Perché dovrei stare zitto? [di Eduard Punset]
La Vanguardia 9/11/2017. Per la prima volta dopo molto tempo mi ricordo i primi dieci anni dei miei lunghi ottantuno. L’ anniversario cade proprio oggi, il 9 novembre. Io li festeggerò nella Vilella Baixa, perso nella bella città catalana dove mio padre, un medico di campagna, dedicò il calore della sua giovinezza alla guarigione di malati dimenticati in tutta la regione di Priorat, e non solo nella mia città: Vilella Baixa, Vilella Alta, Gratallops, La Figuera … Mio padre, Eduard Punset Alegrí, era di una generazione che combatteva duramente per superare la guerra civile. Vilella Baixa era stata distrutta. Il paese devastato e, nonostante questo, non mi hanno mai parlato della guerra, mai. Mio padre era di una generazione molto silenziosa, molto laboriosa. Quando ho compiuto diciassette anni, mi mandò a studiare a Madrid, in modo da poter imparare a parlare il castigliano benissimo, mi disse. Mio padre lo ha fatto per una semplice esigenza di conoscenza e di cultura. Era la sua ossessione: studiare. Ricordo, tuttavia, che all’università di Madrid, all’inizio, mi sono vergognato di parlare spagnolo in pubblico, a causa del mio accento catalano, anche se quella lingua l’ho appresa a scuola. Naturalmente nella vita di tutti i giorni parlavo in catalano. Era la mia lingua madre e questo ti viene dal cuore. Non si cancella. In questi giorni, una persona del paese mi ha detto quanto mi assomigliassi a mia madre. Mi ha fatto riflettere. Nessuno me l’aveva mai detto. Mia madre, Maria Casals Roca, è morta abbastanza giovane. La memoria è svanita negli anni. Tuttavia, mi rendo conto che l’ho portata dentro, così come la lingua e l’accento. Ancora mi chiedo cosa mi ha imbarazzato a Madrid ? Ma mi ha deluso che mi sia stato detto che mi assomigliavo a lei fisicamente. In realtà, mi rendo conto adesso che a Madrid avevo iniziato ad accettare molte cose, senza preoccuparmi delle conseguenze o di quello che avrebbero detto gli altri. Contro il mutismo paterno che tanti condividevano. La nostra era una generazione, almeno alcuni, che improvvisamente cominciò parlare. Abbiamo clandestinamente ragionato e lottato per le nostre idee, con lingue e accenti diversi. Me lo ricordo bene per due ragioni: perché questo mi conduceva all’esilio e perché da allora, da quando ho dovuto lasciare la Spagna, ho sempre portato con me il mio passaporto. Sempre. Anche se è solo per uscire e comprare un po’di pane. Non dimenticherò mai il mio passaporto. Quando mi chiedono, rispondo allo stesso modo: nell’ipotesi che nuovamente debba lasciare improvvisamente il Paese. Nessuno pensa a questa possibilità, ma io l’ho vissuta, e per questo lo porto sempre con me. Oggi ricordo ancora molto di tutto questo. Sono dovuto partire perché, a quel tempo, in alcuni abbiamo imparato a parlare senza complessi, senza vergognarci di niente e delle conseguenze. Mi ricordo l’episodio che ha causato il mio esilio; è stato generato dal lancio di qualche opuscolo in favore di un presunto sciopero generale pacifico durante una partita di calcio o nel tentativo di organizzare un piccolo tributo in favore di scienziato repubblicano esiliato. Probabilmente mi hanno cercato per entrambi. La memoria resta intatta, ricordo la telefonata che mi ha salvato la mia vita, proprio quando uscivo della stanza della pensione dove vivevo a Madrid: Non andare alla riunione perché la polizia ti aspetta al bar dove siamo stati insieme. Ho deciso in un istante, ho preso il mio passaporto, ho acquistato un biglietto a Bordeaux e sono andato via. Da allora, non mi sono mai allontanato da casa senza di lui. Manolo López, avvocato del lavoro e leader di quattro studenti comunisti universitari, è stato catturato: otto anni in prigione e tortura. Eravamo membri del Partito Comunista di Spagna e la riunione faceva parte del comitato di coordinamento universitario. Dal 1959 sono andato in esilio a Ginevra, e poi a Parigi per un paio di anni. Poi ho trascorso otto anni a Londra, dove mi hanno offerto lavoro, studi, affetto. Durante il mio esilio ho scoperto due fatti importanti che non posso dimenticare. Il primo, il gusto della libertà. Ho acquisito conoscenze da una moltitudine di persone e da una grande varietà di idee e opinioni. Essere in grado di viaggiare, e soprattutto di studiare, è qualcosa di meraviglioso. Ti porta fuori dalla grotta. Il secondo fatto importante, senza il quale sicuramente non avrei potuto avere cognizione del primo, è stato quello di scoprire l’enorme salto democratico che significava la separazione assoluta dei poteri, così saldamente impiantata nel mio paese ospitante: Francia, Germania, Stati Uniti d’America, Inghilterra. Così era possibile comprendere le democrazie moderne in tutta la loro grandezza. Montesquieu (Dallo spirito delle leggi, 1748), l’inventore della separazione tra potere giudiziario, esecutivo e legislativo è sublime, semplicemente fantastico! Per queste due ragioni, quando Adolfo Suárez ( Il politico post franchista autore della Transizione dalla dittatura alla democrazia n.d.t.) mi ha proposto di far parte del suo governo, non ho dubitato. Ero il primo comunista ad occupare un ministero dopo la morte di Franco. Ho accettato perché avevo fiducia. Ho sempre pensato che la Spagna abbia condiviso parecchie cose con la Germania, ma soprattutto che i due paesi fossero parte delle grandi potenze europee che avevano fatto l’errore storico di soccombere al partito unico, al nazismo e altro, ricorrendo persino ad una guerra civile. Il fascismo. Che ingenuità la mia! Ero convinto che la memoria della guerra civile sopravvivesse, nonostante il passare del tempo. Credevo che sia la Spagna che la Germania avrebbero portato quel ricordo nella loro anima; in termini storici, non era necessario essere il figlio di quella guerra civile per essere condizionato da lei. In teoria per tranquillità della maggioranza (degli spagnoli n.d.t.) le riforme a favore del un nuovo stato di cose, vennero condotte senza grandi scossoni. Adesso mi rendo conto che invece siamo a metà strada, con una transizione che alcuni chiamano “benevola”. Devo ammettere che ho sbagliato, anche se è legale aver condizionato tutto per favorire la ricerca della pace sociale tra la sicurezza la riforma, per cercare di includere e soddisfare tutta la diversità di questo Paese … ma tutto questo non è mai giunto a buon fine. Ora, mi vedo di nuovo come cinquant’anni fa. Sono giorni di riflessione, anche di tristezza e mobilitazione. Ci sono coloro che mi hanno detto perché mi sto impegnando di nuovo, perché dovrei parlare? Perché dovrei smettere? Noi, che dobbiamo imparare a parlare di nuovo. Noi, che siamo riusciti a uscire dalla gabbia e formarci all’estero perché qui non esisteva neanche un’opinione. Io, che ho avuto la grande fortuna di immergermi nel mondo e imparare da così tante persone straordinarie, da scienziati di tutto il pianeta, ho avuto il coraggio di parlare di questioni che cui si vergogna, il sesso, il suicidio; dell’origine della vita! Di come è iniziato tutto! Con il programma Redes de Televisión Española, siamo riusciti a portare la scienza a tutta una generazione. La più grande soddisfazione della mia vita fu il giorno in cui una ragazza mi avvicinò in strada e mi disse: “Voglio che tu sappia che ho deciso di studiare la fisica grazie a Redes”. E nonostante tutto, non posso separarmi dal mio passaporto. Non posso smettere di pensare a Montesquieu e alla felice separazione dei poteri. Purtroppo la separazione dei poteri in Spagna non esiste. Devo ammettere che nella “transizione benevola”, anche se noi ce ne riempiamo la bocca, le Cortes, hanno accettato, almeno per il momento, che la famosa divisione dei poteri fosse sospesa. Era così, tra l’altro, perché tra i politici di quel tempo, nessuno accettò che il potere giudiziario si eleggesse da solo (Con sistemi di autogoverno n.d.r.). Ricordo le conversazioni con i politici possibilisti che ho cercato di convincere che una cosa non poteva andare senza l’altra. L’avevo imparato in esilio. Ecco come sono le cose: viviamo ancora in un paese dove qualcuno può andare in prigione per le proprie idee politiche. Ecco perché non posso stare zitto. Oggi, a Vilella Baixa, ricorderò i miei genitori, quella generazione che ha scelto il silenzio ed è stata ossessionata dalla nostra formazione; e io brinderò muto, per la libertà, per gli amici Oriol, Jordis, Josep Joaquim, Jordi, Raul, Dolors, Meritxell e Carles, che, ancora una volta, sono ancora in carcere e che vorrei uscissero ora! *Giurista, scrittore, economista, politico e divulgatore scientifico.
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