Tutto si deve tenere, cultura e operai [di Umberto Cocco]
Mercoledì sera un corteo di ragazzi e adulti ha percorso le strade di Noragugume, giovedì sono tutti tornati ai funerali degli uccisi. Venerdì mattina a Nuoro la Confindustria ha fatto un convegno su cultura e impresa, con l’editore Alessandro Laterza. Tutto si tiene, si tiene anche l’incontro con i sindaci fatto da Francesco Pigliaru a Tramatza giovedì mattina, un bell’incontro (in quel brutto luogo, una stazione di servizio). E tornano i temi del dibattito intorno al libro di Antonietta Mazzette sullo spazio pubblico urbano, i luoghi, e le occasioni, di aggregazione di città (e di paese). A Noragugume hanno ucciso domenica un padre e il figlio di 26 anni nel loro ovile, e come si dice torna lo spettro della faida che 15 anni fa provocò 8 morti. Un’altra famiglia è stata sterminata, letteralmente, cancellata dalla faccia del paese, i Nieddu non hanno più parenti a Noragugume, il giovane Umberto era una presenza nella vita sociale della zona, coltivava i suoi rapporti da poco anche su facebook e “what’s app”, nelle pizzerie di Macomer, Borore, Sedilo, Dualchi qualche sera alla settimana al ritorno dall’ovile. I lutti in questa dimensione sono collettivi sempre, queste uccisioni sono lutti lunghi, profondi, non è possibile estraniarsi, non entrarci per nulla, non sono mai “affari loro”. Si abbattono sulla vita dei paesi e la stroncano. Il sindaco Michele Corda era commosso, l’hanno colto i giornali, a vedere la folla di ragazzi di tutte le età e i loro padri e i nonni al corteo. Una folla di almeno 250 persone nel paese di 350 abitanti, i ragazzi composti, commossi anche loro, una candela in mano, in una serata tiepida, facevano massa, con uno striscione davanti (Noragugume dice basta violenza) e il corteo silenzioso dalla chiesa alla casa dei due uccisi, era enorme il senso di vuoto. Ha detto al cronista Michele Corda: “Questo è il paese nel quale mi riconosco”. Quella massa così compatta e forte sia pure nell’abbattimento, non se la ritrova mai nella vita del paese, nei giorni buoni. Non fa comunità se non nel lutto, e davvero i funerali nei nostri paesi sono le ultime sia pur frequenti occasioni di aggregazione. Il paese è piccolo, è bello, ha una vasta campagna presidiata da nuraghi, segnata dai muretti a secco in basalto, 350 abitanti sul ciglio dell’altipiano che guarda alla valle del Tirso, alla piana di Ottana, la piana irrigua dove sono le aziende di allevamento anche molto grandi (di duemila pecore) per la dimensione media della Sardegna, e la fabbrica che in parte cade nel proprio territorio, che ha dato lavoro, ne continua a dare nonostante tutto. Quei ragazzi devono avere una speranza, in fondo lo urlavano questo bisogno. Hanno un sindaco che è un ottimo sindaco da molti anni, impegnato nella società, nel partito (era felice per il risultato delle primarie del Pd a favore di Renzi a Noragugume), nelle istituzioni, presidente del Consorzio industriale di Ottana con molta serietà e dedizione, un motorino dell’Unione dei Comuni del Marghine, aggregativo più dei sindaci dei paesoni più grandi, concreto, in tutte le reti che pensa siano utili alla sua comunità, ha relazioni, curiosità, scambi. Ha fatto arrivare soldi, costruire opere pubbliche, tiene in efficienza la rete delle strade di penetrazione agraria, tiene aperta una bella biblioteca nelle sale al piano terra del municipio, con la bibliotecaria a ore. Cosa bisogna fare di più? Una fucilata rende inutile tutta questa fatica, uccide anche chi sopravvive, la violenza anche se così mirata, ha forza sterminatrice, il solitario assassino è un dominus magari inconsapevole più forte di una democrazia. Allora? Bisogna ricominciare ogni volta. Le piccole e le grandi comunità a progettare il futuro, pensando, per non abbattersi, e ricominciare, che qualche violenza è stata evitata dal bravo educatore della scuola materna ed elementare e media, a Noragugume e a Sedilo e ovunque dove ancora qualche modello sbagliato fa breccia e si insinua. Un sindaco può? Sì, mai da solo, né a Cagliari né a Noragugume. Un genitore sì, mai da solo. Persino i partiti possono e devono, attenzione a presumere di poterne fare a meno, a rassegnarsi al leader visibile e di movimento che tutto fa, in tv. Cose vecchie, le diceva (la scuola, la cultura) Antonio Pigliaru 50 anni fa, e Francesco Pigliaru le dice ora persino con qualche sbilanciamento tutto-scuola che gli è stato rimproverato dai suoi nelle prime uscite elettorali. Ha detto a Tramatza l’altra mattina davanti ai sindaci del centrosinistra che la Regione è centralista, volgarmente di nuovo erogatrice di contributi, distributrice di risorse (agli amici di partito, di corrente, di collegio elettorale), anche per la frantumazione dei territori, il ritardo nel concepire un nuovo assetto istituzionale, le resistenze alle unioni dei comuni, l’arroccamento nella dimensione insostenibile del paese piccolo o anche medio che non regge più. Né Macomer né Ghilarza hanno futuro, e si vede, si vede più che a Noragugume e a Sedilo. Sassari è in declino nonostante qualche boria sopravvivente anche in ambienti còlti, lo ha capito e detto l’altro giorno Roberto Segatori dell’Università di Perugia al dibattito sul libro di Antonietta Mazzette “Pratiche sociali di città pubblica”, editore Laterza. Alessandro Laterza (amministratore della omonima casa editrice e vicepresidente per il Mezzogiorno di Confindustria) era a Nuoro venerdì mattina al dibattito (della Confindustria) su cultura, impresa, distretto culturale. Dibattito un po’ vecchio, incerto al bivio fra cultura e folclorismo, fra cultura e turismo (dice Laterza: “Io vado in bestia quando si mette il turismo come ragione dell’investimento in cultura”), ancora troppi echi dell’imprenditore, fosse anche l’editore, che lamenta la solitudine e la sordità delle istituzioni quando semmai è tutto ed esclusivamente istituzionale e pubblico l’investimento in cultura anche nel Nuorese, per fortuna dei nuoresi. Il museo Man, il festival di Gavoi, l’acquario di Calagonone, la casa di Grazia Deledda, le eccellenze, i numeri dei visitatori (l’editore fa i conti, sono 50 visitatori al giorno a casa Deledda, cioè pochi), ancora l'”Atene sarda” in qualche intervento….. Va bene, ma nessun cenno alla scuola, in quattro ore, nonostante la presenza di una classe del liceo Asproni e di una dei ragionieri. Laterza prova a dire: “la cultura è il grado di civiltà di chi sta qui, nei paesi e nelle città, di tutti. E’ il benessere diffuso”. Stronca anche il modellino dei distretti culturali che Antonello Menne ripropone da anni (Laterza: “Sono nati in Lombardia perché la Fondazione Cariplo aveva bisogno di individuare un assetto non localistico al quale dare i soldi, ma altrimenti non esistono, non sono un’entità se non vagamente descrittiva”), e insomma cosa resta? Che la Confindustria abbia un dirigente editore non di giornalini e tv, che fa cultura, ne parla con competenza. Che la Confindustria nuorese proponga il tema, abbia la cultura nella sua agenda, insieme a quello della difesa dell’industria di Ottana. Alessandro Laterza, senza che nessuno ne abbia parlato nel dibattito, parla anche dell’industria, di Ottana: da pugliese “mezzo tarantino – si definisce – che conosce i costi sociali e ambientali della fabbrica, conosce gli errori della programmazione nel Mezzogiorno”, e tuttavia dice che tutto si deve tenere, cultura e operai. “In fondo hanno fatto studiare i figli gli operai di Ottana”. Anche i pastori. Il distretto culturale è Noragugume, Silanus, Ottana non meno di Cagliari. Gavoi nei 360 giorni senza festival. |
Apprezzo molto l’attenzione data al convegno e i riconoscimenti fatti all’azione di Confindustria in tema di cultura. Permettimi però alcune precisazioni in merito a quanto riportato nell’articolo: 1) non è vero che il vicepresidente Alessandro Laterza abbia “stroncato” l’idea di Distretto Culturale. Anzi, come riportato puntualmente sulla stampa è vero il contrario. Laterza ha semplicemente introdotto alcune precisazioni sull’esperienza dei Distretti Culturali in Lombardia, modello che funziona al pari di altri progetti elaborati anche in altre regioni d’Italia, e penso al Distretto evoluto nelle Marche, al Distretto di Palermo e altri. 2) Altro punto, la scuola. Nel mio intervento ma non solo – e nonostante il tema della scuola non fosse al centro del nostro convegno focalizzato sul binomio cultura e impresa – ho più volte fatto riferimento all’importanza della scuola, al ruolo dei giovani e dell’Università a Nuoro e di altri enti di alta formazione, come per esempio l’Ailun e la biblioteca Satta. Sono istituzioni che vanno difese e sostenute garantendo loro finanziamenti certi. L’ho detto e lo ripeto, l’Università a Nuoro è per noi un must, non ce la deve toccare nessuno. Tanto è vero che Confindustria pone la scuola, e mi riferisco anche agli istituti superiori, tra le precondizioni per lo sviluppo del territorio, e questo l’abbiamo detto al convegno e l’abbiamo ribadito in altri documenti, come per esempio il “Progetto per la Sardegna centrale e le zone interne” che abbiamo presentato di recente ai candidati alla Presidenza della Regione alle prossime elezioni. 3) Terzo punto, importantissimo: nel nostro territorio c’è un problema di risorse, che arrivano a singhiozzo e in ritardo, non permettendo agli Enti di fare la dovuta programmazione. Per finire, se è vero che a Nuoro operano importanti istituzioni culturali pubbliche, non possiamo dimenticarci dell’importante patrimonio di imprese private che in provincia di Nuoro operano nel settore culturale. E durante il convegno ne abbiamo dato testimonianza. Spero ci siano altre occasioni di confronto su questi temi, un cordiale saluto, Roberto Bornioli (presidente Confindustria Sardegna centrale)