Le lacrime del comandante [di Guido Pegna]

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 “L’unica prova di cui avevo bisogno per l’esistenza di Dio  era   la musica”  (Kurt Vonnegut). Mentre quella sera del marzo 1943 i forni crematori avevano continuato a lavorare a pieno regime, come in tutti i giorni precedenti e per tutte le 24 ore, e la Germania continuava ad andare in polvere sotto i bombardamenti alleati come nelle settimane precedenti, il comandante del campo, con l’animo oppresso da un inesprimibile dolore piangeva per la morte di Isotta.

Alto, inappuntabile nella nera austera divisa delle SS, aveva i capelli radi e color sabbia, le gote pallide, i polsi ossuti; anche le sue lunghe mani da studioso erano pallide, come se avesse trascorso tutta la sua vita all’ombra. Egli sedeva su una comoda poltrona nel suo ufficio ben riscaldato, avendo alle spalle lo scaffale con gli schedari dei numeri tatuati sul polso dei prigionieri non immediatamente mandati nelle camere a gas; sul bel tavolo di mogano al suo fianco, fra le poche carte, giaceva la lettera di Himmler appena arrivata che si congratulava  per la sua efficienza nell’attuazione della “soluzione finale” e lasciava intendere la possibilità di una prossima promozione.

Sorseggiando di tanto in tanto del buon caffè bollente servitogli da uno smagrito schiavo polacco vestito di tela a righe e zoccoli di legno, mentre fuori dell’ufficio l’orrore demoniaco procedeva come un meccanismo ben oliato senza dargli troppe grane, il hauptsturmfürer delle SS Josef Kramer ascoltava l’ultimo atto del Tristan und Isolde e piangeva, disperatamente commosso per Isolde che si stava lasciando morire per amore. Sentiva vivissimo nella sua anima lo stesso desiderio di annullamento.

L’opera, che era incisa su tanti dischi a 78 giri, era stata registrata pochi giorni prima e lui, grande ammiratore di Wagner, ne aveva avuta una delle copie di prova grazie alle sue influenze come potente ufficiale delle SS.  Il magro polacco aveva l’ordine di riportare la puntina all’inizio del disco, l’ultimo della serie, quello dell’ultima straziante implorazione di Isolde, ogni volta che il meraviglioso accordo finale del Tristano si  spegneva.

All’ultimo altissimo grido di Isotta l’ufficiale piangeva senza potersi dominare, e continuava disperato quando  con le ultime parole cantate con voce sempre più soffocata e dopo un attimo di requie Isotta moriva, e l’orchestra suonava l’ultimo prolungato commovente accordo finale1.

Malgrado tutto e quasi inspiegabilmente quella incisione non è andata perduta. Essa è disponibile2, e ascoltandola anche io mi sono commosso e ho pianto.  E chiedevo al mio amico Diego: come è possibile che l’anima mia e quella dell’esecutore di quell’orrore abbiano qualcosa in comune? Come può questa musica, che era coerente con quella cultura che richiedeva la distruzione di intere etnie, della morte di massa attuata con noncurante indifferenza, della plumbea voluttà di dissoluzione che la permeava, come può dunque questa musica essere così potentemente pervasiva e agire così profondamente anche sulla mia anima?

Note

 1.  In una lettera a Mathilde Wesendonck, Wagner definì il proprio lavoro [il Tristan und Isolde] ”  qualcosa di terribile, capace di rendere pazzi gli ascoltatori”.

 2. Tristan Und Isolde 1943, in una meravigliosa incisione fatta in condizioni molto  difficili, negli intervalli fra i bombardamenti, con l’orchestra della  Staatskapelle di Berlino con la direzione di Robert Heger e con Max Lorenz, Eberhard Buchner, Margarete Klose; in: https://www.amazon.co.uk/Tristan-Isolde-May-1943-Lorenz/dp/B0000023RW.

 

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