Insularità: vincolo o opportunità? [di Francesco Sechi]
Nell’acceso dibattito sul quesito referendario per l’inserimento del principio di insularità nella costituzione, troppa enfasi viene data ai “costi” dell’insularità facendo emergere la stessa come una condizione negativa. In realtà come anche evidenziato da Maria Antonietta Mongiu in sue recenti dichiarazioni e nel suo articolo pubblicato il 2 febbraio da L’Unione Sarda, di per sé “essere un Isola può non essere uno svantaggio”. Io azzarderei anche che essere un “Isola” è un vantaggio, un vantaggio che viene dato da quello stesso mare che la circonda, e la isola, e i cui confini abbiamo anche voluto fortificare, valorizzandoli nella loro condizione naturale, attraverso il Piano Paesaggistico Regionale delle aree costiere. Che cosa sarebbe la Sardegna se fosse collocata in mezzo alla Pianura Padana dove sarebbe servita da un’accessibilità di primo livello basata su una rete di autostrade e ferrovie ad alta velocità? Sicuramente sarebbe più dinamica, perché i territori accessibili sono di per sé dinamici, ma non necessariamente più ricca, se per ricchezza intendiamo quel patrimonio inespresso che la caratterizza dal punto di vista ambientale, storico ed archeologico formatosi proprio per la sua condizione di “isola”. Inespresso nel senso che oggi non appare in grado di trasferire ricchezza economica ai sardi i quali, in questa condizione di povertà, sentono il peso del costo aggiuntivo del trasporto per spostarsi al di fuori dalla Regione. Tuttavia il problema non è quanto mi costa un chilo di pane ma quanto è il livello del mio stipendio in relazione al costo di un chilo di pane. Il problema è che l’economia isolana, non è in grado di sopperire, con il suo livello di ricchezza, al maggior costo di trasporto rispetto alle regioni continentali, più accessibili, ma che tuttavia non hanno l’opportunità di esprimere le ricchezze proprie di un’isola. Allora, se guardiamo la condizione di insularità prevalentemente nel suo lato negativo, facciamo la figura degli “elemosinanti” che stanno sempre a chiedere soldi allo stato centrale, soldi che ci vengono concessi magari in cambio di servitù. Il principio di “insularità” vuole invece semplicemente esprimere la presa coscienza di una particolare condizione che, a partire da un dato di fatto caratterizzato da una minore accessibilità da e verso l’esterno, necessita di strumenti in grado di far esprimere al meglio la propria ricchezza con la quale potrà superare, economicamente, i maggiori costi di trasporto rispetto alle altre regioni. Ma per poter esprimere la propria ricchezza la condizione necessaria è l’assenza di servitù imposte da fuori, con particolare riferimento all’industria pesante, come quella legata al petrolchimico, che oggi riprende vigore con il progetto dei rigassificatori, e che non ha portato alcuna ricchezza al territorio. Perché condizione di insularità significa principalmente una cosa: in un’isola le scelte di sviluppo sbagliate creano delle condizioni da cui è molto più difficile tornare indietro. *Ingegnere trasportista |
Condivido l’approccio non conformista alla problematica dell’insularità. Io ho firmato perché il referendum si tenesse. Tuttavia già a chi ha raccolto la mia firma ho spiegato che ero tutt’altro che sicuro che al referendum avrei votato si. Oggi penso che se il referendum si terrà voterò no.
Per il motivo che secondo me l’insularità comporta molti “contro” ma anche molti “pro”. Pensiamo, come dice l’autore dell’articolo, alla Sardegna in mezzo alla valle padana. Dal punto di vista dei trasporti sarebbe una posizione ideale.
Ma a quante cose positive dovute all’insularità dovremmo rinunciare in cambio? All’aria che viene dal mare, al maestrale, alla nostra biodiversità, … E’ vero che in pratica si chiedono solo trasporti a prezzi (non costi, perché questi ci sarebbero comunque, solo che li pagherebbe qualcun altro) agevolati. Ma questo si chiama assistenzialismo.
Sono molto d’accordo in particolare su quanto viene detto nell’ultimo paragrafo. Occorre cambiare radicalmente il modello di sviluppo. Puntare prevalentemente sulle risorse locali. Soprattutto quelle agroalimentari e turistiche.
Anche la cosiddetta continuità territoriale. Così come viene concepita ora mi sembra un’assurdità. Solo a certe ore e su determinati voli. Non sarebbe meglio col sistema dei rimborsi? Se io ne ho diritto, viaggio all’ora, sul volo, per la destinazione che mi occorre e poi vengo rimborsato per quanto ho speso in più.
D’accordo su tutto, ma, visto che lei stesso chiude l’articolo affermando-in un’isola le scelte di sviluppo sbagliate creano delle condizioni da cui è molto più difficile tornare indietro- le chiederei di andare oltre e quindi di aprire il dibattito sul tema: Quali scelte portare avanti per lo sviluppo della Sardegna.