A proposito della necessità di ritrovare la memoria: Màrtires in s’Ardeatina Fossa [di Umberto Cocco]
Una Moda, in sardo, scritta nel 1999 dal sedilese Tonino Sanna in memoria dello zio Pasquale Cocco ucciso dai nazisti alle Ardeatine e cantata da Clara Farina, è fra i brani contenuti nel libro Ribelle e mai domata (Squilibri editore, Euro 27) e in uno dei due compact disk allegati. Curato da Alessandro Portelli, è il quarto volume della collana I Giorni Cantati che sta pubblicando materiali musicali, storici e narrativi dell’antifascismo e della Resistenza raccolti nel corso di quasi cinquant’anni dall’Archivio Sonoro “Franco Coggiola”, del Circolo Gianni Bosio di cui Portelli è fondatore e presidente. Lo storico – docente di Letteratura americana alla Sapienza, critico musicale, teorico della storia orale, autore di testi imprescindibili sulla classe operaia degli Stati Uniti e la memoria che ne conservano e ne tramandano il rock e la musica country, da Woody Guthrie a Bob Dylan e Springsteen – ascoltò in Sardegna a Sedilo tre anni fa il canto di Clara Farina scritto da Tonino Sanna (Màrtires in s’Ardeatina Fossa) inserito in una performance sui nove sardi uccisi dai nazisti alle Ardeatine, e basato sulle musiche del più celebre fra quei morti, Gavino De Lunas, popolarissimo cantante di Canto in Re. C’erano oltre duecento persone a ricordare, i ragazzi delle scuole elementari e medie di Sedilo fecero una drammatizzazione di quella pagina di storia e una nipote di Pasquale Cocco, Franca Sanna, raccontò di come si rievocava in casa la perdita dello zio materno. P più con i silenzi e con il lutto che con le parole. «Non andarono mai più a una festa mia madre e mio padre, mia nonna era come se raffigurasse lei La Madre dell’Ucciso di Francesco Ciusa», anziché il contrario. Un altro nipote, Tonino, fratello più grande di Franca Sanna, che lo zio lo conobbe, avrebbe scritto i versi de sa moda molti anni dopo, nel 1999, recuperando dei 335 trucidati la memoria della morte senza sepoltura (Sonadu no an tocos de agonia/Sas campanas de Roma capitale/Pro sos tregentostrintachimbe eroes./ Nen cunfortu lis dat una Maria/Cando olad’est s’anima immortale/Sen’attitos, piantos ne aloes), e toccando con delicatezza e nostalgia la figura del giovane zio che, «Rimasto senza padre dall’età di dieci anni/E’ morto giovane e ha patito vivendo/Sognava l’amore ed è partito per fare l’aviatore nei cieli/Suonava la chitarra con Gavino/Sono stati amici in vita e insieme hanno salutato Padria, Sedilo e la Sardegna», dice la traduzione. Gavino De Lunas sembra tenere tutto insieme: del cantante originario di Padria il giovane Pasquale Cocco doveva essere un fan prima che un amico, lo seguiva nei paesi del Marghine fra Pozzomaggiore, la Planargia, Borore (dove il ragazzo di Sedilo aveva fatto la scuola di volo), Aidomaggiore (dove De Lunas aveva avuto una fidanzata) e poi a Roma, dove insieme, dopo l’8 settembre 1943, furono arruolati, entrambi nel Battaglione “etnico” Giovanni Maria Angioy, per rifiutarsi, ancora insieme, di seguirlo al Nord per mettersi al servizio della Repubblica di Salò. Accusati di sabotaggio, Cocco per essersi tagliato le vene pur di non asservirsi ai fascisti, De Lunas con alcuni volantini del Partito d’Azione in tasca, vennero portati in via Tasso dove Coccolino – così lo chiamavano i compagni di cella – sognava la libertà e di tornare a cantare e a suonare con De Lunas, raccontò un compagno scampato alla morte. De Lunas c’era già negli archivi sonori del Novecento italiano: inaugurando una sezione della Discoteca di Stato (ora Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi), l’allora ministro Veltroni scoprì che la sola voce registrata dei 335 uccisi dai nazisti in quella strage, era – è – quella del cantante sardo, primo cantante tradizionale dell’isola ad avere inciso dischi negli anni ’30. Strana sorte, per la più potente icona folk della Sardegna della prima parte del secolo e degli anni del fascismo (vestito nel costume di Nuoro, e a cavallo, accolse il re Vittorio Emanuele e la principessa Giovanna in visita a Cagliari nel 1926). A quei reperti storici, si aggiunge ora il canto di Tonino Sanna e Clara Farina. «Fra le voci rilevanti e necessarie per il nostro tempo», le definisce Portelli, arricchiscono la grande tradizione del canto partigiano dell’Italia del Nord, lo estendono alla Sardegna, a un’Italia mediana al sud della Linea Gotica. |
Per un errore nella traduzione in italiano contenuta nel libro, “deghe dies” – nei versi dedicati all’infanzia di Pasquale Cocco – sono diventati “dieci anni”. Così anche nell’articolo di Umberto Cocco.
Questo il testo in sardo: Martire sedilesu est Pasquale/Poberittu senza babbu fit restadu/Da ‘edad’e deghe dies orfanadu/Zovan’est mortu, pro biver at patidu.