Alla ricerca del “Piano triennale della lingua sarda” che Pigliaru ha perso per strada [di Giuseppe Corongiu]
La “Conferenza della Lingua Sarda 2017”, convocata a Nuoro il 25 novembre senza l’approvazione del Piano Triennale, come invece prevede la Legge 26, è andata male. E’ un dato di fatto. Scarsa partecipazione (si parla di una trentina di persone la mattina, di cui 12 relatori, presenti con scuole precettate per riempire la sala e deserto al pomeriggio), contenuti ripetitivi (fotocopia degli argomenti di conferenze di 15 anni fa) e inoltre lo scivolone dei dati finanziari gonfiati che hanno suggellato una situazione già di per se grottesca. Ma a parte tutte le considerazioni che si possono fare rispetto al fatto che gli assessori della Giunta Pigliaru abbiano lavorato bene o male alla questione negli ultimi 4 anni, corre l’obbligo di portare l’attenzione proprio sulla questione del Piano Triennale mai approvato come simbolo di cattiva politica, di assenza di contenuti, di visione appannata sul tema, e, trattandosi di pubblica amministrazione, di pessima pianificazione della spesa. Non ci si riferisce tanto al fatto che la Regione abbia speso male per l’iniziativa quanto che la legge preveda che l’approvazione del Piano sia propedeutica alla Conferenza e, conseguentemente, alla spesa per attuarla. I dirigenti dell’assessorato non sono sprovveduti e di sicuro avranno preso le loro contromisure. Sorprende tuttavia l’assenza di qualsivoglia interrogazione in Consiglio a prova del totale disinteresse da parte del parlamento sardo verso un tema di così alta rilevanza culturale e sociale. Sorprende anche per l’occasione democratica perduta. La formulazione di un Piano, cioè di un documento nel quale si esplicitano le scelte politico-amministrative è un momento di altissimo confronto tra posizioni e punti di vista di cui il Piano cerca di essere sintesi. Essenza della politica di governo e antidoto ai pasticci e alla caporetto, come pare essere stata la Conferenza svoltasi a Nuoro. Ricordo, quando ho svolto il ruolo di direttore del servizio lingua sarda, la fatica immane che ci era voluta per sviluppare ed approvare il Piano Triennale ai tempi dell’assessore Maria Antonietta Mongiu. La proposizione delle idee, dei temi, degli obiettivi. La scrittura quasi maniacale del testo, con un rigore filologico estremo e concettualizzato, i ripetuti passaggi anche con il direttore generale Luisella Marras e con gli uffici tutti. E, una volta predisposto il testo, gli incontri di confronto amministrativo e culturale: due con tutta la giunta riunita col presidente Soru – a sottolineare anche il valore simbolico di quel documento – , una nell’Osservatorio, una in Consiglio Regionale, diverse nella Conferenza con gli enti locali, molte nel territorio con enti, associazioni, esperti e cittadini. Una fatica indimenticata, ma anche un bell’allenamento democratico. Questo esercizio di competenze tecnico-politiche ci aveva consentito però di fare le cose bene, di convocare conferenze storiche come quella di Macomer (di cui esistono gli atti) e di produrre un’azione linguistica seria e convinta, molto partecipata, con le sale piene, i contenuti innovativi e con la certezza di aver coinvolto tutti, favorevoli e contrari. Insomma un Piano Triennale non è un semplice adempimento amministrativo. Aiuta persino a non fare figuracce. E a non tornare indietro di decenni.
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