La Sardegna, chiamata nell’antichità dalle “vene d’argento”, deve chiedersi perchè oggi essere isola la rende infelice [di Maria Antonietta Mongiu]
La città in pillole. Si chiama Sea Sorrow (Il dolore del mare) il documentario di Vanessa Redgrave, presentato a Roma alla Festa del cinema. Storia della bambina profuga che fu e di quanti, come un’onda, si muovono nel Mediterraneo verso l’Europa. Nel suggestivo titolo si trova il cuore della Tempesta di Shakespeare, dramma di esuli in una sperduta isola dell’antico mare, che Prospero, lì confinato, racconta alla figlia Miranda. Il “dolore marino” non gli impedisce di accogliere, dopo una terribile tempesta da lui suscitata, il naufrago re di Napoli. Giacchè come lui dice «siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita» dopo le peripezie tutto si risolverà in un happy end con Miranda sposa di Ferdinando, principe di Napoli. Chissà quale è l’isola di Prospero, in cui Shakespeare concentra la densità di senso delle isole narrate prima di lui e delle successive; delle vere e di quelle immaginarie. C’è un luogo migliore di un’isola per autoccultarsi o da cui scappare o a cui riapprodare? D’altronde isola è significante dai molti significati. Da luogo circondato dall’acqua marina o fluviale o lacustre a isolato a più piani per i Romani; altro dalla domus, destinata alle élites. Nella terra chiamata argyróphlebs (vena d’argento), Atlantide per qualcuno e per altri l’isola di Nausicaa; per tutti, da millenni, Sardegna il termine isola segna e disegna persino suoli lontani dal mare, come iscla, iscra, isca, íscia, che richiamano l’acqua. ISOLA fu per Eugenio Tavolara simbolo della bellezza della creatività sarda. Recuperiamolo almeno come titolo di un Museo. L’insularità si alimenta soprattutto di segni. |
Attendo sempre di leggere un nuovo articolo su Sardegna Soprattutto, so che sarà bello nella scrittura e stimolante e prezioso nel contenuto e nelle proposte e possibilità che fa intravvedere, ma ogni volta , concludendo la lettura ho la dolorosa esperienza di avere udito voci “di esuli in una sperduta isola dell’antico mare”.
Se l’acqua che circonda non si fa ponte, l’insularità si alimenta di tristezza.