Nelle cosiddette energie rinnovabili ai disastri paesaggistici si sommano le furberie nei premi [di Alberto Bionducci]

petrolchimico-Foto-Paola-Rizzu

Una buona volta si dovrebbe analizzare sul piano giuridico il sistema dei premi che lo stato concede a chi produce energie rinnovabili, vere e finte . Le regole sono sbagliate e spesso attaccabili sotto due profili:

1.Legale. A distanza di 22 anni dall’inizio del processo delle agevolazioni si continua a riconoscere al prodotto un valore più che doppio rispetto a quello reale, mettendo le relative spese a carico dei consumatori. Cosa questa che appare anche incostituzionale: a fronte del combustibile fossile risparmiato abbiamo il 40% dell’onere personale destinato a pagare i produttori.

I quali produttori, per lo più gruppi affaristici e mafie, possono corrompere i proprietari dei terreni anche coltivati o coltivabili, mettendo pannelli solari nelle colline romane o nei nostri comprensori agricoli, aiutati in ciò da strumenti legislativi fatti ad hoc riportati al potere centrale (vedi i casi del termodinamico nel Campidano o o progetti dei campi eolici di Bitti).

Se si riuscisse a fissare prezzi di mercato migliorerebbero le bollette dei consumatori e cesserebbe lo sfruttamento osceno dei terreni: si potrebbe veramente costringere la giusta tendenza ad incentivare le rinnovabili utilizzando i molti terreni già compromessi.

Anche la trovata dell’Alcoa rientra in questa fattispecie; se entrerà in produzione con 500 dipendenti, per la piena produzione consumerà 2,5 miliardi di kwh all’anno. Lo ”sconto ” sul consumo non può essere inferiore a 10 cent per kwh pari a 250 ml di euro che stanno già pagando in bolletta tutti gli italiani. Con la metà di questi denari si potrebbe mantenere i 500 lavoratori senza regalarne altri agli imprenditori stranieri e senza continuare ad inquinare il territorio!

2.Etico. Come noto la combustione del legname è considerata fra quelle da premiare. Lo sarebbe se fosse preteso dalla legge che tale combustibile provenga da scarti di altre attività, in primis quelle agricole, o da coltivazioni  energetiche certificate come rinnovabili.

Dato che non esiste una legge in proposito assistiamo al fatto che ci inquiniamo perchè importiamo materia prima da fonti non controllate; incentiviamo la deforestazione di paesi poveri a vantaggio di sfruttatori, con la soddisfazione di premiare a nostre spese le imprese che di questo hanno fatto un affare, ovviamente con la connivenza dello stato.

Due esempi:

a. Eni produce il cosiddetto biofuel importando olio di palma dall’Indonesia, riceve il premio perchè è bio e lo fa pagare più di quello fossile a parità di inquinamento.

b. I pellets, sulle cui confezione troviamo scritto ”certificati ” lo sono nel senso che non contengono sostanze tossiche, ma in realtà sono in gran parte frutto di devastanti operazioni di deforestazione nei paesi dell’est. Inutile dire che anche il trasporto inquina.

Per finire qualcosa sempre a proposito di Eni. E’ il caso di controllare quanto accade a Porto Torres dove tutto appare una finzione  sia nella cosiddetta chimica verde perchè saranno importate le materie prime necessarie per produrre la bio plastica (specchietto per le allodole) ed energia (vero business) sia per le annunciate bonifiche. Pe queste ultime sarà il caso di ragionarci prima, chiedere le mappe, e chiedersi per fare cosa. Infine è tempo di pretendere dalla Regione il Registro dei tumori per capire cosa accede in Sardegna nelle aree  inquinate da decenni.

*Foto-Paola Rizzu

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