Urbanistica in Sardegna. Prime riflessioni sui recenti interventi legislativi: dal Piano casa al Progetto di legge Pigliaru sull’urbanistica [di Paolo Urbani]

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1. Mi pare che il tema non sia solo quello del progetto di legge approvato dalla giunta ma di un insieme di norme che sono state introdotte in questi anni almeno dal 2009 – segnatamente quelle sul piano casa più volte modificate e direi anche l’ultima legge 3 luglio 2017 n°11.

Si tratta di norme quanto al piano casa che come sappiamo prevedono la possibilità di derogare ex lege alla previsione dei piani urbanistici prevedendo interventi di demolizione, ricostruzione e ristrutturazione ecc. mentre rispetto alla recente legge n° 11 del 2017 l’intervento del legislatore regionale è assolutamente eterogeneo e complesso e interviene sotto molto profili legati ad esempio ai titoli abilitativi, alla  semplificazione dei procedimenti di approvazione dei piani urbanistici, all’ampliamento delle attività di edilizia libera  ai cosiddetti parcheggi privati,(già impugnati davanti alla corte cost.), alle previsione del rilascio del permesso di costruire convenzionato nelle zone C, D e G, in luogo del piano attuativo, al piano di utilizzo dei litorali, alle disposizioni di salvaguardia dei territori rurali, alla disciplina degli usi civici (sdemanializzazione, trasformazione, alienazione)  art. 36, 37, 38, 39.

A guardare la legge 11 del 2017 sembrerebbe quasi inutile la stesura di un così complesso progetto di legge che ci è stato presentato di ben 113 articoli sui quali proverò poi a dire qualcosa. È certo che il problema fondamentale che qui abbiamo di fronte, è la compatibilità di tutte queste complesse previsioni urbanistiche con le disposizioni del piano paesaggistico delle coste in vigore dal 2006 che ha resistito a ben 150 ricorsi al giudice amministrativo e che il CdS ha più volte ritenuto perfettamente legittimo in tutte le sue disposizioni vincolanti.

È noto che il Piano Paesaggistico Regionale dopo la sua approvazione avrebbe dovuto essere recepito nei Piani Regolatori Comunali sulla base di un “accompagnamento” della regione, ovvero di un dialogo costante con gli enti primari, ma la giunta Cappellacci e poi il piano casa, è  stato dapprima  messo in sordina e poi sconfessato dai provvedimenti in materia di piano casa che in qualche modo hanno contraddetto nelle aree costiere il rispetto dei vincoli paesaggistici.

Norme, quella del piano casa, impugnate davanti la Corte Costituzionale sulle quali in modo equivoco la Corte ne ha rinviato l’esame di costituzionalità per molto tempo per poi salvarle, norme ancora in vigore che in qualche modo contraddicono la tutela paesaggistica delle coste. Ed anche la legge n° 11 del 2017 è oggetto di impugnazione da parte del governo alla Corte Cost per disposizioni che derogano alla disciplina paesaggistica vigente.

In particolare proprio rispetto alla tutela del paesaggio la legge 11 del 2017 modificando la legge 26 del 2016 ha introdotto un complesso processo di co-pianificazione che potrebbe definirsi “a giochi fatti” riducendo la funzione del ministero a semplice ratificazione delle scelte derogatorie dei vincoli paesaggistici.

Senza contare le censure in materia di sdemanializzazione, alienazione delle terre ad uso civico imponendo la  sclassificazione e la cessazione del vincolo paesaggistico per il solo fatto che  gli usi civici non siano più attualmente praticati o praticabili a causa del  mutamento  dello  stato  dei luoghi. Questa sfida continua della legge regionale ai principi costituzionali crea una situazione di conflittualità che non giova alla certezza della disciplina urbanistica e paesaggistica.

Tipico il caso della sent.161/2017 in merito alla legittimità costituzionale dell’art.18 della lr 12/2011 in materia di variazioni delle previsioni urbanistiche dei piani attuativi convenzionati, salvata dalla Corte ma legata ad un caso specifico (Cento società cooperativa/comune Villasimius). Dalle leggi regionali citate emerge comunque un quadro frammentato della disciplina urbanistico/edilizia le cui norme specifiche hanno più il sapore della legge provvedimento a favore di  piuttosto che la fissazione di regole generali.

La legislazione rincorre così le esigenze specifiche, occasionali, di parte di categorie di soggetti (imprese, imprenditori edilizi, privati) soddisfacendone le esigenze, rendendo le norme troppo specifiche, transitorie, la cui lettura si presta e si presterà negli anni a mille conflittualità giustiziali, senza contare l’incertezza che si genera nella PA ove il dirigente di turno nel rilasciare i provvedimenti abilitativi, o nel rimettere mano alle convenzioni urbanistiche già stipulate, si espone sempre più al rischio dell’abuso d’ufficio e del danno erariale. Amministrazione regionale “clientelare” quindi specie da parte del responsabile di giunta dell’urbanistica cui si deve il continuo impulso alla deroga delle regole.

2. Detto questo vengo alla proposta di legge della quale devo dare un giudizio che apparentemente non è negativo poiché sembra spaziare dalla pianificazione regionale alla pianificazione comunale adeguandosi alle nuove frontiere della pianificazione urbanistica poiché introduce istituti ormai radicati nelle prassi dei comuni del continente quale la perequazione e la compensazione, l’accordo con i privati, nel caso specifico la pianificazione della città metropolitana di Cagliari, l’introduzione del dibattito pubblico in caso di opere pubbliche impattanti che come ha affermato il Consigliere Paolo Numerico nel suo intervento nella Rivista on line sardegnasoprattutto. com , pone numerosi problemi di legittimità costituzionale.

In particolare vi sono due profili di particolare interesse: la nuova previsione del contenuto del piano urbanistico comunale che supera definitivamente il principio della zonizzazione della legge urbanistica del ‘42 e della legge ponte del ‘67, la divisione del territorio in ambiti, lo spostamento dell’efficacia giuridica – al di là dell’ammissibilità degli interventi diretti – delle prescrizioni conformative della proprietà alla redazione di piani attuativi negoziati.

La seconda che sostanzialmente prende atto – tuttavia in modo equivoco – di una differenziazione ormai radicata nella pianificazione tra territorio urbanizzato e territorio non urbanizzato. Nella logica di privilegiare la ricostruzione del costruito compatibilmente con la tutela storico-artistica rispetto al consumo dei suoli dei territori non urbanizzati, quelli che tradizionalmente nella logica degli anni 60 erano considerate le zone di espansione.

In realtà quindi chi ha scritto questo testo è ben consapevole dei nuovi processi urbanistici e delle nuove modalità di conformazione dei suoli. Detto questo tuttavia occorre esplicitare una serie di critiche che sostanzialmente vanno alla radice del problema esaminato.

Bene, quanto al primo punto per quanto riguarda i territori urbanizzati sono previste una serie di misure incentivanti, la riconversione urbana con misure di premialità che dovrebbero superare in tal modo stabilmente le disposizioni del piano casa che dovrebbe cessare la sua efficacia. Tuttavia se guardiamo le esperienze attuali di altre regioni il favor per la rigenerazione urbana nei territori costruiti è soprattutto ancorato alla ricostruzione della città pubblica, ad un’operazione cioè che spesso utilizza modalità perequative al fine di misurare le premialità con l’attribuzione di impegni extra oneri a carico dei privati per la garanzia dei servizi pubblici mancanti in quelle aree (vedi art.71 dove non si parla assolutamente di questo scambio tra volumetrie e interessi pubblici).

In realtà l’art. 26 in materia di perequazione parla di eventuali impegni aggiuntivi proporzionali alla valorizzazione delle aree a seguito delle scelte pianificatorie oggetto dei piani attuativi ma in realtà evitando che sia imposto qualunque sacrificio al proprietario che non sia commisurato al riconoscimento di una volumetria aggiuntiva, il che significa negare qualunque solidarietà del privato all’interesse pubblico. In una parola, se il comune vuole un ulteriore impegno del privato in oneri lo deve ripagare in termini di volumetrie maggiorate. E così cade qualunque obiettivo sia di riduzione del consumo di suolo sia di riqualificare parti della città costruita recuperando gli standards urbanistici mancanti.

E’ noto invece che ormai la giurisprudenza più avvertita avalla scelte di pianificazione anche attraverso modelli perequativi nei quali esista un corretto rapporto tra taking e compensation  ovvero tra edificabilità privata e dotazioni territoriali delle aree da rigenerare. E tutto si gioca sul principio di proporzionalità. La rigenerazione, ancora, è un’occasione per recuperare la città pubblica.

Se riflettiamo sul punto, anche nel caso di aree dismesse, l’uso del programma integrato d’intervento della l.179/92 art.16 comporta che si ammetta una riqualificazione dei volumi,delle destinazioni d’uso e delle aree in cambio di extraoneri a carico degli investitori. E’ il tipico caso di un urbanistica negoziata in funzione però dell’interesse pubblico. In questa direzione va l’art.16 co d ter) rivisto del 380 TU ove è prevista proprio la cosiddetta cattura di valore da parte del comune del 50% del vantaggio economico derivante dalla riconversione, in caso di pdc in deroga, modifica della destinazione d’uso dei volumi esistenti anche industriali. Misura che il legislatore regionale in questo caso si è ben guardato dal riprodurre, giocando sulla previsione del 4 bis dello stesso articolo che fa salve le diverse previsioni delle leggi regionali.

Al contrario, in conclusione sul punto, così come delineata nel progetto di legge la rigenerazione ovvero la ricostruzione della città costruita non garantisce la dotazione dei servizi essenziali trascurati nelle pianificazioni degli anni ’60 ma, a parte la modernizzazione delle costruzioni, serve solo a consumare ulteriore suolo. Peraltro dal testo mentre si introduce la previsione di un nuovo piano urbanistico la cui redazione è complessa e richiederà tempi lunghissimi, sembra di capire che invece gli interventi di ristrutturazione edilizia così come concepiti possano essere oggetto di immediata applicazione in presenza dei piani urbanistici vigenti.

3. La seconda questione è che nelle esperienze più recenti indotte dal testo di legge approvato nella sola Camera dei deputati sulla “riduzione del consumo di suolo” la netta distinzione tra territorio urbanizzato e non urbanizzato sta a significare che il territorio non urbanizzato al di là dei suoi aspetti squisitamente agricoli ammette solamente alcuni interventi necessari del tipo opere di pubblica utilità , completamento necessario degli interventi nelle zone produttive ma esclude qualunque ulteriore consumo di suolo per attività residenziali terziarie ecc. che non siano state attentamente valutate attraverso un processo di co-pianificazione. con la regione e gli altri attori pubblici competenti.

Si tratta cioè di un “aggravio” del procedimento pianificatorio che garantisca un’adeguata ponderazione degli interessi sovra locali. Altrove  come ad esempio in Lombardia anche se equivocamente poiché non ancora entrato in funzione, o anche in Emilia Romagna già vigente è previsto un contenimento del consumo di suolo attraverso  un piano regionale che sostanzialmente in modo più o meno diversificato riduce l’ammissibilità degli interventi stabilita al 3% del territorio in un arco di tempo determinato. Tutto ciò manca completamente in questa proposta di legge.

Un segno di questa questione che ho appena sollevato sta nelle cosiddette varianti verdi, ovvero di quelle disposizioni normative previste ad esempio nelle legge del Veneto che ammette, su richiesta di privati, la retrocessione delle loro aree da edificabili a rurali, al fine di evitare l’inutile imposizione dell’IMU per un edificabilità effettiva che non avverrà mai, o come sta accadendo sempre nel Veneto ove la miriade di capannoni industriali abbandonati di un economia locale in dissesto spinge i proprietari a scoperchiarne il tetto per evitare di pagarne l’IMU.

Peraltro a chiusura di queste prime sommarie riflessioni dobbiamo prendere atto che ormai non vi sia al di la di particolari situazioni metropolitane alcuna richiesta di espansione dei territori e se guardiamo al caso nazionale si conta ormai sulle dita di una mano l’avvio di procedimenti di nuovi pani regolatori che riguardino l’intero territorio comunale e la previsione a lungo termine del fabbisogno abitativo. Anzi si tratta di piani quando redatti a “crescita zero”.

È ormai assodato che il piano regolatore così come era congeniato negli anni ‘50 non è più una profezia credibile poiché la dinamica dei processi rende spesso obsolete o ininfluenti o inadeguate le previsioni dei piani, tanto che oggi si deve procedere per settori, per tipologie di aree costruite o non costruite affidando quindi al piano indicazioni generali relative alle invarianti lasciando alla domanda effettiva la contrattazione guidata delle trasformazioni territoriali quando si manifestino concretamente gli  interessi.

Più concretamente quindi, suggerirei all’amministrazione regionale di abbandonare il progetto di legge regionale presentato poiché è possibile già da ora nei piani esistenti introdurre modalità perequative per migliorare e rinnovare il patrimonio edilizio esistente attraverso comparti, superando così la zonizzazione che si vorrebbe superare con il nuovo piano urbanistico del progetto di legge, si possono individuare già le aree dismesse ove aprire un dialogo anche concorrenziale con gli interessi privati per la loro riconversione solidale e non mi pare opportuno  inventarsi una riforma che getterebbe ancor di più i comuni in un processo di ripianificazione complessiva dell’intero territorio comunale che oggi appare inopportuno.

Oggi il problema non è il piano urbanistico ma piuttosto il progetto urbano che richiede la partecipazione dei cittadini e la loro condivisione per il miglioramento della qualità dei luoghi di vita e di lavoro nelle aree urbane sarde.

*Docente di Diritto amministrativo LUISS Roma, Responsabile giuridico nel Comitato scientifico del PPR Sardegna

 

 

 

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