Un sogno a occhi aperti: fare della Sardegna una terra della conoscenza [di Silvano Tagliagambe]

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Nel suo romanzo breve Il cavaliere inesistente Calvino ci offre un ritratto di straordinaria efficacia di Gurdulù, una persona che c’è ma non sa di esserci, non ne ha consapevolezza, perché si appiattisce nell’ambiente in cui si trova inserito e s’identifica completamente con esso. Se ad esempio butta in acqua la rete e vede un pesce che è lì lì per entrarci, s’immedesima tanto in quel pesce che si tuffa in acqua e nella rete entra lui. È l’emblema di chi viene sopraffatto dalla realtà che lo circonda  ed è incapace di afferrarla proprio perché non riesce a  distinguersi da essa, a distaccarsene e a valutarla criticamente. Se all’acqua, alla rete e al pesce sostituiamo, rispettivamente, la televisione, uno qualunque degli innumerevoli programmi che dettano per molti l’agenda dei sogni e dei desideri  e uno dei tanti eroi o delle tante eroine che incarnano queste illusioni non ci è difficile capire come questo meccanismo di appiattimento e identificazione in ciò che si vede, così magistralmente descritto da Calvino, sia ormai diventato parte della nostra realtà quotidiana.

Quando si parla, in astratto, di dispersione scolastica, di analfabetismo di ritorno, di deficit delle competenze di base, di difficoltà a comprendere un testo e a enuclearne correttamente i significati, di criticità nell’argomentare e nel ragionare, non sempre si riesce a rendersi conto che questi sono i sintomi di una malattia culturale in seguito alla quale la persona, non adeguatamente curata, deperisce e s’impoverisce, fino a diventare un Gurdulù. E se le persone affette da questo morbo si moltiplicano fino a diventare la regola e non più l’eccezione è la società nel suo complesso che deperisce e s’impoverisce.

L’unico possibile rimedio alla diffusione di questa pestilenza è una scuola accogliente e  funzionale, talmente radicata nel territorio in cui è inserita da far corpo con esso, diventandone parte integrante e strumento di coesione della comunità che lo abita. Di questa scuola e di questa sua integrazione con l’ambiente di riferimento e con coloro che vivono in esso si parlerà lunedi prossimo, 27 gennaio, alla Mediateca comunale di via Mameli a Cagliari in un convegno organizzato dall’Associazione culturale Lamas e das SAardegnaSoprattutto, Rivista online (www.sardegnasoprattutto.com) a cui è stato dato,  non a caso, il titolo Sardegna: terra della conoscenza e della comunità educante.

La mattina si discuterà degli obiettivi degli ordinamenti scolastici e formativi, di sistemi di valutazione, di formazione della persona nella società odierna. Il pomeriggio sarà invece dedicato agli orizzonti formativi universitari per lo sviluppo della Sardegna, affrontando il tema dell’interazione e della sempre più necessaria alleanza tra le tre culture in cui si articola il nostro sapere, quella scientifico-tecnologica, quella delle scienze sociali e quella umanistica che un bel libro di Jerome Kagan, uscito di recente, paragona alle tigri, agli squali e ai falchi, per sottolineare il fatto che ognuno di questi gruppi di animali è potente nel suo territorio, ma impotente nell’ambiente dell’altro.

      Una  scuola e un’università che sappiano fare della Sardegna una terra della conoscenza e della comunità educante dovranno necessariamente tener conto delle acquisizioni dei recenti progressi nello studio in vivo dei processi cerebrali e della loro connettività, dovuti alle tecniche di brain-imagining, che hanno aperto nuove strade per l’esame dei substrati neurali che supportano le funzioni percettive, cognitive e comportamentali. Che cosa ci dicono questi risultati? Che la mente è sempre incarnata, incorporata nell’organismo, e quindi è orientata, situata nella percezione-movimento del corpo che si ambienta nel mondo. Per questo la ragione non può essere considerata una funzione autonoma e assoluta, divisa dal corpo e non influenzata dalla emozioni e dalle passioni che lo animano.

      Le informazioni che ci provengono dal mondo esterno attraverso il nostro apparato percettivo confluiscono in uno scheletro motorio orientato all’azione, che guida le modalità di elaborazione di queste informazioni, le struttura e le organizza. Se prendiamo, ad esempio, la percezione visiva, sappiamo ormai che essa  si articola in tre stadi: 

      il primo stadio, che inizia nella retina, è l’elaborazione visiva di basso livello, che stabilisce le caratteristiche di una particolare scena visiva individuando la posizione di un oggetto nello spazio e identificandone il colore;

 il secondo, che prende avvio nella corteccia primaria, è l’elaborazione visiva di livello intermedio, che assembla semplici segmenti lineari, ciascuno con uno specifico asse di orientazione, ottenendo contorni che definiscono i confini di un’immagine, e costruisce una percezione unitaria della forma di un oggetto. Qui abbiamo la separazione dell’oggetto dallo sfondo in un processo chiamato segmentazione della superficie;

il terzo stadio, l’elaborazione visiva di alto livello, che si dipana lungo la via dalla corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore, stabilisce categorie e significati. Qui il cervello integra l’informazione visiva con l’informazione pertinente proveniente da una varietà di altre fonti, e ci permette di riconoscere oggetti specifici, volti e scene.

In ogni momento in cui i nostri occhi sono aperti, le cellule di orientazione della corteccia visiva primaria stanno costruendo gli elementi del disegno della scena davanti a noi. Inoltre, la corteccia visiva primaria utilizza le regioni inibitorie dei campi percettivi di quei neuroni per accentuare le linee di contorno dell’immagine. L’informazione proveniente da tutte le aree specializzate che, oltre alla corteccia visiva primaria, continuano il compito di analizzare e isolare, o segregare, i dati sulla forma, il colore, il movimento e la profondità, viene disaggregata e convogliata separatamente alle regioni cognitive superiori del cervello, tra cui la corteccia prefrontale, dove infine è coordinata in un’unica, identificabile percezione sempre orientata e finalizzata all’azione.

Quindi la visione non è semplicemente una finestra sul mondo, ma davvero il risultato dell’elaborazione attiva del cervello. Il sistema visivo, come tutti i nostri apparati percettivi, è fatto per agire ed è strettamente e indissolubilmente connesso al sistema motorio, dal quale derivano particolari percezioni, come quella dello spazio. Per questo è impossibile separare la mente dal corpo, il cervello dalla mano e i metodi più efficaci di insegnamento delle discipline scientifiche sono ispirati e guidati dal principio delle “mani in pasta”, titolo, non a caso, del programma di riforma, a partire dalla scuola dell’infanzia e primaria, avviato in Francia nel 1996 per iniziativa di Georges Charpak, premio Nobel per la fisica, e di Pierre Léna e Yves Quéré, con il sostegno dell’Académie des sciences e dell’École normale supérieure.

C’è un solo circuito del nostro cervello che si sottrae a questo orientamento all’azione, ed è il Default-Mode Network (DMN), una rete neurale distribuita in diverse regioni corticali e sottocorticali, che viene generalmente attivata durante le ore di riposo e di attività “passive”. Questa rete si attiva proprio quando il lavorio della mente non è rivolto a stimoli esterni ma verso il mondo interno. Pur non occupandosi delle usuali faccende quotidiane il metabolismo del cervello è intenso, cioè la corteccia consuma una gran quantità di energia e sono all’opera diverse componenti del sistema cerebrale: il lobulo parietale inferiore, la corteccia cingolata posteriore, la corteccia prefrontale ventro-mediale e la formazione dell’ippocampo. Si tratta di un sistema di aree cerebrali dense e fitte di connessioni.

Questa rete è associata a processi mentali definiti “immagini e pensieri non correlati a un compito” e si attiva, ad esempio, quando gli individui pensano al loro futuro costruendo una “scena mentale” basata sulla memoria episodica. Alcune sue componenti forniscono quindi informazioni provenienti da esperienze pregresse sotto forma di ricordi e associazioni che costituiscono i mattoni della simulazione mentale e dell’immaginazione.

Il Default-Mode Network è pertanto fondamentale per utilizzare le esperienze passate al fine di progettare il futuro, individuare le interazioni sociali e massimizzare l’utilità dei momenti in cui ciascuno di noi non è direttamente impegnato nel mondo esterno e la sua attività mentale, come si diceva, è diretta verso i canali interni. In queste fasi non si ha un pensiero ordinato e organizzato, ma piuttosto un agglomerato di istanti e di frammenti di esperienza interiori, miscugli saltuari fatti di sogni a occhi aperti, di fantasticherie, di monologhi interiori vaganti, di immagini vivide che contribuiscono molto alla formazione e al benessere della persona umana.

Il Default-Mode Network spiega quindi alcune condizioni neuropsicologiche importanti ed evidenzia la funzione fondamentale del “sogno a occhi aperti”, di quella sorta di mondo intermedio tra il sogno vero e proprio e il momento introspettivo, come se si fosse svegli ma non davvero presenti a se stessi, mondo nel quale cominciano tuttavia a emergere e a prendere forma le visioni orientate al futuro e i relativi progetti.

Di queste visioni e di questi progetti fa parte il “sogno a occhi aperti” di una scuola e di una università che riescano a coordinare, ad armonizzare e a organizzare in un sistema integrato i delicati e complessi meccanismi che costituiscono la mente umana, trasformandola in una “mente ben fatta”; che sappiano opporsi e reagire all’impoverimento del sé e riescano a trasformarlo in qualcosa di integro, in grado di agire nel modo dovuto sulla base delle informazioni e delle conoscenze di cui dispone il suo apparato percettivo e cognitivo ma anche capace di costruire scene mentali e visioni del futuro, utilizzando nel modo migliore sia le esperienze passate e gli insegnamenti che se ne possono trarre, sia le possibilità e le capacità di previsione di cui possiamo disporre.

Una scuola e un’università di questo genere sono l’unica vera arma di cui la Sardegna possa disporre per sottrarsi alle servitù e ai colonialismi di ogni tipo (anche interni!) che la opprimono e ne frenano la crescita e per avviare e realizzare politiche autocentrate di sviluppo. Si lo so, è un sogno a occhi aperti, ma da questi sogni, come ci hanno insegnato Martin Luther King, Nelson Mandela e tanti altri “profeti disarmati”, possono nascere, se si è tenaci e capaci, vere e proprie rivoluzioni pacifiche che cambiano il destino dei popoli.

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