Zone interne: un mito? [di Franco Masala]
Abstract dell’intervento presentato a Escolca il 9 dicembre 2017 durante il V seminario Materiali per un’urbanistica sostenibile, organizzato da LAMAS e Sardegnasoprattutto (NdR). Tra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento il Real Corpo di Stato Maggiore Generale dell’Esercito percorse la Sardegna a palmo a palmo per fornire la prima restituzione scientifica e geometrica del territorio nelle tavolette catastali, redatte sotto la supervisione del maggiore Carlo De Candia (poi colonnello). Carte catastali che sono tuttora profonda fonte di conoscenza dei luoghi come si può ricavare dal foglio d’unione di quelle del Comune di Escolca, redatte nel 1844 e tali da mettere in evidenza l’insediamento umano, le strade, i fiumi, i rilievi collinari, i nuraghi che punteggiano il territorio. Negli stessi anni il padre scolopio Vittorio Angius redigeva le voci sarde di città e ville per il Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, curato da Goffredo Casalis e pubblicato in 28 volumi tra il 1833 e il 1856, fornendo una quantità inesauribile di dati che, incrociati con le tavolette catastali, permetteva di avere amplissime conoscenze delle città e delle zone più riposte dell’isola di Sardegna. Frattanto giungeva a compimento la realizzazione della Strada Reale “Carlo Felice” che, iniziata nel 1822 con la posa della colonna miliaria tuttora visibile nella Piazza Yenne di Cagliari, si snodava lungo l’antico tracciato della strada romana tra Cagliari e Porto Torres, favorendo spostamenti ben più agevoli di un tempo. Le fasi di realizzazione della strada sono perfettamente documentate nell’Archivio di Stato di Cagliari dove, accanto a relazioni, stati di servizio, elenchi dei lavoranti, spesso decimati dalle “intemperie” (malaria), giacciono i disegni delle sezioni stradali, dei ponti, delle case cantoniere che veicolarono l’ulteriore infrastrutturazione del territorio con altre opere quali il ponte sul fiume Coghinas (1842) o il prosciugamento dello stagno di Sanluri, poi restituito allo stabilimento agricolo “Vittorio Emanuele” (1838). E così la Sardegna, sostanzialmente estranea al Grand Tour settecentesco, accoglieva i primi esploratori – da Alberto Ferrero della Marmora a Honoré de Balzac – che la visitarono. Le “XVI Vedute della Strada Centrale della Sardegna”, pubblicate da Giuseppe Cominotti ed Enrico Marchesi nel 1832, testimoniano l’assunzione della grande arteria, oggi SS 131, a protagonista assoluta di un territorio che cominciava ad essere narrato anche attraverso la fotografia. Nel 1854 Édouard Delessert, pittore, fotografo, scrittore allora poco più che venticinquenne, pubblicava quaranta vedute fotografiche, scattandole sia nelle città che nelle campagne così che appare significativa la presenza di ben dieci immagini per Sassari dove, accanto alla scontata cattedrale di S. Nicola o alla fontana di Rosello con un’incredibile vegetazione a ridosso, compaiono gli alberi secolari dei suoi “Dintorni” o un enorme cespuglio di fichi d’India, battezzati “Cactus” in didascalia. Non solo la città dunque ma anche le parti interne dell’isola che il fotografo biellese Vittorio Besso contribuirà a rendere note, mostrando i risultati dell’attività estrattiva a Bacu Abis o i grandi ponti-viadotti delle ferrovie in Ogliastra, e che Max Leopold Wagner, il grande glottologo tedesco, fotograferà nelle pause della sua ricerca sulla lingua sarda e tutte le sue varianti. E se, nel 1912, la laguna di Santa Gilla appare priva di presenze come le Saline Conti-Vecchi e, tanto meno, il porto-canale non ancora realizzate, lo scorcio di una casa sarda con le tegole poggiate direttamente sul muro senza gronda e un carro di legno divengono la testimonianza straordinaria di un interesse profondo anche verso gli aspetti meno scontati dei luoghi. Città e campagna dunque non in contrapposizione ma, se mai, in reciproco scambio che diventerà nel tempo separazione sempre più artificiosa fino a far diventare le zone interne luogo comune quale, di volta in volta, mondo in via di estinzione o custode della “vera” sardità”. Per finire un ultimo confronto, ormai negli anni Ottanta, fra il complesso turistico della Marmorata – quasi enorme nave da crociera spiaggiata sulle coste della Gallura – e la “cattedrale nel deserto” di Ottana, lambita dal gregge di pecore, che ci induce ad una riflessione sul destino delle coste e delle zone interne: come è potuto accadere questo? Possibile che non esistesse un’alternativa? A quando uno strumento di tutela che salvaguardi storia, ambiente, economia? *Fotografia di Claudio Gualà © |