Lu Contu Curiosu ovvero de La Foca Monaca (IV) [di Franco Mannoni]

foca monaca

In una di quelle sere di veglia invernale qualcuno dei convenuti aveva tirato fuori la storia della foca monaca, ossia delle sue sporadiche comparse nelle Bocche, in mare aperto o presso la scogliera meno battuta dai marosi. Diceva anche che gli antichi ritenevano che incontrare lu Boju Marinu portasse salute e fortuna a chi ne avesse l’avventura.  Biriu, il vecchio pescatore in ritiro, disse che lui nella sua lunga vita di mare ne aveva viste di tutti i colori, nelle Bocche e nel Golfo a ponente, capodogli, balene, squali, tartarughe, ma mai aveva incontrato la foca.

-Per questo sei rimasto povero, lo rimbeccò fra il serio e l’ironico Bittedda.

-Ne sai molto tu, che più che il forno e le canestre non hai mai conosciuto!

Gianninu ascoltò, non intervenne, ma questo ripetersi degli accenni gli accese qualche curiosità. Tutto quel che riguardava il mare e il confine fra terra e mare, come la scogliera e la spiaggia, attraeva la sua attenzione, come se fosse materia a lui appartenente. Qualche giorno dopo fece una comparsa al caffè di Lariucciu, si soffermò in un gruppetto di coetanei. Si sa, era uno che parlava poco, ma era della compagnia. Si rivolse a Toninu Bitti chiedendogli se ne sapeva qualcosa di questo animale.

-Ma? Di persona non l’ho incontrato, però l’ho sentito nominare dai maddalenini. Lo chiamano Lu Ecchju Marinu, loro, e raccontano come se lo conoscessero.

-Neanche io, intervenne Capibiancu, che di pesca ne aveva fatta tanta, l’ho mai vista, la foca. Quando ho fatto il marinaio di leva se ne parlava. La chiamavano Morgana, come una fata, e dicevano che incontrarla portasse bene. Ma dalle nostre parti solo voci. Dicono che qualche esemplare è stato avvistato nelle vicinanze delle grotte, nelle zone più a ridosso dal maestrale. Altri, i Corsi, si vantano di ospitarla nelle profonde grotte scavate dal mare nella falesia di Bonifacio. Ma non sembrano convinti neppure loro.

-Però, riprese Bitti, tutti sono d’accordo nel dire che chi vede ‘Lu Boiu Marinu’ incontra la fortuna. Io non sono tanto credulone, ma se lo incontrassi lo guarderei bene in faccia. Non si sa mai!

Così, fra il serio e il faceto, lu contu curiosu   della Foca Monaca prese il suo posto nelle chiacchiere dei paesani e alimentò le fantasie di coloro che alle fantasie erano più inclini. Giannino non sarebbe appartenuto a questa categoria, però da allora in poi gli capitò, durante le sue escursioni lungo la costa, di rivolgere qualche sguardo indagatore verso le grotte o gli anfratti profondi all’interno dei quali presumeva potesse rifugiarsi il mitico animale. Fra credere e non credere……

Come noto, il mare, nel suo inesauribile moto, scarica sulla costa ogni genere di relitto. Allor non esisteva la plastica e perciò neppure i suoi residui. Sulle le rive, si accumulavano poseidonie strappate ai fondali, tavole, rami e tronchi d’albero.

Gianninu con il legname recuperato aveva costruito una sorta di capanno, un rifugio appoggiato a un ginepro curvato dal vento, che utilizzava talvolta par una sosta durante le battute di pesca, soprattutto come riparo in caso d’un cambio di tempo improvviso. Era una sorta di vedetta mimetica, collocata su uno sperone di granito a picco su una cala, dal quale poteva vedere in lontananza.

Un giorno della tarda primavera aveva calato in mare delle lenze di posta e sedeva accanto al capanno, in attesa. Vide qualcosa muoversi nella cala vicina. Qualcosa che procedeva a galla spostandosi verso il largo. Ne intravvide appena la schiena nera lucida e sentì come un soffio, uno sbuffo che gli parve quello di un delfino quando emerge. Ma non poté vedere con precisione, anche perché si trovava contro sole rispetto alla scena.

Scese verso la cala a rotta di collo, esplorò nei dintorni. Niente, nessuna traccia. Gli restò in testa questo strano segnale che non poté non collegare a tutti quei racconti sulla presenza della foca.

Cominciò a farsi l’idea che essa ci fosse in quelle scogliere, che la Morgana potesse rivelarsi a lui e così aprirgli un sentiero verso la fortuna. Decise che sarebbe tornato in quella zona, ma non parlò con nessuno della rapida visione che gli aveva fatto apparire come possibile ciò che veniva ritenuto solo frutto di fantasia. Temeva di non essere creduto e di formare oggetto di ironia.

Ritornò varie volte sulla scogliera al limite della cala dalla quale le si era appalesata la visione, ma non trovò conferme. Scese sulla breve mezzaluna sabbiosa e esplorò un anfratto formato dai lastroni di granito, all’interno del quale il mare si inoltrava a formare una verde piscina di acque calme.

-Forse me la sono sognata a occhi aperti la Foca Monaca, può darsi che ciò che ho intravisto fosse il movimento di un cormorano, mah ?!

Ritornò più volte nel tratto di scogliera nel quale aveva colto quel movimento che aveva pensato potesse essere della Foca. Era una zona buona per la pesca e per la raccolta di patelle e faoni, perciò valeva la fatica del percorso, per la gran parte in bicicletta e, nell’ultimo tratto, a piedi attraverso un impervio sentiero fra i graniti.

Cercava di allontanare il ricordo di quella che era stata una possibile apparizione, anzi di accantonare l’idea dell’insolito animale e del suo valore di portafortuna, di liberarsene.  Però là tornava, magari inconsciamente, come se attendesse di verificare. Un mattino andava scoglio scoglio per cogliere le opportunità che solo lui era capace di scoprire. Sentì uno sciabordio come di un corpo che si tuffa nell’acqua a pochi metri di distanza..  Si affacciò oltre la cresta che delimitava la cala e, questa volta sì, la vide.

Restando acquattato, appiattito su uno scoglio, immobile, il toscanello spento all’angolo della bocca, vide Morgana che risaliva goffamente su una lastra di granito per stendersi al sole. Un grande corpo tozzo che, uscendo dal mare, perdeva l’agilità che lo caratterizzava fra i flutti, ma riluceva al sole nel suo mantello bruno.

Ristette un poco ad osservarla, immobile, istintivamente pervaso dall’idea di farsi accettare, di non recare disturbo. Soprattutto di non vanificare l’incantesimo. La foca rivolse la testa verso di lui, come se lo avesse visto, muovendo le vibrisse che, intorno al muso, formavano come una raggiera. Gianninu, dal canto suo, non mosse un dito, paralizzato dalla meraviglia e dal timore di rompere l’equilibrio fragile dell’evento. Poi, lentamente, cominciò una marcia di avvicinamento, scendendo senza movimenti bruschi, verso il fondo della caletta dove si era accovacciata la foca.  Che a questo punto rivolse verso di lui il suo sguardo.

Gli occhi si incontrarono, si guardarono, per lo meno così sembrò a Gianninu, per qualche istante. Come se si conoscessero, senza reciproca diffidenza. Un istante, un minuto, un’ora: il tempo si fermò e si dilatò. Il cuore di Gianninu sembrava voler balzare fuori dal petto, le gambe gli tremavano.

Poi, con noncuranza Morgana spostò il corpo compatto e, scivolata in mare, acquisì il moto flessuoso e agile che la caratterizzava nel nuoto. E si dileguò, inutilmente inseguita dallo sguardo di Giannì. L’incantesimo si ruppe all’improvviso per l’irrompere della voce querula di  Mimmina:

-Giannìììììì, cosa ti è preso stamane che non ti sei ancora alzato! E mì che te li vedi i piedi!

Ebbe un momento di confusione, nel passaggio dall’incantesimo del sogno alla durezza consueta del reale.  Si stropicciò gli occhi, si scrollò d’un solo colpo di dosso la coperta, e, con essa, purtroppo, anche il sogno vissuto. (Fine)

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