo fortunatamente concluso: la società ha l’impressione di non aver ancora approfittato a sufficienza dei benefici dell’economia di mercato per poterne condividere i frutti con gli altri, in questo caso i rifugiati. In Austria, al contrario, è opinione diffusa che lo Stato e l’Ue abbiano aiutato già abbastanza le popolazioni dei paesi vicini, accogliendoli nel mercato del lavoro locale, aprendo le frontiere e utilizzando i fondi strutturali. Il paese germanofono di otto milioni di abitanti è troppo piccolo per riuscire a accogliere tutta la sofferenza del mondo.

Anche l’identità nazionale è una questione delicata in Mitteleuropa. I paesi slavi hanno sempre avuto un attaccamento viscerale alla madrepatria. Tuttavia, le loro identità sono state messe a dura prova, perennemente strette in una morsa tra Berlino e Mosca. Per questo motivo, l’attuale politica dell’Unione europea che mira a imporre quote di migranti provenienti da altri continenti, unita al suo modello multiculturale, non trova sostegno.

Nei paesi germanofoni, il problema dell’identità è di tutt’altra natura. Dopo la seconda guerra mondiale e le sue atrocità, i tedeschi e gli austriaci si vergognavano della loro appartenenza nazionale. Solo progressivamente sono riusciti a ricostruirsi intorno a valori come la democrazia e la libertà. Una ricomposizione fragile che ora sarebbe messa in discussione da migranti originari di paesi che si presume siano poco tolleranti.

La follia delle camere a gas ha totalmente reso immuni questi due paesi contro l’antisemitismo. La politica della Repubblica federale tedesca dopo la Seconda guerra mondiale è sempre stata filoisraeliana. Malgrado l’ostilità della maggior parte dei paesi arabi a Israele, è chiaro che i rifugiati siriani non vengono certo in Germania per diffondere propaganda antisemita, ma per fuggire da una situazione di guerra insopportabile.

Per i paesi mitteleuropei non c’è nulla di nuovo: infatti, ospitano già un gran numero di stranieri. Un’importante minoranza turca abita nei paesi germanofoni, molti ungheresi e rom vivono in Slovacchia. Questi casi non costituiscono sempre dei modelli d’integrazione, dato che si evidenziano numerose tensioni etniche. La Polonia, invece, è stata omogenea fino a poco tempo fa. Ma la crisi in Ucraina e il massiccio afflusso d’immigrati da questo paese è servito come pretesto per il primo ministro Beata Szydło per bloccare l’immigrazione proveniente da sud.

Mitteleuropa, risvegliati prima che sia troppo tardi! Ci sono dunque numerosi fattori che tendono a spiegare quest’ascesa delle formazioni xenofobe. Tuttavia, spiegare non significa giustificare: le aggressioni contro i migranti, la retorica del capro espiatorio e la chiusura delle frontiere all’interno di un’Europa aperta non possono essere tollerate. Tanto più che la difesa dell’identità mitteleuropea non è certo la vera ragione alla base di questo comportamento, bensì è un pretesto per giustificare l’autoritarismo e l’eliminazione delle libertà, come già si osserva in Ungheria. Ormai alle porte del potere, l’estrema destra potrebbe farne pagare le conseguenze anche al popolo austriaco.

Risvegliati dunque, Mitteleuropa. In passato hai già dimostrato che sei capace del peggio ma anche del meglio. È la Polonia che ha adottato la prima costituzione in Europa alla fine del XVIII secolo. È la Germania che ha indicato la via della riconciliazione lanciando la costruzione europea. Sono Repubblica Ceca e Slovacchia che hanno testimoniato che si può divorziare rapidamente in maniera pacifica, al contrario di quanto vediamo oggi con la Brexit. Mitteleuropa, hai tutte le risorse necessarie per rifiutare questa infame ideologia nazionalista. Ma devi reagire rapidamente, prima che l’estrema destra s’impadronisca del potere in modo irreversibile.

*Traduzione di Andrea Torsello

 

 

 

 

 

 

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