La caccia alla pantera grigia e la schizofrenia regionale [di Nicolò Migheli]
Lo spopolamento delle aree interne, ma anche di una città come Cagliari, è diventato problema strutturale. I cinici che guardano ai dati e conoscono la storia se ne escono con un: che sarà mai, d’altronde gli ultimi cinquant’anni sono stati l’epoca più popolata della Sardegna, per secoli gli abitanti dell’isola non hanno mai raggiunto il milione. Solo che in quel tempo passato si era in presenza di una piramide della popolazione corretta, molti giovani alla base e pochi anziani al vertice. Oggi quella piramide è drammaticamente rovesciata. Periodicamente qualcuno cava dal suo cappello a cilindro il coniglio della soluzione. Qualche tempo fa si immaginava una ripopolazione dell’isola con gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste. Posizione non priva di qualche fascino se non fosse che la maggioranza di quelle persone scappano da aree rurali e nel loro immaginario l’unica possibilità di condurre una vita di opportunità era e ed è la grande città, possibilmente del nord’Europa. I dati dimostrano che l’Italia non è appetibile e la Sardegna meno che mai. Abbiamo più partenze che arrivi. Quindi, salvo pochi casi: donne che fanno le badanti, rumeni che lavorano nella pastorizia, senegalesi e marocchini che fanno i commercianti, lo stanziamento di immigrati nei nostri paesi e trascurabile. Restano quelli che in attesa di del riconoscimento di rifugiato politico ospitati in strutture, gran parte dei quali andrà altrove quando potrà. Il sindaco di Bitti Ciccolini, elabora un proposta di legge sulla falsariga delle esperienze portoghesi, dove si vorrebbe tramite consistenti sconti fiscali, attrarre i pensionati del nord d’Europa. Proposta subito giudicata di interesse dall’assessore alla programmazione Paci. Il mercato delle pantere grigie è indubbiamente vasto, ma forse poco conosciuto. Quali sono le ragioni che spingono quelle persone ad abbandonare i propri luoghi e a trasferirsi in altri paesi? Il clima, certo, ma sempre più in località marittime. Il cibo? Forse, perché molti di quei pensionati hanno livelli di spesa medio alti e già acquistano prodotti agroalimentari di fascia alta; sono persone istruite e il buon cibo è, specialmente negli ultimi anni, uno status symbol. La globalizzazione ha arricchito le tradizioni culinarie non proprio esaltanti di certi luoghi. Di conseguenza l’alimentazione è una leva importante, ma non vantaggiosa come un tempo. Una ragione più importante è quella del livello dei prezzi. I prezzi generali della Sardegna sono allo stesso livello di quelli portoghesi o delle Canarie? Certo che no, sono decisamente molto più alti a cominciare dall’energia elettrica. Probabilmente per abbattere i differenziali di prezzo si conta sull’efficacia dello sconto fiscale che per i nuovi residenti passerebbe da una media del 35% al 9%. Però questo esiste anche in Portogallo e non a caso molti sardi e italiani si sono trasferiti lì. Supponendo che funzionasse resta un problema non piccolo. Un pensionato di Bitti potrebbe fare ricorso perché in quella misura vedrebbe un disparità di trattamento nei propri confronti. Abbiamo l’esperienza della tassa sul lusso della giunta Soru che venne abolita dopo ricorsi vinti dai proprietari non residenti di abitazioni. Supponendo che tutto funzionasse alla meraviglia, che la proposta sarda sul mercato abbia un riscontro interessante resta una domanda da fare non tanto ai promotori dell’iniziativa, quanto alla giunta. Come si tiene l’operazione con lo smantellamento del sistema sanitario pubblico? I nuovi sardi saranno persone anziane, e per chi è in età avanzata un sistema sanitario efficiente è un bene non sacrificabile, ne va della propria vita. Come si pensa di ripopolare le aree marginali quando viene drasticamente ridotta la sanità di prossimità, quando centri di eccellenza come gli ospedali cagliaritani soffrono per mancanza di personale, con le camere operatorie chiuse. Lo sciopero dei medici di questi giorni lo denuncia con documenti e dichiarazioni. O si pensa che sarà Mater Olbia ad intercettare quella domanda? E ancora, come si tiene il tutto con la Sardegna Hbgas? L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una ennesima dichiarazione preelettorale, che presto verrà dimenticata. Annunci, nient’altro che annunci che non risolveranno il problema. Eppure, con una politica che si muova con una prospettiva ultra decennale molto si potrebbe fare, rendendo le condizioni della Sardegna, tutta, appetibili per il ritorno dei nostri giovani emigrati. Senza trascurare gli immigrati e le pantere grigie europee. C’è bisogno di un disegno complessivo che non si vede. Per il momento, parafrasando un celebre motto del ’68, siamo alla schizofrenia au pouvoir.
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E poi sarebbe interessante chiedersi che vita farebbero i ricchi pensionati europei a Bitti e a Buddusò, nelle case a un euro (con il riscaldamento o senza?), con le biblioteche chiuse salvo che per poche ore alla settimana, il negozietto di alimentari che non vende niente di locale, nemmeno formaggi (che non vengono più prodotti), non un pezzo di marciapiede per camminare senza l’incomodo delle macchine, né mezzi di trasporto pubblico per raggiungere la città per uno spettacolo (e a proposito di spettacoli, folclore, solo folclore, in tutte le stagioni, sempre uguale a se stesso, con il brivido della novità dell’ultimo coro…alpino, ma cantato in sardo), o per una visita medica, figurarsi se urgente.
Del resto, che ci vivano quasi solo anziani nei nostri paesi, non vuol dire che ci stiano bene: forse se ne andrebbero anche loro, se potessero scegliere.
Ci sarebbe di raccontarle dall’interno le realtà e le vite nelle enclaves di pensionati, da Sanremo al Portogallo, prima che le scimmiottiamo, se anche ci fosse la possibilità di farlo. A naso, a ricordare la letteratura, sembrerebbero distopie, mondi tristi, vite spaventose, incubi.
E ci sarebbero da raccogliere – insieme ai racconti, che non mancano, di chi ci capita a vivere e ci sta bene, imbevendosi di paesaggi e di calore umano – le storie di chi ha provato a stare nei nostri paesi, dopo avere ristrutturato casa, ed è scappato a gambe levate dopo un periodo più o meno lungo. E’ successo a Cuglieri a medici inglesi e olandesi, a un inviato di un grande giornale francese, a Santulussurgiu a un artista di Amsterdam, a Bosa a un diplomatico austriaco, qualcuno in pensione qualche altro nemmeno: sono storie raccontate a chi scrive, e hanno in comune la noia e la difficoltà di una vita senza troppi disagi, e con la troppo stretta vicinanza, sino all’insopportabile controllo del vicino, del conoscente, dei generosi compaesani, che Ascanio Celestini raccontò con accenti esilaranti a Radio3 qualche anno fa dopo solo qualche giorno trascorso a Montresta.
Ci sta facendo impazzire questa storia dello spopolamento, e così non stupisce la gara a chi s’inventa l’ultima formula per provare ad arrestarne l’ineluttabilità. Ma sono tutte cose minori e d’immagine, alimento alla retorica del vittimismo e della vita arcadica che si perde, e di solito sono già state provate e sono fallite, dalla casa a un euro di Sgarbi sindaco di Salemi in Sicilia, alla raccolta dei rifiuti con l’asinello per risparmiare sull’inceneritore, adesso alle tasse differenziate.
Non stupisce il coro di consiglieri regionali che si sono pronunciati a favore; un po’ stupisce Paci invece, l’assessore regionale alla programmazione che stroncava ogni velleità, e richiamava il rigore inaggirabile dei numeri e dei conti della spesa pubblica, che ha sempre detto di non volersi ricandidare. E un leggero stupore suscitano i due presidenti della Fondazione e del Banco di Sardegna, Antonello Cabras e Antonello Arru, consenzienti, a leggere i giornali, con questi escamotages.
Cabras veniva dalla presentazione a Cagliari della ricerca commissionata all’Ixè dalla Fondazione che presiede, da cui risulta la grande distanza fra quel che i sardi credono di essere e quel che sono realmente, fra quel che pensano di dover fare per vivere bene e quel che in ogni parte del mondo sviluppato realmente si fa per costruire società coese, con le giovani generazioni allo studio e al lavoro, e allo studio innanzitutto, se pensano di poter aspirare a un lavoro.
Una bolla retorica e d’illusioni, che si possa campare di turismo e agricoltura, senza industria, orgogliosi di essere sardi, ballando il ballo sardo e credendo di fare cultura e di rispettare le tradizioni, mentre i giovani abbandonano la scuola in età dell’obbligo come soltanto in Sicilia accade – peggio che in qualsiasi regione europea – non si laureano se non in pochi, e non lavorano se non pochi giorni all’anno (ciò che basta all’Istat e all’assessore regionale al Lavoro per rilevare una crescita dell’occupazione).
Non sarà in campagna elettorale e non da qui alle regionali che torneranno i ragionamenti fondati su dati di realtà. Ma se non sono le classi dirigenti a ristabilire un poco di giuste distanze, fra il vero e il falso, fra il percepito e il reale (con tutta l’approssimazione contenuta da queste parole), a chi toccherebbe?
E allora, continuiamo così, a elevare monumenti alle maschere all’entrata di Ottana e non una riflessione di un dirigente politico (del Pd, di Sel, nemmeno) alla chiusura definitiva della fabbrica, della centrale elettrica, dell’industria chimica e tessile che forse non era tanto sporca se pensiamo che l’aria buona attragga pensionati ricchi a Bitti e a Ollolai….