Dentro o fuori: il bivio per costruire una nuova politica [di Tomaso Montanari]
L’Huffingtonpost.it 15/12/2017 . Proviamo a guardare l’Italia da fuori, dall’alto, da un asteroide, da un mondo lontanissimo. Da quell’altezza non ci si chiede cosa davvero Maria Elena Boschi abbia detto a Vegas e a Ghizzoni , e quanto abbia mentito al Parlamento (questioni serissime, beninteso). Ma anche da lassù appare pazzesco che un ministro di un partito che si definisce di “centrosinistra” debba render conto del rapporto tra il suo potere e gli interessi della sua famiglia, così legati a una banca. Ministro vuol dire, letteralmente, servo, servitore: del popolo. E in questo momento, chiunque ambisca ad avere un rapporto, anche il più blando possibile, con la parola “sinistra” dovrebbe spendere ogni parola, ogni energia, ogni telefonata non per le banche, ma per i poveri. È una questione di priorità. Perché otto uomini più ricchi del pianeta possiedono la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi più poveri. E perché in Italia 18 milioni di noi (quasi uno su tre) è a rischio di povertà e esclusione sociale. E questo governo, il governo della Boschi e dei suoi dialoghi bancari, non ha fatto nulla di nulla: “Basti ricordare la miseria del Rei approvata dal governo – scrive Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari di Libera – che arriva solo a un quarto degli aventi diritto e che nemmeno copre esigenze basiche di dignità delle persone, esponendole a forme di umiliazioni insopportabili. Universalismo selettivo e istituzionalizzazione della povertà sono i risultati prodotti, violando gli obblighi previsti dalla nostra Costituzione. Questa classe dirigente con la sua volgare eloquenza continua a ignorare i bisogni ed i diritti di milioni di italiani, condannando il paese a rimanere immerso nella frustrazione. La manifestazione del 16 dicembre oggi più che mai rappresenta uno spazio pubblico in cui unire le voci, le proposte e le lotte di chi è convinto che i diritti sociali, la dignità di ogni essere umano e l’impegno contro ogni forma di ingiustizia sociale e razzismo siano le fondamenta sulle quali ricostruire democrazia e partecipazione”. Leggendo queste parole, non vi pare che gli sms tra la Boschi e Vegas, le richieste di risarcimento danni , gli equilibrismi di Gentiloni e l’arroganza di Renzi… non vi pare che tutto questo si colori di una luce surreale, di un alone di indicibile vergogna? Sarebbe questa la politica? E anche nel migliore dei casi, cioè nella sinistra lontanissima dalla Boschi e da quel circo, c’è o no la consapevolezza che l’unica politica possibile deve rompere con tutto questo, innanzitutto culturalmente? C’è o no la capacità di rovesciare il tavolo, cambiare linguaggio, invertire la rotta? Tra leader di palazzo scelti a tavolino, foglioline di fico e autoperpetuazione di ceto politico la risposta sembra un no. Non c’è traccia di rivoluzione culturale. Non si vede all’orizzonte una sinistra capace di imporre al discorso pubblico un’altra agenda: e anzi, si vede una sinistra succube del modello mainstream, subalterna culturalmente e così desiderosa di essere accettata da mimetizzarsi. Sembra mancare lo spazio per costruire qualcosa che non sia un piccolo Pd senza il giglio magico. Tutto è costruito “dal dentro”, manca qualcosa di dirompente: qualcosa che venga da fuori, a scompaginare conti e carte. È per questo che domani 16 dicembre sarò alla manifestazione per i Diritti senza confine (a Roma, piazza Esedra, dalle 14), che chiederà una cosa sola: giustizia. E cioè libertà di circolazione e di residenza; regolarizzazione dei migranti presenti in Italia; abolizione delle leggi repressive e delle politiche securitarie. E si batterà per solidarietà, antirazzismo ed uguaglianza; per il diritto all’abitare, e per il diritto ad una conoscenza che non sia merce. E lo farà mettendo insieme un vasto mondo, religioso e laico. Un mondo per cui l’etichetta della sinistra forse non basta, e non serve, più. È una manifestazione di umanità, e per l’umanità. Per il pieno sviluppo della persona umana che l’articolo 3 della Costituzione fissa come bussola per ogni politica. È una politica lontanissima dal palazzo, dai sondaggi, dai leader e dal discorso mediatico. È l’unica politica possibile: per cambiare tutto. Da fuori. |