Si può provare ad essere realmente “Liberi e Uguali”, anche in tempi stretti? [di Umberto Cocco]
Ma una qualche forma di vita democratica, partecipativa, non la potrebbe abbozzare in queste settimane “Liberi e Uguali”, in Sardegna, in vista delle elezioni? Nelle difficili condizioni date, certo. Con lo scarso tempo a disposizione da qui al 4 marzo: anzi, da qui alla presentazione delle liste, questione di poche settimane. Sapendo che si tratta di una lista, certamente, per ora, non di un partito, che guarda al 4 marzo e che il tempo della politica verrà. E la politica che serve ora, il profilo del movimento, lo fa la genesi di “Liberi e Uguali”, il modo in cui è nato, sta negli uomini e donne che lo guidano, in quel che “non siamo, ciò che non vogliamo”, si potrebbe dire, parafrasando il poeta. E infine, le scelte che ci sono da fare le facciano i tre partiti, o pezzi di partiti, che lo costituiscono. Però, forse non basta. Forse chi ha lasciato il Pd (lo stanno facendo a decine, pezzo a pezzo, anche dirigenti, segretari di circolo, in questi mesi), e immagino anche Sel nel suo piccolo in Sardegna, scappa non solo da politiche che non condivide, ma da partiti senza democrazia innanzitutto: un leader da solo al centro e, nei territori, comitati elettorali e gruppi di potere. E non è detto che abbia voglia di riprovarci in un movimento di tre pezzi di partito che perpetuano quelle stesse forme, le stesse pratiche, gli stessi vizi. A cominciare dalle candidature: apprese dai giornali, come nel Pd, un posticino per corrente lì, e qui, a “Liberi e Uguali”, uno per partito costituente, in chissà che ordine, aspettando la rendita, senza troppo cercare fuori da sé, nelle professioni e nelle culture non necessariamente organiche, come raccomandava di fare Nico Stumpo all’assemblea regionale qualche settimana fa. Aspettare la rendita è anche non affondare l’analisi, su quale parte di società sarda rappresentare in Parlamento, e prima, in campagna elettorale, e dopo, se il movimento ha un futuro: quale malessere e quali delusioni e che speranze, quali prospettive rappresentare. Il fatto che siano in “Liberi e Uguali” un assessore della giunta Pigliaru e alcuni consiglieri di maggioranza in Regione, un assessore della giunta Zedda a Cagliari, crea qualche imbarazzo, si vede, si vede e si capisce. Ma sarà difficile fare un movimento con la radicalità necessaria per un soggetto nascente e che voglia assumere bei tratti netti e distintivi nel metodo e nelle politiche, come dice Grasso, facendo finta che non sono in gioco la giunta regionale e gli assetti di potere in Sardegna nelle elezioni nazionali. Non sarebbero così disastrosi i sondaggi per il Pd e non sarebbero stati così disastrosi i risultati delle consultazioni elettorali degli ultimi anni se non ci fosse un problema enorme di governo della regione, un distacco fra classi dirigenti e società sarda (a meno che non si voglia credere al cronista della Nuova Sardegna – che chiede a Pigliaru nell’ultima intervista: «La sua è la giunta più riformista degli ultimi 20 anni, perché non è stato capito?» – e alla risposta del presidente della Regione che sta al gioco, e dice che sì, non è stato capito, perché chi governa bene paga prezzi salati in termini di popolarità. Sia detto con rispetto per il cronista, Luca Roich, ma quale altra giunta è stata riformista, prima degli ultimi vent’anni?). Affondare la critica della giunta Pigliaru, finanche di Zedda, del renzismo che li pervade e pervade tutto il Pd sardo, e sulle scelte in materia di ambiente e urbanistica , di industria (abbandonata), di scuola (o davvero si crede che Iscol@ stia andando bene? E non sia tutta edilizia e nient’altro, ed edilizia a volte indipendente dai bisogni reali?), di occupazione (o si crede davvero che sia in calo la disoccupazione, perché l’Istat rileva come occupati anche coloro che lavorano un’ora al mese?), significa guardare bene anche dentro la sinistra che li sta lasciando, il Pd, Renzi, Sel. Se c’è una cosa poco convincente nelle dichiarazioni di Grasso, Bersani, Boldrini, e del gruppo dirigente nazionale di “Liberi e Uguali”, è il riferimento costante all’elettorato che se n’è andato in questi anni, come se fosse sufficiente recuperarne una parte almeno, per giustificare la propria funzione, bastando a questo scopo l’effetto nostalgia, il ricordo del passato, e due tre leggi sbagliate da Renzi. Ma la politica non funziona così, se posso dire, sommessamente. Perché sono andati via in molti non solo dal partito di Renzi ma anche dal Pd di prima, e hanno mollato non solo il progetto del partito della nazione e il furbesco e irresponsabile populismo di Renzi, ma anche tutte le altre formazioni della sinistra. (E la sinistra perde in tutto il mondo democratico, non rappresenta i ceti popolari né in Italia né negli Stati Uniti, non in Europa. E dove li rappresenta, con Corbyn, non è maggioritaria, non ancora, ed è troppo nazionale per poter aspirare a dare una prospettiva almeno europea, in un mondo che invece il capitalismo e la finanza dominano globalmente. Ma sarebbe un discorso troppo lungo). Il punto è che se non si attraggono persone nuove, giovani ma non solo, precari, ricercatori, operai, intellettuali, competenze, e di formazione e provenienza cattolica, socialista, prima di tutto alle proprie riunioni, lasciandoli parlare e provare a farla fare una politica che li rappresenti i loro problemi e le aspirazioni, se non si accetta il fatto che non dice molto a questa umanità né la parola sinistra né il chiamarsi “compagne e compagni”, retoricamente, non ha futuro neppure questo movimento. (All’assemblea di Oristano non se n’è sentito uno che non fosse precario sì, ma di uffici stampa, segreterie politiche, gabinetti di assessorati). Invece uno spazio ci sarebbe, in Sardegna, ma bisognerebbe articolare una politica, severa verso il Pd, Renzi, Pigliaru e financo Zedda, verso il grillismo e verso il sovrastimato, sovra-rappresentato sardismo dalle molteplici forme (indipendentista e filo catalano ma contemporaneamente in cerca di un seggio sicuro da Renzi e Fassino da una parte e dagli inviati di Berlusconi dall’altra, contro Pigliaru e insieme suoi intoccabili amici, idealisti e di potere). Ma ci sarà modo di parlarne, forse. Ci sarà modo diparlarne? Non ci può provare “Liberi e Uguali”, anche in tempi stretti?
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Riflessione stimolante, da tenere in assoluta considerazione.
Tuttavia, essendo intervenuto all’assemblea di Oristano, mi permetterà Umberto Cocco di non riconoscermi tra i precari da lui citati e, pur essendo dirigente politico, di non aver mai avuto a che fare con uffici stampa né gabinetti assessoriali.
Mi scuso con Salvatore e con tutti, quel concetto è mal espresso. Sono stato anch’io in un ufficio stampa, non penso male della funzione e tantomeno di chi la esercita. E alta è la considerazione in cui tengo chi fa politica, quale che sia il lavoro che svolge, la professione da cui proviene. A Oristano e in altre circostanze, negli ambienti di sinistra che mi capita di frequentare, non si vedono troppi precari (se non i nostri, del mondo politico/istituzionale), ed essendo questa la figura del lavoratore moderno supersfruttato, una dimensione dell’alienazione di oggi, altra faccia ma speculare della disoccupazione di massa, be’ un partito che aspira a rappresentare il mondo del lavoro, dei marginali, dei senza diritti, deve averli dentro, a fare loro la politica, non noi a provare a farla per loro conto e nel loro interesse, noi «ceti medi urbani, istruiti e “riflessivi”». Il tema è enorme, e non ho soluzioni, figurarsi. Luca Ricolfi (sociologo, uomo non più di sinistra) ci ha scritto un libro, recentemente (“Sinistra e popolo”, Longanesi).