Identità Tradita? Le recenti vicende dell’ex Mulino Guiso Gallisai a Nuoro [di Ilene Steingut]
Ho letto con interesse la recente notizia dell’approvazione da parte del ministero del “Piano per le periferie” del comune di Nuoro, all’interno della quale viene riportato l’impegno, da parte dell’amministrazione comunale, di destinare l’ex Mulino Guiso Gallisai a sede per l’Università. E’ un edificio che conosco bene, avendo il mio studio, VPS Architetti, fatto parte del gruppo che ha progettato il Museo e i Laboratori dell’Identità. L’ex Mulino Gallisai è un luogo caro ai nuoresi, rappresenta una preziosa testimonianza della crescita industriale della città e del suo ingresso nella modernità, ed ha un valore non solo urbano/architettonico, ma anche immateriale/simbolico/identitario, per ciò che ha rappresentato per l’economia e la società nuorese tra la fine dell’800 e i primi anni 50 del ‘900. Non a caso Salvatore Satta delinea il carattere di don Paqualino Piga, uno dei protagonisti del “Giorno del Giudizio”, sulla figura di Francesco Guiso Gallisai che, in quegli anni, guida l’impresa di famiglia, supervisiona la costruzione del mulino e introduce l’elettricità a Nuoro. Vale la pena soffermarsi sull’incarico a noi affidato nel 2008/2009, in quanto rappresentava, a mio avviso, una pratica virtuosa da parte dell’amministrazione pubblica. Si trattava infatti, non solo di elaborare un progetto architettonico di riqualificazione di un “contenitore”, ma anche, e soprattutto, di definire contenuti e l’organizzazione dell’attività museale e le sue modalità di gestione [1]. Le caratteristiche del museo/laboratorio dell’identità erano state prefigurate nel piano regionale dei musei del 2005: … Scopo del progetto non è trasmettere contenuti precostituiti ad un visitatore passivo, quanto sollecitare interrogativi e alimentare la discussione in un pubblico partecipe, su un tema che non riguarda solo i sardi ma che è di grande rilievo nella cultura contemporanea in generale.…Il museo sarà ospitato nell’edificio dell’ex mulino Gallisai, previa acquisizione dell’immobile da parte della Regione e restauro degli ambienti. Il gruppo incaricato ha immaginato una struttura museale che si sarebbe dovuta qualificare non tanto per i contenuti materiali quanto per i contenuti immateriali, ovvero le attività ed esperienze laboratoriali i cui esiti avrebbero, a loro volta, nutrito gli stessi allestimenti. Un museo/laboratorio dinamico, partecipato, sperimentale, in cui l’esposizione stessa sarebbe stata in continua evoluzione e divenire, con contenuti sempre nuovi e diversi. Questo anche per perseguire l’obiettivo di farlo diventare un luogo visitabile più volte capace, insieme agli altri attrattori culturali di Nuoro e come fortemente voluto dall’amministrazione comunale di allora, di ampliare l’offerta culturale e di portare visitatori e turisti a passare almeno una notte a Nuoro, così fornendo un contributo all’economia locale e rafforzando il ruolo auspicato della città come epicentro culturale, ruolo ribadito dall’attuale amministrazione con la recente candidatura di Nuoro a Capitale della Cultura. Il museo/laboratorio dell’identità era concepito, quindi, come zona di contatto, forum, arena, centro di ricerca, servizio alla società e al suo sviluppo in cui la comunità doveva svolgere un ruolo centrale. Infatti, nel progetto culturale definitivo approvato dall’amministrazione regionale nel 2013, si legge:… Il museo dovrebbe identificare una pratica culturale partecipata di conoscenza e valorizzazione del patrimonio identitario, naturale e culturale, colto nella sua dimensione complessa: un’azione che deve essere in grado di motivare, intercettare e connettere una pluralità di soggetti dando alle comunità locali un vantaggio in termini di ascolto e traduzione dei loro saperi incorporati, della loro esperienza quotidiana …. Questa idea di museo, come catalizzatore culturale e sociale, sembra essere stata liquidata. Infatti, dalle recenti notizie si dovrebbe supporre che il bene sia passato in qualche modo (cessione da parte della regione?) al patrimonio dell’amministrazione comunale, visto che ne dispone liberamente all’interno di un proprio programma di intervento. Ancora una volta, se così fosse, ci troveremo di fronte ad un bene storico che viene visto come un mero “contenitore” disponibile ad accogliere qualunque utilizzo derivi da variazioni di rotta dovute all’avvicendamento delle amministrazioni. Nessuno ha pensato al fatto che l’edificio è, prima di tutto, il museo di se stesso, di un momento importante nella storia di Nuoro e della Sardegna. Per questo l’edificio è (giustamente) soggetto a vincolo da parte della Soprintendenza che, nel dispositivo autorizzativo, prescrive: “ai fini della tutela dell’edificio quale elemento della storia socio-economica della comunità nuorese, tanto in considerazione della scarsità di esempi di archeologia industriale in Sardegna, quanto della destinazione d’uso dell’edificio a “museo dell’identità”, sarà comunque necessario conservare su ogni piano traccia della originaria destinazione d’uso, …”. In poche parole, l’edificio, qualunque uso se ne faccia, non solo non potrà essere modificato sostanzialmente, ma dovrà mantenere gli attuali rapporti spaziali/dimensionali e conservare quanto più possibile, gli elementi sia architettonici che di archeologia industriale che lo caratterizzano. In generale, un’interpretazione costruttiva dei vincoli, sia materiali che immateriali, presenti su un edificio storico non può che trarre ispirazione dal principio che è comunemente alla base degli interventi in edifici di questo tipo, per il quale la destinazione dei vari ambienti, sia al chiuso che all’aperto, non può prescindere dalla vocazione degli spazi ad ospitare le nuove funzioni, piuttosto che la modifica degli stessi in modo da adattarli a tutti i costi alle nuove funzioni, quindi dalla compatibilità delle stesse con i caratteri spaziali, architettonici e costruttivi degli stessi. Questo principio, che può sicuramente essere rispettato con una funzione come un museo/laboratorio, è stato preso a riferimento per la sua progettazione che tendeva appunto alla valorizzazione e conservazione delle caratteristiche originali per quanto riguarda gli spazi interni, i prospetti e gli annessi. Attualmente l’edificio giace in uno stato di abbandono e degrado. La gara, l’ormai (a quanto pare) defunto appalto integrato per la progettazione e realizzazione dei lavori edili, è stata aggiudicata nel 2014 sulla base del progetto definitivo da noi elaborato. Il progetto esecutivo è stato presentato dall’impresa aggiudicataria nel gennaio 2015 con varie successive integrazioni (richieste dall’amministrazione regionale) nei mesi di marzo, luglio e settembre. Ma il progetto esecutivo, ritenuto non meritevole di approvazione da parte della stazione appaltante, non è mai stato approvato e, di fatto, il contratto è stato rescisso nel giugno 2016. E’ un edificio che ha necessità di cure immediate per arrestare i processi di degrado in atto. Ma, secondo me, questo dovrebbe avvenire all’interno di una prospettiva che realisticamente e in modo chiaro e univoco consenta la valorizzazione degli aspetti sia architettonici che simbolici dell’ex Mulino Gallisai. Queste riflessioni sulle vicende di un bene architettonico di tale rilievo e di un progetto di tale importanza, sollevano una serie di domande:
Per quanto riguarda quest’ultimo punto riporto di seguito alcune recenti indicazioni in merito: Dichiarazioni programmatiche del sindaco: ….La nuova amministrazione si adopererà quindi per la realizzazione della Cittadella della cultura, al centro storico nei locali del vecchio mulino Gallisai, in simbiosi con il vero e unico museo delle identità, che è quello che nel centro storico si vive quotidianamente, testimone attento dell’evoluzione della modernità su basi salde di identità, crescita sociale ed economica in uno scambio e reciproca interrelazione tra servizi museali e di istruzione, luogo di interpretazione nel presente e di valorizzazione e interpretazione dei più ampi aspetti culturali del passato. La cittadella della cultura comprenderà pertanto tutte le sedi didattiche dell’attuale offerta formativa, i relativi centri di ricerca esistenti, le numerose e valide istituzioni che già operano attorno al tema della cultura, che diventa pertanto asse strategico dello sviluppo e laboratorio di idee e progetti, spazio aperto alla cittadinanza, centro di ricerca…. Studenti, ricercatori, cittadini, artisti troveranno nella cittadella della cultura uno spazio unico in cui la Cultura viene declinata come servizio pubblico di istruzione e promozione della persona. Delibera della giunta comunale del 5 dicembre 2017, relativamente al piano per le periferie: Riqualificazione del complesso del Mulino Gallisai finalizzata alla realizzazione di un sistema multifunzionale per l’elaborazione e la trasmissione della conoscenza, approvato con Deliberazione della GC n° 248 del 29.08.2016 che prevede un investimento complessivo di €12 000 000 dei quali €4 000 000 a valere sulle risorse di cui al Bando Ministeriale, €6 000 000 derivanti dal Tavolo Tecnico istituito c6f3=sardegnasoprattutto|151456degna e €2 000 000 a valere sul confinanziamento privato generato attraverso un Fondo di Sviluppo Urbano per la costituzione del quale è stato previsto uno studio di fattibilità e relative attività connesse. A questo punto mi chiedo: cosa si intende per “Cittadella della Cultura”? Cosa significa “sistema multifunzionale per l’elaborazione e la trasmissione della conoscenza”? Come si pensa realmente di dare sostanza a queste (volutamente generiche?) definizioni all’interno di un edificio con le caratteristiche dell’ex Mulino Gallisai? L’amministrazione regionale è d’accordo ad alienare/cedere un bene di questa natura, per cui sono state spese ingenti risorse ed impegnate, per anni, energie sia progettuali che amministrative, e a rinunciare ad un pezzo importante del suo progetto museale regionale sulla base di ipotesi che, allo stato attuale delle conoscenze, appaiono vaghe e generiche? [1] Il gruppo di lavoro di cui abbiamo fatto parte era costituito, quindi, non solo da architetti (VPS Architetti + Garofalo Miura) ed ingegneri (3TI Progetti Italia spa + Gianluca Anolfo) ma anche da artisti multimediali (Studio Azzurro, che la Sardegna ha conosciuto per la mostra su Fabrizio de Andrè tenuta al Man nel 2009), da esperti di allestimenti museali (Museum Engineering), da antropologi e studiosi di temi legati all’identità, e da economisti ed esperti responsabili per l’elaborazione del piano di gestione della struttura, con l’obiettivo di studiare in maniera coordinata ed integrata, la riqualificazione edile e strutturale, la progettazione degli spazi e degli allestimenti, il programma culturale e quello di gestione.
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