Si rivaluta Cadorna ma i soldati fucilati no [di Nicolò Migheli]
L’affollarsi di date storiche con la cronaca rendono questo autunno italiano significativo. Da una parte la crisi catalana e i due referendum del Lombardo- Veneto vengono accumunati sbrigativamente in un desiderio delle regioni ricche di sottrarsi agli obblighi di solidarietà con il resto del Paese, dall’altra si assiste nel centenario ad una riproposizione della Prima guerra Mondiale in chiave nazionalistica. Nel 2014 e ‘15 il ricordo dello scoppio del conflitto veniva associato ai sonnambuli- una diplomazia che trascinata dagli eventi che lei stessa aveva provocato nulla fece per impedirli- e alla strage inutile. La lettura dei fatti storici è spesso condizionata dalla contemporaneità. Gli avvenimenti ucraini e quelli siriani venivano interpretati anche alla luce della caduta dei grandi imperi che la IGM aveva provocato. Analisi corretta, visto che gli sconvolgimenti geopolitici del presente molto debbono a quel conflitto che ruppe equilibri secolari. Il centenario di Caporetto e il novantanovesimo della fine della guerra, oggi sembrano imporre una lettura più in linea con quella tradizionale: compimento dell’Unità italiana, sacrificio delle mantelline verdi sul Carso e sul Piave per la grandezza della patria. La battaglia di Caporetto non più rotta ma ripiegamento, aderendo così ai comunicati dell’Alto Commando del tempo. C’è persino chi si chiede perfino se fu vera sconfitta. In questa rilettura trova nuova luce la figura di Luigi Cadorna il generale che comandò il Regio Esercito dall’inizio della guerra fino a quella battaglia; dopo sconfitta venne sostituito da Armando Diaz che il conflitto lo vinse. Un gruppo di storici ha trovato nuovi documenti che permettono una rilettura della figura di quel generale. La tesi è questa. Luigi Cadorna fu un militare della sua generazione, non dissimile nelle tattiche e nella strategia dei lodati colleghi francesi e tedeschi. Generali che chiusi dentro una rigida disciplina gerarchica usavano le masse dei soldati come carne da cannone. Fermi tutti, Cadorna no! Secondo quegli studi invece pare che ebbe a cuore la vita dei sottoposti, impiegò tattiche d’assedio facendo costruire gallerie affinché i fanti fossero scoperti il meno possibile davanti al nemico. Pare che scrivesse lettere ai suoi ufficiali in cui raccomandava prudenza nelle fucilazioni sommarie per diserzione o per fuga davanti al fuoco ostile. Luigi Cadorna aveva su di sé una responsabilità enorme, unico responsabile dell’esercito a seguito della riforma dell’Alto Comando avvenuta prima dello scoppio della guerra, era subissato dalle richieste del governo che volevano risultati da spendere con gli alleati francesi, inglesi e russi. La firma di cobelligeranza con l’Intesa aveva preteso un forte impegno italiano sulle Alpi in modo che venissero distolti i reparti degli imperi centrali dai fronti francesi e russi, più importanti di quello italiano. A dimostrazione di questo il fatto che Cadorna non lanciava assalti prima che ci fosse una pesante preparazione di artiglieria. Solo che nei primi anni di scontro il Regio Esercito non possedeva i cannoni necessari e quindi le fanterie venivano mandate alla morte sicura davanti alle mitragliatrici austriache. Per cui, concludono quegli storici, Cadorna diventa capro espiatorio di una condotta dove le responsabilità erano in primo luogo politiche. Ben vengono le riletture se queste sono il frutto di analisi attenta dei documenti del tempo. Però è l’uso che se fa che preoccupa. Anche perché a questa rivalutazione non ne corrisponde un’altra che aspetta giustizia da cento anni. Giusto nel novembre del 2016, il Senato della Repubblica azzerava il decreto- primo firmatario Gian Piero Scanu del PD- sulla riabilitazione dei fucilati del primo conflitto mondiale, che era stato votato dalla Camera all’unanimità il 24 maggio del 2015 in occasione del centenario della dichiarazione di guerra. Il fronte contrario è trasversale: da Maurizio Gasparri a Nicola La Torre. L’Italia a differenza degli altri paesi coinvolti in quel conflitto terribile, non riconosce dignità ai fucilati, non permette di riaprire i processi, al fine di consentire la riabilitazione di quelle vittime. Si sa che il numero dei fucilati italiani fu, in proporzione ai richiamati, il più alto di quella guerra. Non si riconosce dignità a quei soldati che colpiti da stress da combattimento gettarono le armi e fuggirono, a chi si rifiutò di eseguire ordini assurdi o semplicemente perché parlando un dialetto o una lingua di minoranza non li capirono proprio. Ancora oggi considerati traditori e indegni di comparire nell’Albo d’Oro e nei monumenti ai caduti. Le ricerche storiche raccontano che l’anno più terribile fu il primo, quando centinaia di soldati esasperati vennero fucilati perché si erano sottratti all’ultimo assalto disperato. Gran parte dei giustiziati erano contadini ed operai, l’odio di classe delle gerarchie trova una spiegazione per tanto accanimento. Uno dei casi più assurdi fu quello della Brigata Catanzaro, composta in massima parte da calabresi, che venne decorata dal Re per la battaglia del Monte Mosciagh, e poi decimata dalle mitragliatrici dei carabinieri il 15 luglio del 1917 per essersi ribellata dopo mesi e mesi di ripetuto impiego in trincea. La Catanzaro fu una delle brigate più sfruttate nel corso del conflitto. Per l’aria che tira di rinato nazionalismo ci si deve attendere che per tutto il 2018, il ricordo della Grande Guerra verrà fatto all’insegna di Patria e Nazione. Lo sarà anche in Sardegna dove verrà rinsaldato il mito della Brigata Sassari. Non verranno però ricordati i suoi disertori fucilati, perché vi furono. Non ci sarà una parola per quelle decine e decine di reduci che al ritorno si diedero al banditismo, si suicidarono, uccisero le proprie compagne perché le trovarono incinte di altri. Bisognerebbe leggersi il pregevole libro di Mario Cubeddu, Lontano dall’Italia, Storie di nazionalizzazione della Sardegna (1915-1940) Condaghes ed. per trovare informazioni nuove e di grande rilievo su cosa ha significato quella guerra per i sardi; il prezzo assurdo che pagarono, quanto le conseguenze si protrassero per decenni negli animi spezzati di quei combattenti, di quelle vittime. Con l’aria che tira però non ci saranno parole, l’oblio scenderà definitivamente su quei poveri decimati e fucilati. Sarà Cadorna ad essere riabilitato e l’epiteto massacratore potrebbe essere giudicato insulto infondato. Viva l’Italia e così sia!
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Concordo sul fatto che la Storia è sempre contemporanea. Mi sia consentita qualche considerazione. La prima è che evidentemente esistono opinioni differenti e divergenti su quale sia la Patria alla quale riferirsi, la piccola patria (nel nostro caso la Sardegna) o quella grande, l’Italia. C’è chi si preoccupa degli eccessi del patriottismo nazionale e chi invece ritiene assai più inquietante il nazionalismo delle piccole patrie. Diciamo che qui da noi l’esperienza della Lega che ha fatto da nefasto battistrada non è sembrato aprisse proprio a nessuno degli orizzonti progressisti, visto che ha avuto molti aspetti di quella che un tempo si sarebbe detta una “reazione padronale”. Lo stesso PSd’AZ (allora vicino alla Destra) dopo qualche esitazione ha dovuto prendere le distanze. I sospetti sull’egoismo delle piccole patrie non sono quindi completamente infondati. Come si trova scritto in quel bel libro che è “Hidalgos” -cito a braccio- non è che siamo avari ma diamo ai soldi la loro giusta importanza. Venendo a Cadorna, se c’è qualcosa che rimprovero ai militari è semmai di non essere stati ancora completamente chiari su Badoglio e sul Duca d’Aosta. Ho assistito a diversi dibattiti, parlato con studiosi e mi sono anche un po’ documentato e non ho sentito né letto cose su questo generale che glissassero sulle sue pesanti responsabilità. Il discorso ha però dei distinguo che andrebbero tenuti presenti per non cadere in letture troppo ideologiche. Al riguardo ho trovato interessantissimi i libri di Paolo Gaspari su Caporetto e dintorni; la mole di materiale che ha scavato è impressionante. A parte le fellonie delle alte gerarchie, (tutta gente che poi farà carriera col fascismo) e il disorientamento o la fuga dei soldati, ci si trovano anche descritti gli episodi di contrasto al nemico quali quelli di Pozzuolo del Friuli o Codroipo -quindi proprio disfatta non fu, per quanto sia stata palesemente una pesante sconfitta- con in testa la Brigata Sassari, sfruttata quanto e più della Catanzaro e peraltro mai decimata. Altre cose che si possono ricavare dalla lettura un po’ attenta di Gaspari -che non dà l’impressione di essere proprio uno sciovinista militarista- è che assai probabilmente i carabinieri neanche le sapevano usare, le mitragliatrici e comunque queste non erano allora armi di loro competenza. Quando i reparti dei RRCC mossero all’assalto in prima linea, come per esempio per il fatto d’armi del Podgora (o Monte Calvario) le mitragliatrici, addetti compresi, vennero loro prestate dal 36° Rgt . Fanteria. La questione dei carabinieri -che qui non si vogliono santificare- mitragliatori alle spalle dei soldati è dura a morire ma non pare suffragata da dati documentati.
Last but least, l’enorme carneficina, come tutte le guerre può a mio avviso essere commemorata ma non esaltata. La si sarebbe -forse (dico forse perché senza essere degli hegeliani della Domenica, vediamo sempre la differenza fra potenza e atto) potuta anche evitare, come avrebbero voluto i Socialisti, i Cattolici o i Liberali come Giolitti; e i suoi effetti negativi hanno perdurato nel tempo prolungandosi fino alla Seconda guerra mondiale. Quest’ultimo però ci pare un altro aspetto della questione. Un altro discorso da riprendere e da rielaborare sarà quello relativo all’8 Settembre 1943.