Giornata della memoria: Doro Levi l’archeologo dimenticato [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 27 gennaio2018. L’intellettuale ebreo nel 1935, a causa delle leggi razziali, fu costretto a lasciare la carica di Soprintendente e la Sardegna per trasferirsi negli Stati Uniti. Per Oscar Wilde “Chiunque può fare la storia. Solo un grande uomo può scriverla”. Non vi è dubbio che Doro Levi fu grande uomo e autorevole archeologo La sua vita ha l’andamento di un romanzo che riassume il Novecento con tutto il ventaglio di situazioni che da private si allargano a ricomprendere gli eventi epocali del “secolo breve”. Quando morì nel 1991 i giornali scrissero che era morto il Nestore dell’archeologia italiana e dunque un re tra più saggi e longevi. Lo furono altrettanto i nostri Giovanni Lilliu ed Ercole Contu che con lui ebbero assiduità e familiarità. Il primo collaborò, tra il 1937 e il 1938, a scavi e ricerche e fu da lui spinto, come amava ricordare, “alla pubblicazione del mio primo articolo archeologico, che è un po’ come il primo amore”. Il secondo, dopo aver frequentato nel 1958 la Scuola archeologica italiana di Atene, che Levi diresse per trenta anni dal 1947, partecipò sotto la sua guida allo scavo del Palazzo minoico di Festòs a Creta. Doro Levi nacque nel 1898 da una famiglia della borghesia mercantile in quel melting pot austro-ungarico ormai al tramonto e in quella Trieste dalle mille lingue e culture, abitata da una cospicua comunità ebraica, dove traffici e affari convivevano con le narrazioni e i versi di Umberto Saba e di Italo Svevo e dove approdò nel 1905 James Joyce che, nella vicina Venezia, convinse Ezdra Pound a diventare suo editore. Doro Levi fu irredentista e patriota e partecipò volontario, come molti coetanei, alla prima guerra mondiale; scelta che non lo salvò, vent’anni dopo, dalle leggi razziali. Gli studi antichistici lo portarono nel Mediterraneo orientale perché “tutto nasce in oriente, si consolida in occidente, e ritorna in oriente” come scrisse Baldassare Conticello nella bella autobiografia “Scuola d’archeologo” (L’Erma di Bretscheider, 2005); viaggio a ritroso, sotto le spoglie di Biagio, nei luoghi del suo anno alla Scuola di Atene nel 1956. Vi si staglia la figura di Doro Levi, suo maestro e mentore a cui la persecuzione fascista non aveva tolto verve e battute, intelligenza e capacità di relazione, amore verso la didattica, i giovani, l’archeologia, e la nostra isola. Per intendere la sua funzione nella ricostruzione della Sardegna antica si possono percorrere, a volo di uccello, i luoghi diventati, grazie a lui, tra gli eminenti dell’archeologia sarda: la necropoli neolitica di Anghelu Ruju ad Alghero, scoperta nel 1904 da Antonio Taramelli; i bronzi nuragici di Bolotona; Serra Orrios a Dorgali; i complessi di Cabu Abbas ad Olbia e di Monte a Telti; i pozzi sacri di Su Trabuccone, Sa testa, Milis a Golfo Aranci; le necropoli punico-romane ad Olbia; l’ipogeo di San Salvatore di Cabras; il ponte romano presso Oristano; l’Anfiteatro e il tempio di Via Malta a Cagliari. Si deve a lui l’Antiquarium Arborense perché ottenne che il Comune di Oristano acquistasse la Collezione Pischedda e impedì che la collana in pasta vitrea di Olbia venisse data a Goering. Va da se che la densità storica, tutelata dall’art. 9 della Costituzione, esiste a prescindere da storici e archeologi ma il suo riconoscimento misura lo sguardo sapiente di un popolo e il suo tasso di studio, ricerca, educazione e quindi di autocoscienza. Doro Levi vi contribuì non poco. Era arrivato a Cagliari nel 1935 come docente di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana e come Soprintendente alle Opere d’antichità e d’arte della Sardegna. Era un trentenne con una vasta esperienza di studi che abbracciavano tutti i periodi e le geografie dall’Etruria alla Grecia, da Creta a Cipro e al vicino Oriente. Colto e poliglotta con una fitta rete di relazioni internazionali con la cultura cosmopolita che abitò, nella prima metà del Novecento, l’archeologia, la storia dell’arte, l’arte, le ambasciate e le diplomazie dell’Europa e dell’Africa e dell’Asia mediterranee. Doro Levi mise a disposizione quel solido tessuto persino per la Mostra augustea della romanità, inaugurata a Roma nel settembre del 1937, elogio alla mitopoietica romanocentrica e razzista, anticamera a quelle leggi razziali che, nel settembre del 1938, Mussolini rese pubbliche nella sua Trieste e di cui fu vittima con migliaia di italiani. A Firenze, sua seconda patria, Levi aveva frequentato nella villa “ I Tatti” la cerchia di Bernard Berenson che lo avrebbe agevolato quando, nel dicembre del 1938, dovette lasciare Cagliari per l’America. Fu prestigioso docente a Princeton fino al 1945. L’anno dopo, reintegrato nella cattedra a Cagliari, preferì la tutela del patrimonio contribuendo a salvare l’Anfiteatro che nel 1945 Vincenzo Arangio Ruiz, già docente di Diritto romano in città, aveva da ministro cercato di mettere al sicuro. Mentre nel 1947 partiva per la Grecia, all’Università di Cagliari arrivava come docente Ranuccio Bianchi Bandinelli, antico rivale e ormai alleato nella tutela archeologica. Succede ai grandi. In città era rimasto Francesco Soldati, insostituibile alter ego negli scavi. Giunto con lui dalla Toscana volle essere cagliaritano e patriarca di una famiglia in cui due dei figli ebbero i nomi Doro e Anna, in omaggio a Levi e alla raffinata moglie greca. Ma questa è un’altra storia ancora. =Foto: Doro e Anna Levi (Si ringrazia la famiglia Soldati ed in particolare Anna Boi Soldati per la gentile concessione) |