Addio Folco Quilici, sguardi sul mondo [di Fabio Francione]

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IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE. 25.02.2018 Personaggi. È morto a 88 anni lo scrittore, naturalista e documentarista, entrato nelle case degli italiani nei ’60 attraverso la televisione e diventato in breve una figura «iconica» È morto a 88 anni in una clinica di Orvieto, Folco Quilici.

Nonostante acciacchi e problemi di salute, per anni continuò a far la spola tra la sua factory romana e la casa che aveva in Umbria. Iconico quanto mai altri, negli anni sessanta Folco Quilici era entrato in punta di piedi, attraverso la tv, nelle case degli italiani e ci restò a più riprese per quarant’anni con i suoi programmi, spesso realizzati in anticipo sui tempi in coproduzione con la Rai e la complicità di aziende e industrie.

In tal senso e tra i lampi della sua sterminata produzione, spiccano i 14 episodi de L’Italia vista dal Cielo, realizzati nell’arco di poco più di un decennio, tra la metà degli anni sessanta e la seconda parte del decennio successivo. Sembrano leggere a tappe e con i commenti dei migliori scrittori dell’epoca (Silone, Piovene, Dessì, Calvino), la celebre fisionomia dello Stivale come una serie di stratificazioni storiche e urbane di rara bellezza. Una condizione che se da un lato poteva attirare frotte di turisti dall’altro ha consentito, quasi controcorrente, di correggere proprio molti luoghi comuni che, ancor oggi sono duri a morire e stringono a tenaglia il Belpaese.

Inopinatamente dell’Italia vista dal cielo non esiste nessuna edizione in dvd, ma con pazienza e ne vale la pena la ricerca su YouTube dà disponibile l’intera trasmissione. Dunque: Quilici fu riconosciuto immediatamente dal pubblico televisivo come l’uomo delle imprese impossibili. Nessun continente sembrava avere più segreti, i mari e i deserti di mezzo mondo in un’epoca non ancora globalizzata come la nostra con le sue parole sembravano dietro l’angolo e non lontani ed irraggiungibili come in realtà erano.

Ragazzi e adulti impazzivano per le sue avventure; ma a dispetto delle imprese sottomarine o le lunghe attraversate nei quattro angoli del pianeta, per portamento e tono della voce, con la sua pronuncia chiara e arrotata, la sua era una televisione confidenziale, divulgativa, né urlata né scandalistica ed esempi di tal genere arrivavano dal cinema e dai successi di Jacopetti; e come ricorda Franco Prosperi, Quilici, tra i primi e con pochi altri alla fine degli anni 50 a girare documentari naturalistici, fu sferzante non tanto sui Mondo Movie, ma forse sul solo Jacopetti: «Certamente offrivano degli spunti. Però noi volevamo fare qualche cosa che fosse contrario ai cliché con i quali venivano mostrati i diversi paesi».

Lo sguardo cadeva sempre sul loro lato migliore, mentre la parte nascosta non si vedeva mai». Insomma con il trascorrere degli anni tali giudizi si mitigarono; d’altronde Quilici negli anni ’60 subì brevemente la fascinazione «mondo» con il rifiutato Le schiave esistono ancora e ancora all’inizio degli anni ’70 con Il dio sotto la pelle, uno dei rari film di finzione con il deamicisiano Dagli Appennini alle Ande, girato però nel 1959.

Ma per il regista – esploratore ferrarese il sorprendente e meraviglioso non andranno mai a braccetto con i protagonismi suscitati dal successo e dalla popolarità. Possedeva un’innata coscienza ecologica e nel suo sguardo convivevano lumi leopardiani e francescani che ne lenivano disagi: rispetto e timore per Madre Natura e amore per tutte le creature viventi. Il suo modo di filmare sia negli abissi marini sia negli spazi vuoti e infiniti degli altipiani africani era condotto sempre alla ricerca del vivente, della presenza dell’organico.

Gli oggetti rudimentali, primitivi o ultra-tecnologici erano solo mezzi quotidiani d’uso sui quali costruire le sue narrazioni. Ciò apriva squarci inediti non solo nei racconti autobiografici, ma anche nei romanzi, molti autentici best-sellers, contati nei generi avventurosi, storici e per ragazzi (da verificare è questa produzione ancora presente negli ultimi anni (dalla letture per le scuole medie Africa Nera ai racconti di Amico Oceano, Nonno Leone).

C’è un lato oscuro nella biografia di Quilici e riguardava la famiglia e la tragedia che giovinetto l’aveva colpito e segnato. Nato a Ferrara il 9 aprile del 1930, sin dalla giovinezza in casa respira aria di cultura, la madre Emma Buzzacchi è pittrice d’ispirazione novecentista, mentre il padre Nello è scrittore e giornalista, già combattente sul Carso, aderisce in prima ora al fascismo: è amico e ghost-writer di Italo Balbo. E del gerarca fascista condividerà il tragico destino; infatti era a bordo dell’aereo abbattuto da fuoco amico al largo di Tobruk.

Folco tornerà in più occasioni sulla vicenda del padre, tentando di dare una spiegazione all’accaduto, uno dei tanti misteri d’Italia, scrivendo in tarda età un libro e realizzando un documentario segnati dal luogo e dalla data della tragedia: Tobruk 1940.

I conti con il fascismo Quilici li aprì nel 2000 dirigendo per la serie Storia d’Italia un film di montaggio sul periodo della Repubblica Sociale Italiana ed usando per prima volta il termine coniato da Claudio Pavone di «guerra civile» per gli scontri tra i repubblichini e i partigiani.

Per chiudere e dare l’esatta misura dei riconoscimenti ricevuti dai film di Quilici, ecco uno spiccio elenco: Sesto Continente (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), Ultimo Paradiso (Orso d’Argento alla Berlinale del 1956), Tikoyo e il suo pescecane (Premio Unesco per la Cultura del 1961), Oceano (Premio Speciale Festival di Taormina del 1971 e Premio David di Donatello 1972), Fratello Mare (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino, Cartagena, 1974) e Cacciatori di Navi, 1991 (Premio Umbria Fiction, 1992).

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