Senza prete né messa. Addio a Vincenzo Pillai [di Gianni Loy]
Senza prete né messa. Così Vincenzo Pillai si è presentato davanti ai cancelli del cimitero di Selargius reclamando di essere tumulato. Si è presentato accompagnato da un corteo che innalzava striscioni e sventolava bandiere rosse, che scandiva slogan che ti facevano accapponare la pelle. Il megafono lo stringeva in mano Paolo Pisu. Al vecchio dirigente di Democrazia Proletaria sarda è toccato il compito di introdurre l’ennesima assemblea spontanea celebrata nello spiazzo del camposanto dinanzi ad un loculo ancora, provvisoriamente, vuoto. Così, Vincenzo Pillai, ha partecipato all’ultima manifestazione della sua vita, senza poter prendere la parola, senza poter obiettare alle lacrime di compagni che, a fronte bassa, ripassavano commossi, davanti alla cassa, sessant’anni di storia. Anche i compagni piangono, a dispetto dell’immagine di forza, di incrollabilità, che cercano di accreditare nelle manifestazioni. Come quando Gabriella mi ha sorriso lasciandomi nelle mani una rosa rossa. Conservo, di Vincenzo, in qualche recondito angolo dell’encefalo, l’immagine fotografica della prima volta in cui l’ho incontrato. Ricordo il tempo ed il luogo. E’ stata una di quelle immagini che non si dimenticano. Ricordo che, in quel primo incontro ravvicinato, non ho neppure sospettato che saremmo stati accomunati, per lunghi anni, in un comune percorso di militanza e di lotta, nello stesso partito, nello stesso sindacato. Allora, Vincenzo aveva già fatto scelte precise, mentre io ancora cercavo gli appigli giusti nell’improvvisa turbolenza di quegli anni. Provenienze diverse che, in tanti, abbiamo saputo fondere in quello straordinario crogiuolo rappresentato da Democrazia proletaria sarda e dai suoi dintorni. Senza prete ne messa. Anzi, ostentando fieramente l’ateismo che lo ha accompagnato durante tutta la vita. Ma ecco che la morte incombe su quell’assemblea improvvisata. Il momento del distacco, quando s’innalza il muro che separa, definitivamente, la vita dalla morte, si abbatte sulla comunità e crea sgomento. Quale ultima parola? Quale segno, abbandonare al vuoto che incombe? Ecco che un arcano segno di religiosità, non dichiarata, si affaccia spontaneo sull’improvvisata assemblea. Gli antichi erano usi deporre sulla tomba, per i futuri bisogni del defunto, alimenti ed oggetti della vita quotidiana. E’ stata proprio questa l’ultima attenzione che, istintivamente, la comunità riunita nel camposanto ha voluto riservagli, ignara, forse, della religiosità insita nell’atto. Deporranno nel loculo le bandiere! Quella di Democrazia Proletaria Sarda, prima di tutto, quella che Vincenzo non ha mai smesso di rivendicare quale simbolo della sua lunga militanza politica. E poi quella dei quattro mori, quella che a partire dall’incontro prodottosi, alla fine degli anni 70, tra l’esperienza comunista e quella sardista, gli è appartenuta sino agli ultimi istanti. Ed infine la bandiera del movimento antimilitarista, altro simbolo della sua instancabile militanza. Così, facciamo almeno finta di crederlo, potrà almeno continuare, da qualche parte, ad issare quelle bandiere per rivendicare pace, giustizia e libertà, lo farà nelle interminabili manifestazioni che, sicuramente, continuerà ad organizzare. Infine una sciarpa, affettuosamente deposta sopra la cassa, a completamento del viatico. Un viatico, le bandiere e la sciarpa, imprescindibile ed indispensabile per un militante comunista e sardista che mai potrà cessare di esserlo. Da ultimo, un rammarico, quasi un pentimento, da parte dell’ateo che, nel momento in cui viene meno, definitivamente, l’amata compagnia, si dispiace di non credere nell’aldilà. Avverte la mancanza di uno spazio che consentirebbe di mantenere un legame, foss’anche solo una corrispondenza d’amorosi sensi, con lo spirito di Vincenzo. Che poi, cosa che non smetto di constatare, la sua morte è anche la nostra, di noi che rimaniamo orfani, che veniamo privati di una delle relazioni che compongono, come un mosaico, la nostra esistenza. Una relazione, con Vincenzo, che aveva perso la quotidianità di un tempo, pur senza il rimorso di non continuare a trovarmi, materialmente, al suo fianco nelle infinite battaglie che non ha mai smesso di combattere. Piuttosto, l’improvvisa sensazione della sua assenza. Come se fosse la mancanza di una stampella alla quale potersi appoggiare. Perché Vincenzo, per me, ma immagino anche per altri, è stato soprattutto un compagno scomodo, difficile. E’ stato un compagno con il quale non potevano mancare le occasioni di attrito. Ma, allo tesso tempo, un compagno indispensabile. Perché era il compagno che ti richiamava, in ogni momento, alla dimensione più radicale della militanza, restio al compromesso, indomito, mai stanco. Un compagno che, nonostante la sua intelaiatura fosse già provata da tempo, proseguiva, in equilibrio, al di là dei limiti della fatica sostenibile. Era il compagno che se ti rilassavi soltanto per un momento, ti richiamava al dovere, a volte con parole docili, con un sorriso suadente e comprensivo ma che suonava come un rimprovero. Un compagno scomodo perché voleva fare sempre di più e di meglio ed esigeva, da sé stesso e da quanti gli erano vicini, sempre il massimo. Vincenzo Pillai è stato un prototipo di militanza comunista, un’icona dell’impegno sociale nell’ultimo mezzo secolo in Sardegna. Ma non vorrei che la sua storia esemplare di militante finisca per offuscare il lato personale di un amico, capace di insegnarti i segreti del bosco, la raffinatezza di un gusto, di offrirti il piacere della compagnia, di farsi sentire la sua vicinanza. Non mi ha mai convinto a raccogliere un’amanita, commestibile, ma pericolosamente simile alla mortale falloide. Ma la grande passione con la quale pretendeva di insegnarmi a riconoscere la differenza tra le due specie, ancora mi rimane impressa. Vincenzo Pillai è stato un amico ed un compagno che, se l’aldilà non esiste, occorrerebbe inventarlo, per poter sperare di tornare, un giorno, in piazza assieme a lui. |