La Sardegna e il codino del barone di Münchausen [di Nicolò Migheli]

Barone-di-Munchausen

Senza fallo vi sarei dovuto morire, se la forza del mio braccio, afferrandomi per il codino, non mi avesse estratto dalla melma assieme al cavallo, che stringevo forte tra le ginocchia“. È uno dei passi più esilaranti del romanzo di Gottfried August Burger. Karl Friedrich Hieronymus di Münchhausen, vissuto realmente nel XVIII secolo si divertiva a raccontare agli amici le sue rocambolesche avventure militari infarcendole di un surrealismo ante litteram. Quei racconti raccolti in un libro sono diventati fanfaronate per antonomasia.

C’è voluto lo psicanalista polacco-americano Paul Watzlavick per dare al passo del codino una declinazione innovativa: una possibilità di lettura della propria realtà con altri occhi. Una insperata possibilità per le comunità e gli individui di ritrovare in sé stessi le risorse per trarsi d’impaccio senza perdere però il principio di realtà; senza per forza rifugiarsi in universi paralleli.

Il 2018 è cominciato in Sardegna con un botto ben più rumoroso di quelli di Capodanno. La sindaca di Giave comunica con atto formale alla Agenzia delle Entrate e alla casa petrolifera che gestisce un rifornitore nel suo territorio comunale, che a valere dal primo dell’anno sono abolite iva e accise sui prodotti petroliferi per i residenti. La risposta dell’Agenzia non si fa attendere.

È negativa come in molti avevano previsto. Giave è ancora territorio della Repubblica Italiana e della Ue e di conseguenza niente zona franca al consumo. Un petardo che voleva essere provocazione e invece si è rivelato causa di disorientamento, visto che molti sindaci sono stati sollecitati dai propri amministrati a seguire la strada tracciata dal comune del Meilogu.

Da troppi anni assistiamo a profeti che spargono illusioni. Senza voler entrare nelle polemiche su quello strumento di politica economica, l’episodio racconta molto del disorientamento che vive oggi la società sarda. Il desiderio di fuga in universi paralleli è vivo più che mai. D’altronde è comprensibile. La crisi sarda è precedente a quella del 2008. È crisi di modello di sviluppo, e quella della finanza internazionale l’ha solo aggravata.

A questo si aggiunge che viviamo in una terra costretta ad una miriade di balzelli, di procedure amministrative complicate che finiscono con l’aggravare lo stato dell’economia. Alle complessità burocratiche della Ue si sommano quelle italiane, e non ultimi ci mettiamo del nostro con quelle di derivazione regionale. Sia ben chiaro che tutto questo non è solo responsabilità dei dipendenti della pubblica amministrazione, ma della politica che produce leggi su leggi, disposizioni, ordinanze che quando non contrastano l’una con l’altra sono di difficile interpretazione.

Chi dovrebbe essere opportunità si traduce in blocco. Un insieme di cause che si traducono in una povertà accentuata di fasce ampie di popolazione, nell’emigrazione dei giovani, non solo di quelli laureati. Una perdita costante di forze innovative che sommate ai fattori demografici fanno della nostra società un insieme di persone deluse, risentite, pronte ad arrendersi perché non trovano più in sé la capacità di resistere ad un presente che sembra organizzato per sconfiggerle.

La sindaca di Giave si aggrappa al suo codino e dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, una esigenza di democrazia, di portare anche nel suo comune un minimo di capacità di decisione, di politica, di non limitarsi ad essere solo chi deve subire le necessità dei suoi amministrati, di poter essere soggetto e non oggetto delle disposizioni altrui. L’atto è una fuga in un universo che si vorrebbe migliore, ma il bisogno è davanti ai nostri occhi.

Siamo in piena campagna elettorale per le elezioni parlamentari. Comunque vadano è indubbio che per la nostra isola non cambierà granché. Siamo il 2,6% del corpo elettorale italiano, contiamo meno di una grande città italiana, non siamo protetti neanche dallo status di minoranza etnica come il Sud Tirolo o la Valle d’Aosta.

È evidente che per noi molto si gioca sulle elezioni regionali che ci saranno l’anno prossimo. Perché solo con una autonomia forte possiamo avere quel rapporto contrattuale con lo Stato che è l’unico che conta veramente. Ecco perché abbiamo un disperato bisogno di coalizioni slegate dai partiti romani, di formazioni politiche esclusivamente sarde, con gli occhi rivolti ai nostri bisogni, insensibili alle convenienze e compatibilità “nazionali” nel senso di italiane.

Formazioni con un programma di pochi punti che abbia come perno lingua e cultura della Sardegna, che sfoltisca le leggi regionali, crei, per quel di competenza, un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese nella compatibilità ambientale; favorisca con una sorta di “legge del ritorno” il rientro dei giovani espatriati. Un programma minimo con l’occhio rivolto alla creazione di una classe dirigente nazionale. A questo punto il codino del barone di Münchhausen diventerà risorsa e non fuga disperata dal presente.

Auguri di buon anno!

 

One Comment

  1. vale

    Caro Nicolò,
    ha colto in questo scritto alcuni punti molto importanti e di cui, a mio modo di vedere, ogni sarda e sardo dovrebbe essere pienamente consapevole:
    1. “Siamo il 2,6% del corpo elettorale italiano, contiamo meno di una grande città italiana, non siamo protetti neanche dallo status di minoranza etnica come il Sud Tirolo o la Valle d’Aosta”. In un paese (come l’Italia) che affonda, NON ABBIAMO SPERANZA che qualcuno dall’esterno dia precedenza ai nostri interessi: le poche e vere risorse disponibili saranno ordinate in funzione dell’incidenza sul totale dei voti e alla Sardegna e in un processo di declino dell’Italia, non rimarranno briciole (magari!) ma piuttosto danni o gli effetti negativi degli altri (si vedano i vari progetti di land grabbing da oltre tirreno)
    2. “…viviamo in una terra costretta ad una miriade di balzelli, di procedure amministrative complicate che finiscono con l’aggravare lo stato dell’economia. Alle complessità burocratiche della Ue si sommano quelle italiane, e non ultimi ci mettiamo del nostro con quelle di derivazione regionale” …Bucca tua santa! In Sardegna abbiamo preso il peggio della burocrazia italiana che a sua volta ha mano a mano assorbito il peggio della burocrazia europea. Qui si gioca qualsiasi chance di sviluppo per la nostra isola insieme alla lotta all’insopportabile carico fiscale e contributivo su imprese e famiglie (fosse solo quella sulla benzina!): burocrazia ZERO (con ripristino il più presto possibile dell’accesso alla pubblica amministrazione ESCLUSIVAMENTE mediante concorso e reale merito!) e oneri fiscali e contributivi non solo giusti, ma anche competitivi rispetto agli altri paesi e premianti/disincentivanti in funzione dell’impatto ambientale e sostenibilità e del valore sulla bilancia dei pagamenti del sistema economico sardo.
    3. “emigrazione dei giovani, non solo di quelli laureati. Una perdita costante di forze innovative che sommate ai fattori demografici”. Ogni nostro emigrato è una perdita (crescente al crescere del livello di istruzione ma anche della sua determinazione, essendo innegabile una correlazione positiva tra chi è emigrato e chi è determinato e proattivo o in altre parola ha voglia di lavorare!) e allo stesso tempo una riduzione delle probabilità di ripresa del nostro sistema economico. Gli emigrati sono oggi allo stesso tempo una incredibile risorsa da utilizzare e valorizzare, nella speranza che molti di loro possano riportare qui le loro motivazioni, unite alle competenze, esperienze e contatti che hanno acquisito fuori dall’isola, magari portando con loro anche nuove persone con grande voglia di lavorare, alte competenze, esperienze, contatti e se possibile mezzi da investire!
    Aggiungerei due note sulle cause del sottosviluppo in cui ci troviamo e del trend negativo inesorabilmente in atto da troppo tempo:
    4. Lotta ai corrotti e corruttori: a parole tutti concordano, ma quando si passa ai fatti (vere sanzioni che facciano davvero da deterrente e da vera pena) e alla rimozione delle cause, iniziano i ma e i se. Un sistema economico come quello attuale in cui lo stato intermedia oltre il 50% del PIL è un PARADISO per i corrotti (politici e burocrati che detengono un potere e ricercano un’utilità, tra cui anzitutto i voti) e i corruttori (imprese e privati che offrono un’utilità in cambio di un’altra utilità o vantaggio generalmente economico o anche semplice favore, a danno degli altri cittadini e imprese). Oltre ad intervenire sul contesto con la lotta serrata alla burocrazia (ma perché si continuano a privilegiare bandi su bandi mettendo in mano ai poltici e loro burocrati finanziamenti o contributi sempre più ridotti e complessi nell’iter?), occorre andare a colpire in maniera efficace (certa e tempestiva) i corrotti e corruttori: è il loro portafoglio che si deve pesantemente colpire, rimettendo alla collettività le relative entrate per compensarle dei costi incredibili (tra cui quelli fiscali) che la corruzione scarica alla fine sulla stessa collettività!
    5. finanza internazionale: Nicolò è tempo di smetterla di raccontare e raccontarci questa storiella che la crisi viene da fuori ed è stata architettata da questo o quel circolo ristretto di eminenze grigie! E’ un atteggiamento infantile o da immutari pensare che le cause dei problemi che viviamo siano esterne e non derivino dai noi stessi (dare la colpa agli altri è tipico degli immaturi)! L’incredibile debito pubblico che i nostri genitori hanno accumulato è l’effetto del vivere al di sopra delle possibilità (facendo debito da scaricare con i costi aggiuntivi alle future generazioni) che per decenni è stato da loro programmato ed attuato, beneficiandone loro in tanti modi (non dimentichiamoci i tanti stipendifici creati sia nel pubblico-pubblico che nel privato di facciata ma pubblico nella sostanza, cioé pagato di nuovo dai contribuenti o con il debito pubblico!).
    Buon anno e speriamo davvero che siano sempre di più le sarde e i sardi che comprendano al più presto che solo l’indipendenza della nostra isola può consentirci di sperare (non necessariamente ottenere) un vero sviluppo e una vera ricchezza diffusa e che al contrario la permanenza in terza o quarta classe in un altro stato che invece sta affondando (qui si necessariamente e certamente) ci porterà in una situazione sempre peggiore (o “più peggiore” come direbbe il ministro dell’istruzione a suggello perfetto del declino in cui lo stato di tal ministro è giunto!).

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