Insularità e profezie [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 2 febbraio 2018. Il Dibattito. Per alcuni la decisione dell’Ufficio regionale del Referendum di dichiarare illegittimo il quesito proposto dal Comitato è incomprensibile. Per altri scontata perché chi è affetto dalla sindrome del figlio cadetto prova persino compiacimento ad essere disconosciuto. Per altri ancora rinfocola il grumo di rancore che frequenta le pedagogie di molti sardi, un alibi all’impotenza. Per molti infine è la profezia che si auto avvera. Sembrava troppo facile che, in un amen, si fossero raccolte quasi 100.000 firme; tenuti dibattiti e affollate conferenze; che componenti politiche e sociali, di diversa origine, si trovassero d’accordo con l’agenda che il Comitato andava promuovendo. Tutto troppo. Ma chi conosce le bizzarre traiettorie che le vicende sarde assumono era consapevole che il percorso del riconoscimento del principio di insularità sarebbe stato difficile, come tutte le volte che ad un paradigma se ne voglia sostituire un altro. Perché si tratta della storia di uno consolidato che si sta sgretolando e oltrepassando. Si è infatti definitivamente consumato il dizionario che per decenni ha frequentato la retorica politica: decentramento, autonomismo, specialità; parole di colpo diventate fruste. Insularità, così essenziale ed esaustiva, è la parola risolutiva. Non abbisogna di aggettivi ma di nuovi linguaggi i cui referenti non siano più decisori politici autoreferenziali. Ecco perché è portatrice di consenso e di migliaia di firme di sardi e sarde. Il temporaneo stop dell’Ufficio regionale del Referendum fa parte integrante della teoria del superamento del vecchio paradigma; è possibile che abbia persino la sua utile strumentalità. Intanto consente di continuare nella traiettoria di senso che ha il suo fulcro nel concetto di insularità e che, attraverso azioni positive, agisce nell’immaginario collettivo dei sardi. Definitivamente, perché ha finito per declinarsi con parole altrettanto autentiche e potenti quali reciprocità, interdipendenza, responsabilità, pari opportunità, inclusione, liberandosi di quel risentimento che, in Sardegna, attraversa relazioni, dinamiche, politiche. Finalmente ogni sardo libero come un qualsiasi europeo per il quale quando si dice speciale non si intende, come in Sardegna, svantaggiato. Perché essere isola non è svantaggio se si è sgravati dalle condizioni ostative e da servitù di cui quella della mobilità è una delle tante. Come è stata allora possibile un’interpretazione così burocratica da un Ufficio di nomina regionale, che di fatto nega il diritto dei sardi ad utilizzare lo strumento referendario? Perché voler ritardare un percorso di autocoscienza? La Gran Bretagna vive in condizioni di insularità ma pure Creta, Corsica, Cipro e forse qualcosa di peggio. La Sardegna non è sola nella sua condizione ma, storicamente, l’ha vissuta con la percezione, ormai equazione, di “insularità uguale isolamento” che ha avuto un doppio effetto: da una parte, qualsiasi situazione di svantaggio, spesso a causa di classi dirigenti inadeguate, si è giustificata con l’isolamento. Dall’altra, la specialità ha consentito di considerare la Sardegna territorio d’oltre mare; il suo sviluppo una fattispecie del sottosviluppo; la sua storia una variante etnocentrica; le sue classi dirigenti complici a patto di essere considerate uguali. Ecco perché oggi qualcuno tace o è indifferente e altri danno l’impressione che la dichiarazione di illegittimità del quesito sia corretta. Ma è tutt’altra e si dimostrerà. Nel mentre tutti dobbiamo mandare a memoria che il principio di insularità insiste, prima di tutto, sul concetto di pari dignità e di superamento di ogni discriminazione. Perché non solo di soldi si tratta, quanto di consentire alle future generazioni sarde di avere lo stesso punto di partenza degli altri. Mobilità, cultura, piccole e medie imprese, industria, tecnologie e comunicazioni, in Sardegna, soffrono oggi di un surplus di ostacoli che sta trasformando uno dei baricentri del mondo antico in una terra irraggiungibile e isolata. Ma non dipende dall’essere un’isola. |
Sono uno dei centomila firmatari, rimasto senza parole dalla decisione dell’Ufficio regionale di dire no al referendum sull’insularità. Perché meravigliarsi se molti sardi, che vivono ancora l’insularità come svantaggio, continuano ad essere diffidenti nei confronti delle classi dirigenti, di chi amministra la cosa pubblica sia a livello locale che nazionale? Bene ha fatto la professoressa Maria Antonietta Mongiu ad insistere “sul concetto di pari dignità e di superamento di ogni discriminazione.